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Ampi accusata di “Atteggiamenti mafiosi”: il retroscena delle dimissioni di Gino Fabbri e Iginio Massari

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Il mondo della pasticceria italiana è in fibrillazione, dopo che ieri sono cadute due teste coronate: Iginio Massari e Gino Fabbri si sono dimessi dalle cariche di, rispettivamente, Presidente onorario e Presidente dell’Ampi, aka Accademia Maestri Pasticcieri Italiani. O meglio, si viene a sapere oggi, “sono stati dimessi”: più precisamente, per mutuare un’espressione dalla politica, hanno preso atto che non avevano più il sostegno della maggioranza.

Il retroscena viene a galla grazie a un incontro in cui sono volati gli stracci, e si è fatto riferimento a episodi del passato recente e a situazioni che stanno destabilizzando la centralità dell’AMPI. Tra gli episodi, una lettera in cui Fabbri per rimproverare 45 membri di non aver partecipato al Simposio dell’ottobre 2020 parla di “atteggiamenti mafiosi“. Il contesto più ampio però sembra quello di una progressiva perdita di rilevanza dell’AMPI, anche ma non solo in seguito alla recente nascita dell’Accademia Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano, per il momento un topolino in confronto all’elefante di un’istituzione storica, ma che esercita molto più fascino nei confronti di giovani pasticcieri e lievitisti.

Siamo venuti in possesso del verbale di questo incontro (la cui notizia è uscita sul sito Foodclub) che è poi un’assemblea plenaria dell’Accademia, tenutasi il 15 aprile scorso e convocata su richiesta di 35 membri. Si legge che “Santi Palazzolo chiede di avvicinarsi al tavolo in rappresentanza dei 35 nomi di accademici scritti sulla lettera di richiesta di convocazione assemblea e spiega che la loro richiesta è solo quella di regolare votazione dei membri del Consiglio Direttivo, senza assolutamente mettere in discussione il Presidente come uomo e come professionista. Comunica altresì che leggerà uno scritto preparato sulla base dei suggerimenti di molti dei 35 colleghi”.

Dopo un po’ però Palazzolo parte all’attacco: “Pur condividendo i principi che costituiscono AMPI, non condividono lo svolgersi di simposi dove molti Accademici sono stati considerati spettatori o semplici comparse. Ciò, non è più accettabile. Tutti gli associati devono partecipare attivamente ad Accademia pur assumendosi le proprie responsabilità come rappresentanti dell’associazione. Bisogna lavorare tutti insieme in una visione comune, liberi di esprimere i propri pensieri e sapendo accettare le critiche oggettive e sincere. Dovrebbero essere tutti coinvolti al servizio di tutti, affrontando l’oceano dell’opportunità tutti sulla stessa barca e lasciando a terra invidie, gelosie, personalismi e permalosità. Lavorare tutti con altruismo, solidarietà e lealtà.”

L’intervento si conclude con il riferimento al presidente Fabbri: “Il presidente ha un ruolo importantissimo, deve riuscire ad essere un mediatore, il suo compito è quello di saper tenere unita una squadra che ha tante anime all’interno e far si che queste anime non si disperdano. Non può permettersi di lanciare accuse generiche e infamanti di atteggiamenti mafiosi, tu avevi il dovere oltre che il diritto di buttare fuori dall’Ampi questi mafiosi se avevi la certezza di ciò di cui hai avanzato le accuse”. Il che, al di là del giro di parole un po’ contorto, è chiarissimo.

A questo punto il verbale riporta che si è passati alla votazione dei consiglieri del Direttivo dell’Associazione. Il risultato è stato: 65 voti Zizzola Stefano, 61 voti Dalmasso Alessandro, 48 voti Palazzolo Santi, 47 voti De Riso Salvatore, 43 voti Amato Giuseppe, 41 voti Alverà Massimo, 40 voti Dianin Denis, 40 voti Gabbiano Salvatore, 40 voti Urbani Andrea, 39 voti Pozza Carlo, 37 voti Ferretti Sandro. Un chiaro segnale di spostamento di equilibri all’interno dell’Accademia. Il presidente ha chiuso l’assemblea dicendo che avrebbe al più presto dato comunicazione al presidente onorario, cioè Massari. E così è stato: le conseguenze non si sono fatte attendere.

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Iginio Massari e Gino Fabbri via dall’Ampi: cosa succederà alla pasticceria italiana senza Superlega?

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Iginio Massari e Gino Fabbri, due istituzioni della pasticceria italiana a doverne scegliere due, escono dall’AMPI (Associazione Maestri Pasticcieri Italiani): sarebbe una notizia anche se non se ne fossero andati sbattendo la porta, provocando il terremoto a cui voi lettori di Dissapore avete indirettamente assistito.

Quella che potrebbe sembrare una querelle tra addetti ai lavori, vuoi perché i suoi protagonisti sono opinion leader della pasticceria italiana, vuoi per gli stracci e le accuse volati durante l’assemblea della scissione (all’interno di un’associazione determinante per gli equilibri del settore a livello nazionale e il suo ruolo a livello internazionale), a conti fatti sembra la notizia più importante per il mondo dei dolci dall’invenzione del leccapentole.

Sicuramente più pruriginosa.

A rincarare la dose, Iginio Massari ha rilasciato una breve e sibillina dichiarazione a Cook, aka Corriere della Sera: fonderà una nuova associazione. Ma mica si ferma qui, anzi: rincara la dose dicendo che è stato vittima di “molta invidia” e che c’è “molta delusione”. Bene o male le stesse dichiarazioni pubbliche le fa Gino Fabbri.

Ed in ultimo, la dichiarazione più severa: «A gennaio fondo una nuova associazione con 30 amici, ma anche altri ne verranno. La farò più severa: chi vuole entrare avrà diritto davvero di chiamarsi accademico. Senza trucchi».

La domanda che sorge spontanea è: come si è arrivati a questo punto e soprattutto, cosa succederà dopo? A che punto siamo e cosa succederà nell’immediato futuro? Ho passato al vaglio qualche ipotesi, cercando di mettere tutti i pezzi in fila.

Cos’è AMPI, innanzitutto

ampi Ampi

L’AMPI – Accademia Maestri Pasticcieri Italiani – nasce nel 1993 proprio da un’idea di Iginio Massari stesso medesimo. Il progetto era in fieri già da qualche anno e fu Massari – unico membro italiano di Relais Dessert, associazione che riuniva i migliori pasticcieri del mondo – a portarlo avanti e, dopo anni, ad assumere il ruolo di Presidente onorario.

Cosa significa far parte di AMPI? È stato – ed è – sembra ombra di dubbio un circuito esclusivo, di élite pasticciera.

Stando al Massari pensiero, senza prenderci la briga di pensarlo noi, l’associazione era diventata troppo severa. Tanto che, una volta diventato minoranza nella sua stessa associazione, ha deciso di uscirne e annunciare la volontà di crearne una nuova.

Se “bello e buono” due tra i più grandi pasticcieri d’Italia, lasciano AMPI

Gino Fabbri

Qualche segno di scricchiolamento del sistema, quelli “bene informati”, già lo avevano percepito. In poche ore è “crollato” tutto, con il consiglio direttivo dimissionario e circa una trentina di membri pronti a lasciare le seggiole.

In ogni caso, l’AMPI – insieme alla FIPGC, Federazione Italiana Pasticcieri, Gelatieri e Cioccolatieri – è l’associazione di categoria che meglio rappresenta l’Italia del dolce non soltanto nel nostro Paese, ma anche all’estero: molte competizioni a livello internazionale vedono come protagonisti i pasticcieri di queste due associazioni. Sarà interessante vedere come si collocherà l’Italia nelle competizioni del prossimo futuro e anche come “peso” politico internazionale del nostro settore dolce. In un periodo peraltro non certo facile per la ristorazione in generale.

Probabilmente lo scarso appeal di AMPI (se così, davvero è) è dovuto anche alla comparsa sulla scena nazionale di un’altra realtà associativa che non è nata ponendosi in contrasto con essa, ma che nei fatti si sta dimostrando l’alternativa per molti.

L’Accademia Maestri del Lievito Madre (e del Panettone Italiano)

Accademia dei Maestri del Lievito Madre

Ed ecco l’altra associazione in campo: l’Accademia dei Maestri del Lievito Madre, che conta già molti pasticcieri conosciuti tra gli iscritti e che promuove (ça va sans dire) l’utilizzo e la promozione del lievito madre.

Vale a dire, implicitamente, la promozione di panettone e colomba, trainanti di due grandi periodi dell’anno e che ormai raggiungono numeri di produzione davvero vertiginosi.

Come avevamo già avuto modo di dire, il grande lievitato è la nouvelle vague della pasticceria italiana. Tutti vogliono fare il grande lievitato in un certo modo, preferibilmente con la tripla lavorazione (pensiamo a Vincenzo Tiri su tutti); naturale nasca l’esigenza – economica e ideologica – di “sistematizzare” anche questo mondo in vertiginosa ascesa e forse già non virginale, dove premi, concorsi e contro-concorsi la fanno da padrona, in un clima assai competitivo.

Il fenomeno che abbiamo avuto modo di osservare è che in questi lunghi mesi molti membri AMPI hanno iniziato a far parte e partecipare in maniera molto attiva all’Accademia del Lievito Madre. Vi dirò di più: seppur piccola piccola, in questi mesi ha dato più modo di parlare l’Accademia del Lievito Madre che l’AMPI.

Segno evidente che la storica Accademia italiana già non stesse passando un periodo brillantissimo.

Cosa succederà?

Secondo una nota diffusa da AMPI, al momento l’associazione manterrà formalmente i propri impegni fino alla formazione di un nuovo direttivo. Giustamente, stanno prendendo tempo: riorganizzare una associazione con così tante ramificazioni non è una cosa semplice, soprattutto se quello di fatto che è il pasticciere più famoso d’Italia (e i suoi professionisti a lui più affezionati) abbandonano la barca più o meno improvvisamente.

Fatto sta che questo rappresenta un momento particolarmente delicato per la pasticceria italiana in generale: al di là delle parole pesantissime volate nel verbale (non è da tutti virgolettare l’espressione “atteggiamenti mafiosi” pronunciata da un signore del calibro di Gino Fabbri, noto per una certa integrità) è in corso un vero e proprio riassestamento dell’associazione (non la più numerosa, certamente, ma la più ingerente) che rappresenta quel comparto.

E come noi sappiamo bene, un’associazione del genere detta legge soprattutto da un punto di vista internazionale. Detto in sintesi: spesso come ci vedono all’estero è come ci presentiamo anche corporativamente.

La presidenza di Iginio Massari lascia impronte profonde del modo di fare e di dire dell’Associazione: probabilmente un modo di fare che non si è ben adeguato a luoghi, tempi e “mode”, lasciando spazio a malcontenti e scaramucce che alla fine si sono trasformati in valanghe. Staremo a vedere se la valanga avrà modo di arrestarsi e, quindi, permettere un ragionamento a bocce ferme.

Difficile trovare un’altra personalità come Iginio Massari: mediatico, istituzionale, carismatico, noto al grande pubblico del piccolo schermo.

O forse, a ben pensarci, non sarà poi così ardua la scelta: nella platea risicata dei “pretendenti al trono”, probabilmente quello che la spunterà sarà Salvatore De Riso, superpasticciere della Costiera, presenza fissa in tivù.

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Tiri Bakery & Caffè a Potenza, recensione: come dovrebbe essere una pasticceria italiana

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Cosa sia lecito aspettarsi da una pasticceria italiana, oggi, me lo chiedo da Potenza, dove la Tiri Bakery & Caffé fa scuola anche a distanza di due anni dall’apertura.

Non è una domanda semplicissima cui rispondere: la mia impressione è che la direzione generale sia improntata sulla scarsa personalità. La maggior parte delle pasticcerie si divide in due grandi macro-categorie: chi spergiura fedeltà alla tradizione – con conseguente catena di errori endemici ed una sorta di “piattume” generalizzato, con ovvie eccezioni per fortuna – e chi imita in malo modo stili internazionali, proponendo quella che a Napoli chiamiamo la mescafrancesca, cioè una mescolanza senza un filone preciso.

Poco o niente di nuovo in Penisola, insomma. Poi torno in posti come la Tiri Bakery & Caffè e trovo una “boutique del panettone” rinnovata, che differenzia la proposta mantenendo ben salda l’identità primigenia, e mi trovo di fronte a un concetto compiuto con cui fatico a fare paragoni.

Una pasticceria fondata sul panettone

 

Tiri Bakery e Caffè - panettoniTiri Bakery & caffè - monoporzioni

Trovateci un altro Tiri e gli daremo il suo primo posto. Vincenzo Tiri è un habitué delle classifiche a marchio Dissapore; per quanto ci riguarda dovrebbe avere il panettone d’oro alla carriera. Gli ultimi successi risalgono a Natale 2020: ha blindato una doppietta con il panettone (di cui si è detto di tutto, ma se ne sentite la necessità vi rimandiamo alle nostre ultime note di degustazione) ed il suo pandoro extrasoffice, ottenuto con uno speciale blend di lieviti. Pandoro che si compatta e poi si scioglie vorticosamente in un frullio di vaniglia e burro, burro e vaniglia, in loop, inaugurando un nuovo trend.Tiri Bakery e Caffè - cioccolatiniTiri Bakery e Caffè - biscotteria

Non si nasce, né si diventa da un giorno all’altro status symbol del grande lievitato in Italia. Se poi nasci e cresci ad Acerenza – 1800 persone, una chiocciola di costruzioni arrampicata su di un sasso nel bel mezzo dell’Italia interna – non hai proprio la fortuna dalla tua parte. E i lucani hanno il diavolo in corpo, il “demone dell’insoddisfazione” diceva il loro conterraneo Leonardo Sinisgalli. Probabilmente è proprio questa smania interiore a spingere questa gente a fare di più, a tracciare un’identità propria.

La vecchia guardia del panettone probabilmente tutto pensava tranne che un lucano dai tratti dei normanni potesse far diventare Acerenza, letteralmente un posto nel bel mezzo del nulla, la capitale italiana del panettone del XXI secolo.

Ed è proprio da qui che si “inaugura” un filone nuovo della pasticceria italiana: quello dedicato completamente al lievitato, in ogni sua forma, reinventando il blocco di burro, farina, uvetta e canditi in dieci e più variabili: dalla monoporzione al panettone, ai cioccolatini con panettone soffiato, passando per i cornetti all’italiana e ai biscotti lievitati.

Il locale, blu come il panettone

La Tiri Bakery & Caffè è sempre nella sede di Via del Gallitello, zona poco interessante di Potenza ma commercialmente molto ricca, con diversi parchi commerciali. Di sabato, l’intera zona è un fermento e la Bakery risulta piacevolmente affollata nonostante il “mio” presunto orario strategico. Le sedute all’interno sono inferiori rispetto al solito – distanziamento sociale, ça va sans dire – e la possibilità di accomodarsi si amplia con un piccolo dehors sviluppato nell’area antistante.

Il blu è sempre quello, il pantone Tiri riconoscibilissimo a chilometri di distanza. Un colore che contro ogni ragionevole ipotesi è riuscito a identificare il panettone.

Cambia la disposizione al banco, invece: le monoporzioni (sempre a base panettone, usato al posto di biscotto un pan di Spagna) sono di più e più diverse. Più piccole, anche. E il panettone in degustazione ora non è più solo quello tradizionale, permettendoci di provare il mitico “cioccolato bianco e caffè” a 3,5 euro.

Anche la “dispensa”, lo scaffale dei cibi confezionati, da portarsi a casa, si è notevolmente ampliata: linee di biscotti artigianali in barattolo retrò fanno bella mostra di sé, chiamati Biscottiri e Giambellini, in diversi gusti (dalle gocce di cioccolato, interamente al cacao, al peperone crusco lucano), oltre ad una selezione di bauletti vari gusti e brioche Tirisvegli. Da non sottovalutare il pane: le pezzature da mezzo chilo e da un chilo volano via facilmente tra gli avventori.

Dolce, salato

Tiri Bakery e Caffè, panettone e cappuccino al panettone Tiri Bakery e Caffè, cornetto all'italiana

Perché delle pasticcerie italiane si ignori tanto il (buon) caffè, nonché il menu dedicato alla caffetteria in genere, solo le guide gastronomiche lo sanno. Qui il comparto è cresciuto e si è azzardato, co buono risultati, il cappuccino al panettone. Goloso: il panettone viene lasciato in infusione diverse ore nel latte, che poi sarà filtrato. Il risultato è un latte caramellato, vanigliato, una coccola calda da concedersi e che sarà perfetta con il clima invernale lucano. Assaggio (divoro) anche il cornetto all’italiana, fatto con una pasta che – manco a dirlo – ricorda quella del panettone.

D’impatto anche il reparto salato della Tiri Caffè & Bakery: dall’irrinunciabile pane in diverse pezzature (fate una scarpetta con il pane di casa Tiri e poi mi dite) fino alla pizza, venduta sia a tranci che al chilo.

La pizza proposta è una tonda fatta in forno elettrico, perfettamente sviluppata e cotta, con guarnizioni che vanno dalla classica marinara ai fiori di zucca di stagione. Deve essere uno dei pezzi forti (insieme al panettone e al cornetto italiano): la produzione è praticamente continua, intensificata a picco durante l’aperitivo. Crunchy. Buono il dosaggio delle guarnizioni e indovinata la scelta dei condimenti, che permette facilmente l’asporto e il successivo rinvenimento nel forno di casa, dietro opportune indicazioni del personale.

Tiri Bakery e Caffè, tranci di pizza Tiri Bakery e Caffè, pizza

Il gelato al panettone

Tiri Bakery e caffè - gelato al panettone

Poi c’è il gelato al panettone, rimesso a nuovo e riproposto in una golosissima crema, fatta partendo appunto dal lievitato. Un gelato naturale, proposto in circa 8 gusti differenti, con alcuni fissi (crema panettone tradizionale, crema babà, pistacchio, nocciola del Piemonte IGP, caramello salato) ed alcuni a rotazione, come il gusto pandoro.

Il gelato è una crema golosa da gustare in coppetta, con una creazione dedicata ma – se proprio si sente la necessità – ancora col panettone, giusto per fare l’esperienza lieviatata al quadrato. Gusto imperdibile: il gelato al caramello salato (fatto manco a dirlo, col panettone al gusto di caramello salato), che in combo con la brioche può indurre dipendenza. Ci troviamo di fronte ad un gelato ciccione, quasi d’antan, con il babà che sa davvero di pasta alcolica senza finzione e la crema panettone che, be’, è fatta veramente di panettone, ottenendo un risultato incredibilmente liscio e che non affatica il palato.

Tiri Bakery e Caffè, briolato Tiri Bakery e Caffè, briolato interno

Provate il Briolato, brioche al gelato: pasta lievitata da panettone (!), “sigillata” a mo’ di dorayaki, calda, ripiena di gelato a scelta. Accoppiata vincente, con il ripieno al gelato caramello salato.

 

I prezzi, l’opinione

Tiri Bakery e Caffè, scontrino

I prezzi sono esposti al banco, sulle apposite targhette di presentazione dei dolci; al tavolo non c’è menu, ma è illustrato con competenza dal personale, che vi darà giuste indicazioni in caso di dubbi. Il reparto caffetteria parte dal prezzo di 1,00 euro per il caffè a salire. Le monoporzioni sono tutte a 5 euro, il cioccolato ripieno di panettone soffiato va al pezzo, i cornetti dall’1,30 euro (vuoto) a salire per quelli farciti, le fette di panettone 3,50 euro. Niente di molto dissimile rispetto ad altre grandi realtà di altre città italiane.

L’esperienza alla Tiri Bakery & Caffè vale decisamente la pena: vale una deviazione rispetto al vostro rotolare verso Sud oppure un viaggetto apposito in caso siate nelle vicinanze. Ci troviamo di fronte ad un concetto compiuto di pasticceria, dove l’elemento cardine – la pasta lievitata – è giustamente valorizzato in ogni sua possibile declinazione, con un’identità chiara e nessuna caduta di stile. Nemmeno nel tanto vituperato comparto caffetteria. La prima pasticceria che promuoviamo col massimo dei voti.

Informazioni

Tiri Bakery&Caffè

Indirizzo: Via del Gallitello 255, Potenza
Numero di telefono: 0971 309591
Sito: www.facebook.com/TiriBakeryAndCaffe
Orari: lunedì-sabato 09.00/21.00 orario continuato – domenica 09.00/14.00
Ambiente: bakery all’italiana
Tipo di cucina: pasticceria italiana di nuova generazione, declinata sulla pasta lievitata (panettone)
Servizio: attento e molto preparato

Voto: 10/10

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Colazione a domicilio: 19 pasticcerie (e gelaterie!) per avere il meglio ordinando online

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Allontanandoci dalle verità scientifiche, di sicuro iniziare la giornata mangiando qualcosa di buono migliora l’umore in vista degli impegni che ci aspettano. Se poi avere la colazione a domicilio migliore che la piazza italiana possa offrire è facile come dire “marmellata di arance amare”, allora l’umore è alle stelle.

Certo, il rito della colazione – negli ultimi cinquant’anni di vita quotidiana italiana, vah – è cambiata, pure di molto: se nel Dopoguerra pane raffermo, polenta e raro latte comandavano sulle tavole della maggior parte delle persone, negli anni Sessanta iniziarono a diffondersi diversi stili di colazione più o meno tra tutte le fasce sociali. L’ascesa dei corn flakes, del caffè (in tutte le varie declinazioni), delle merendine confezionate predomina per una ventina d’anni, fin quando la necessità di uno stile di vita più salutare, con al bando i grassi idrogenati, non fa capolino.

La colazione preferita degli italiani pare essere comunque quella dolce; e quindi, come si fa a coniugare la necessità di zuccheri mattutina a qualcosa che non abbia scadenza 6 mesi?

Ed è qui che entra in gioco il nuovo modo di fare pasticceria, modo che si è affermato sempre più durante quest’anno e mezzo di Covid-19.

Il pasticciere 3.0 italiano ha capito molto bene che nelle case dei suoi clienti è finito il tempo di entrarci soltanto con il cartoccio domenicale; man mano, ha capito che non è più una novità proporre panettoni e colombe – visto che, ormai, lo fanno tutti: dal ristoratore al panettiere sotto casa, togliendo l’appannaggio esclusivo alla pasticceria. Quindi, cosa fare per farsi ricordare dai propri fan della prima ora, prima che nuove tendenze li facciano migrare altrove?

Abbiamo selezionato per voi le migliori realtà di pasticceria (e affini) che offrono prodotti di alta fascia, spedibili online, per le vostre colazioni a domicilio. Qualcuno potrà obiettare riguardo al prezzo, in alcuni casi decisamente al rialzo: siamo sicuri che sareste ben disposti a spendere qualcosa in più per dedicarvi un paio di colazioni d’autore a settimana, bypassando il bar accanto all’ufficio.

Cremeria Capolinea

Simone De Feo da tempo ha sdoganato i canoni del gelatiere che è solo gelatiere. Lo shop online di Cremeria Capolinea, oltre ad essere un riferimento per gli ormai arcinoti panettoni, ha anche una nutrita compagine di prodotti da colazione. Tra queste, spicca la CapoBox Colazione: panettone classico Milano, una torta sbrisolona ed una confezione di granola. I biscotti in vasetto (brutti ma buoni, frollini vari e cookies al cioccolato) e diverse creme spalmabili completano l’offerta.

Pasticceria Martesana

Bella selezione di prodotti da colazione, quella presente sullo shop online della Pasticceria Martesana. Il plumcake all’uvetta e mandorle è un sempreverde, così come l’Amor Polenta. Per quanto riguarda la biscotteria, la scelta è ampia: ci sono quelli senza frumento (senza glutine, insomma), fino ai Martesanotti, una selezione che comprende streusel al caffè, il “Diamante” vaniglia e zenzero e il “Bosco”, con infuso ai frutti di bosco.

d&g Patisserie

Bianco etereo lo shop online di Denis Dianin: magari tutto questo bianco vi farà scordare l’introito calorico delle sue golosissime proposte. Oltre panettoni e colombe, fanno capolino la Bussolà, parente prossimo del pandoro veneto e lievitati all’albicocca. Molto interessante la proposta di biscotteria, che va dai semplici canestrelli a quelli farciti.

Liévita

Da Riccione, Liévita Pasticceria, Bar e Panetteria spedisce un bel po’ di prodotti da colazione in tutta Italia con il suo shop online. Si parte dal pane ai grani antichi, passando per la selezione di biscotti (al farro, al cioccolato, alle mandorle, all’orzo), alla ciambella romagnola (un dolce da colazione con uova e ricotta) e finendo con le creme spalmabili.

Forno Brisa

Lo shop online di Forno Brisa è il luna park dei gastrofighetti: dal cioccolato, ai prodotti da dispensa (come le farine e la pasta di filiera) passando per il caffè, ai pani ai biscotti, terminando con i libri. C’è praticamente di tutto.

Infermentum

Infermentum, da Verona, spedisce i suoi prodotti da colazione in tutta Italia. Lo shop online di Infermentum si divide in proposte lievitate, alcune delle quali disponibili tutto l’anno (ho adocchiato l’Amarbicò: nome impronunciabile ma questa ciambella con albicocche candite ed amaretto è decisamente invitante) e in biscotteria (biscotti con zucchero muscovado e cannella, con cioccolato, arancia e nocciola e sbrisolotto).

Marra Pane e delizie

Da Cantù, Marra Pane e Delizie – dopo averci abituati a degli ottimi lievitati per tutte le ore – spedisce bontà da colazione grazie allo shop online. Bella la sezione dei biscotti senza frumento, che vede i grandi classici della piccola pasticceria da colazione e da tè (come i baci di dama) rifatti con la farina di riso. Tra i biscotti classici, potete divertirvi con krumiri, cantucci, sfogline parigine. Notevole anche la selezione di confetture.

Niko Romito

Ci sono molti fan dei prodotti da colazione di Niko Romito tra i nostri lettori: potete averli comodamente a casa, senza passare per il via a Castel Di Sangro grazie allo shop online. Iconica la latta di biscotti Gran Cioccolato, così come la scelta delle confetture. Se volete provarne diverse, avete la possibilità di acquistare anche la selezione, componendola secondo vostro gradimento.

Tiri 1957

Colazione lievitata è il leitmotiv  di Tiri 1957: non poteva essere altrimenti visto che Vincenzo ci ha proposto il panettone tutto l’anno e noi gli abbiamo detto sì, resta, che poi maciniamo sold out. Dallo shop online di Tiri 1957, il bauletto è sicuramente la soluzione migliore per avere a portata di mano il nostro panettone destagionalizzato, pochi gusti ma ben assortiti per gli amanti del cuscinone soffice con tripla lavorazione, from Acerenza with love. Date una possibilità anche ai Giambellini, dei biscotti lievitati a metà tra un danese al burro ed una graffa napoletana, però biscottata.

Pasticceria De Vivo

Il format De Vivo funziona molto bene: ne abbiamo parlato anche per quanto riguarda la capacità delle pasticcerie di adattarsi alle chiusure da Covid-19, fornendo a casa praticamente tutti i servizi che non potevano esserci in pasticceria. Lo shop online De Vivo è uno dei più forniti che possiate trovare in circolazione: dai bauletti dolci e salati, passando per i biscotti (da colazione o da aperitivo, io li proverei entrambi fossi in voi), alle confetture ed una bella selezione di mieli del territorio.

Olivieri 1882

I ragazzi di Olivieri propongono una batteria di prodotti da colazione e dispensa davvero notevole. Sullo shop online di Olivieri 1882, tra i prodotti più classici e sempreverde, il pan brioche e le fette biscottate. Molto ricca invece la selezione di torte e biscotteria da colazione: buona l’idea del Box di 4 torte da forno (Torta Amaretto e cioccolato, Sbrisolona al cioccolato, Crostata Albicocca e Sbrisolona), oppure il Box Forno (con torte e biscotti come le sfogliatine e l’iconico pan brioche).

Paolo Brunelli

Non solo gelato e cioccolato: lo shop online di Paolo Brunelli propone una selezione di biscotteria, di composte di frutta e di creme spalmabili. Interessanti anche le torte: la torta di carote e pistacchi, le versioni della caprese (con tubetto di crema cioccolato di corredo) e la torta di nocciole.

Iginio Massari

Iginio nazionale non poteva esimersi dal proporre online le sue proposte di colazione. Tra i primi ad aver intuito che la diversificazione dell’offerta avrebbe portato lontano la pasticceria, il suo shop online è uno dei più forniti, a discapito del prezzo sostanzioso s’intende. Lo shop online è articolato in lievitati, torte da forno (tra le quali, crostate), biscotteria, creme spalmabili.

Farmacia Del Cambio

Jonathan Vitellozzi è il nuovo volto da conoscere, quando si parla di pasticceria nell’ambito dei ristoranti; se non potete andare a far colazione alla Farmacia del Cambio, non resta che rifarsi con qualcosina sullo shop online. La Farmacia del Cambio propone una piccola serie di coloniali – molto da gioielleria, sia chiaro –  per una colazione un po’ più lussuosa. C’è la selezione di cioccolata calda (per quando sarà il periodo opportuno s’intende), qualche confettura e la Torta 1757, creazione di Galla

Marco Colzani

Dal cioccolato ad altri prodotti da dispensa è un attimo: Marco Colzani, sul suo shop online, propone una bella rassegna di succhi di frutta non proprio convenzionali ed autoprodotti (come quello al pomodorino perino della Puglia); il core business è il cioccolato e quindi non manca la rappresentanza di creme spalmabili, dalla nocciola in poi.

Ciacco Lab

Stefano Guizzetti è un altro gelatiere che ci ha ben abituati a spaziare fuori dall’ambito freddo, proponendo ottimi prodotti da pasticceria e qualche divagazione molto interessante come i nettari di frutta. A proposito di nettari, Ciacco li propone sullo shop online anche in abbinamento al Mix Colazione, dove si concede una divagazione partenopea inserendo un babà in vasocottura, i nettari ed una crema spalmabile.

Pasticceria Marisa

Lucca – quello con due c, insomma – Cantarin di Pasticceria Marisa mette a disposizione un carico di dolcezze da colazione sullo shop online. Diverse le tipologie di torta sbrisolona e di biscotti, molto interessante la sezione di tè e tisane.

Forno Gentile

Il progetto Forno Gentile, in quel di Gragnano, ha diverse ramificazioni. Abbiamo avuto modo di assaggiare l’ottimo panettone di Anna Belmattino, ma non sono da meno gli altri prodotti da forno dedicati alla merenda ed alla colazione, tutti presenti sullo shop online. Si parte dalle brioche in confezioni da quattro (alla vaniglia oppure ai frutti rossi o ancora al cioccolato), passando per una nutrita selezione di biscotteria, terminando con i bauletti.

Pepe Mastro Dolciere

Alfonso Pepe fu uno dei primi ad individuare il trend della “dispensa” fatta dal pasticciere e sono anni che vengono proposti prodotti da dispensa. Si va dalle fette biscottate alle conserve del territorio, per finire con i sempreverdi (non solo di scatola!) lievitati a marchio Pepe. Trovate tutto sullo shop online.

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Pasticceria Gabbiano a Pompei, recensione: la tradizione dolce che merita una sosta

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Pompei sta soffrendo la mancanza del turismo estero, motore trainante dell’economia locale. Tra turismo religioso e archeologico, quando la pandemia era fantascienza, arrivavano anche cinque milioni di turisti l’anno, ma questa cittadina non troppo popolosa sotto il Vesuvio brulica anche di una certa gastronomia. Anche in tema di arte pasticciera. Pasticceria Gabbiano, per esempio, è una meta.

Sede di Salvatore Gabbiano (Maestro AMPI già noto su queste pagine per il suo panettone), è un riferimento per la pasticceria tradizionale italica, e una bella esperienza per gli appassionati di gelato.

Per questa recensione, come sempre in incognito, abbiamo visitato quello che di fatto è il punto d’arrivo per i consumatori, ma il laboratorio dei lievitati Gabbiano sta altrove, dedicata al solo asporto, a Via Ripuaria (poco lontano).

La pasticceria

Salvatore Gabbiano è una nostra vecchia conoscenza, presente da tempi non sospetti nelle nostre classifiche di panettoni artigianali che si susseguono di anno in anno. Ricordo di aver provato il suo lievitato natalizio per la prima volta a Natale 2016: una nuvola soffice, burrosa e barocca, leggo ancora dalle note di degustazione di quell’anno. Non si smentisce: Salvatore Gabbiano è un artigiano, nel vero senso della parola. Poche migliaia di pezzi all’anno per il suo panettone, così come il banco pasticceria è curato nei minimi dettagli. Ed è così che i pezzi classici della pasticceria italiana diventano dei piccoli gioielli.

Pasticceria Gabbiano Pompei

La pasticceria si affaccia su Via Lepanto, una delle arterie principali che porta al centro della città mariana. Un muscolare restyling ha portato la Pasticceria Gabbiano a un rinnovo deciso degli interni: da inizio 2021 l’ambiente gioca sui toni del blu, con qualche ninnolo a ricordare la passione mai sopita del pasticcere per la monumentale storia pompeiana. Figlio d’arte, Salvatore, cresciuto con un piede negli scavi di Pompei e l’altro nei laboratori di pasticceria, ha portato la storia nei suoi dolci (si annoti ad esempio “Il dolce dei misteri e 79 d.C”: due focacce con miele ed altre spezie, di ispirazione classica).

Pasticceria Gabbiano a Pompei

Gli interni della pasticceria sono votati principalmente al consumo al banco e all’asporto, con qualche seduta. Una veranda coperta esterna è dedicata al consumo al tavolo. C’è anche qualche tavolo alto di appoggio per gli avventori che vogliono stare più comodi rispetto al banco, che alla nostra visita era decisamente affollato: buon segno. Il personale è gentile e veloce e nell’affollata domenica mattina che ho scelto per la visita, la maggior parte delle risorse era impiegata al banco, lasciando ai clienti una sorta di possibilità take away per accomodarsi ai tavolini.

La pasticceria italiana è rappresentata pressoché in toto, con qualche divagazione verso i dessert europei, poi si dividono il bancone il cioccolato (proposto in cioccolatini di varia foggia e gusto, da quelli alla pera al cioccolato fior di sale) e il gelato.

I dolci, il gelato

Pasticceria Gabbiano a Pompei

Qui si gode di una buona – anzi, posso dirlo: piucchebbuonapasticceria tradizionale italiana. Si parte con un notevole comparto colazione: dalle viennesi ai cornetti all’italiana da farcire al momento, passando per un monumentale maritozzo. Ammetto, non rientra tra i dolci che preferisco, ma questo maritozzo ci dà dentro di brutto: la “scorza” è sottilissima, un velo che racchiude una pasta perfettamente lievitata, con un ripieno di crema pasticciera alla vaniglia (e quanta vaniglia, di quella in bacca con i famosi puntini neri).

Un passaggio da fare è quello con la millefoglie, decisamente bistrattata ad oggi ma con un suo deciso perché da queste parti. La sfoglia è burrosa ed oppone giusta resistenza al taglio, farcita con crema pasticciera alla vaniglia (la stessa del maritozzo) ed amarene. Un classicone, difficile da trovare da queste parti fatto a dovere.

Pasticceria Gabbiano a Pompei

Tra gli assaggi, provata anche una monoporzione con base pastafrolla, cioccolato fondente, marmellata di agrumi vesuviani e crema bavarese alla vaniglia. Non particolarmente innovativo, ma nella sua tradizionalità davvero ben fatto.

Discreto il reparto caffetteria, che offre un caffè che si lascia bere.

I dolci della tradizione napoletana sono ben rappresentati con la selezione di sfogliatelle classiche (ricce e frolle), insieme ai babà, sia lisci che farciti che in modalità torta.

Pasticceria Gabbiano a Pompei

Riguardo proprio le torte, la proposta della Pasticceria Gabbiano in quanto a torte semifredde è decisamente interessante. Si va dalla Torta Perfetta, con diverse declinazioni di cioccolato e quella banana e caramello.

 

 

A dir poco notevole, il gelato: otto/dieci gusti in carapina, disposti quasi a mo’ di termopolio (ricordate, ne abbiamo fatto lunghe discettazioni proprio su queste pagine), tra creme classiche e sorbetti di frutta di stagione provenienti direttamente dal Parco Nazionale del Vesuvio. Le creme prevedono l’utilizzo di latte crudo del Cilento, totalmente apprezzato in un magistrale fiordilatte. Super-medaglia al valore per il sorbetto ai gelsi neri del Vesuvio. Si “mastica” letteralmente materia prima qui. C’è la possibilità di farcire anche i maritozzi col gelato.

Prezzi

Pasticceria Gabbiano a Pompei

 

Sul piano dei prezzi, l’esperienza in pasticceria da Salvatore Gabbiano è decisamente accessibile a tutti. Il caffè è servito ad 1,00 euro, il comparto dei dolci da colazione parte da 1,20 euro a salire, i dolci grandi da 2,00 euro a salire. La selezione di mignon – belli sul serio, dei piccolissimi gioielli – è proposta al prezzo di 24,00 euro al chilo. Un bel punto di forza è rappresentato dal gelato, sopra la media per una pasticceria e proposto a 20,00 euro al chilo, mentre le coppette vanno da 1,50 euro a salire e permettono dosi decisamente generose. La Pasticceria Gabbiano è da consigliare per un pit stop all’insegna della tradizionalità, per una pausa molto curata oppure per dolci da ricorrenza.

Informazioni

Pasticceria Gabbiano – Dulcis in Pompei

Indirizzo: Via Lepanto 153, Pompei (Napoli)
Numero di telefono: 081 863 63 05
Sito: https://www.gabbianopasticceria.it/
Orari: Aperto tutti i giorni, 07.00 // 00.00
Ambiente: pasticceria
Tipo di cucina: pasticceria tradizionale italiana
Servizio: veloce e disponibile

Voto: 8/10

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Pasticceria Tonolo a Venezia: la recensione

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Come abbiamo avuto modo finora di raccontarvi, parlare di pasticcerie a Venezia significa abbandonare qualsiasi afflato di modernità e avanguardia, per tornare, non mestamente – questo no – ma realisticamente ad una dimensione spazio-tempo più antica, sospesa tra insegne d’antan, marmi e banconi confortanti. Una delle tappe obbligate in città, e vera e propria istituzione cittadina, è la pasticceria Tonolo, nel sestiere di Dorsoduro, vicino alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari e alla Chiesa di San Rocco, a pochi minuti da piazzale Roma.

pasticceria Tonolo

Là dove altri potrebbero strombazzare la propria fama, con insegne, vetrofanie e voce strillata, Tonolo è – esattamente come i titolari – luogo di modestia e understatement. Un po’ gioca la posizione, che a Venezia non consente un viale che faccia da introduzione e presentazione in pompa magna, (in questo caso l’edificio è d’angolo, tra due calli) un po’ è una scelta stilistica voluta, come si diceva. E l’affetto che la città ha per questo luogo perdona pure un’insegna rimasta ferma agli anni Settanta e ai libri di grafica dell’epoca, con una T avveniristica tanto quanto i viadotti della rete autostradale nazionale, e una scelta cromatica che vede ancora nel rosso e nell’oro altrettanti simboli di lusso e prestigio.

Per essere precisi il logo riporta anche la dicitura “dal 1886”, che è l’anno in cui il fondatore, Giuseppe, aprì il laboratorio (a Mirano, nell’entroterra). La storia familiare riporta con fierezza il premio ottenuto nel 1909, in occasione dell’Esposizione internazionale di economia domestica di Parigi, assegnato alla focaccia, che è ancora oggi uno dei vanti della pasticceria. A Venezia la sede venne aperta il 13 dicembre del 1953 – “in una giornata freddissima” – raccontano le cronache e da allora non ha mai smesso di rappresentare per autoctoni o “foresti” come dicono qui, un luogo di riferimento, che per alcuni assurge a meta di pellegrinaggio. Tappa quotidiana, stagionale o annuale in occasioni speciali, Tonolo diventa un calendario che scandisce, nell’ordine: l’apertura della giornata degli studenti dell’attigua università, dei professori e professionisti incravattati – che fa piacere vedere sporcarsi di zucchero e di briciole – e dei travet della Giunta regionale; la pausa caffè delle 11; l’acquisto del tardo pomeriggio; i compleanni e le ricorrenze familiari; l’arrivo del Carnevale con relativa disfida sulla migliore frittella cittadina; Natali e Pasque d’ordinanza.

Negli annali devono essere ricordate un paio di date, che danno la misura dell’affetto che la città ha per Tonolo: il 18 febbraio 2013, in cui a fronte di voci insistenti su una possibile cessione ad una nuova proprietà straniera (cinese), gli stessi titolari hanno dovuto dare smentita attraverso la pagina Facebook, mettendo pace negli animi già in ambasce; e il gennaio 2017, quando è venuto a mancare Franco, il titolare, all’età di 80 anni. E se ce ne fosse ancora bisogno, ecco che anche le riaperture successive sia all’acqua alta del novembre 2019, sia alle chiusure da pandemia, sia a quella legata ad un piccolo restauro, sono state accolte con sollievo, entusiasmo ed esultanza.

Ambiente e servizio

Tonolo (8) Tonolo (8)

L’insegna dal tratto antico e due vetrine linde e semplici, di impostazione classica, anticipano ciò che il cliente trova una volta entrato: il locale si sviluppa in lunghezza e il primo a presentarsi è il bancone, seguito dalla cassa e da uno spazio destinato al bar. Il restauro, solo parziale, non ha cambiato il volto del locale: nessun intervento di ammodernamento spinto, bensì piuttosto una maggiore leggerezza complessiva del bancone. Le dimensioni non consentono posti a sedere: si consuma al bancone del bar o appoggiandosi alla mensola posta di fronte. Ordinatamente disposte le pastine, con una logica che vede dolci con crema nella parte inferiore del bancone e pasticceria secca e biscotti in quella superiore. L’ultimo tratto è lasciato ai mignon, ai monoporzione, e appena prima del bar, ai prodotti da colazione. Il risultato è un discorso che mette in fila la tradizione, declinata in varietà: frolle, petit four, pasticcini secchi, cestini di crema pasticcera e frutta, bignè, diplomatiche, meringate, croissant, kipfel… L’elenco è da rivedere in periodo di Carnevale, quando le frittelle (veneziane, crema o zabaione), sfrattano le paste e si prendono metà bancone.

Tonolo (5)

Alle spalle del bancone, specchi e mensole con vasi di caramelle e scatole di cioccolatini sono un tuffo negli anni ’70, tuffo che si fa addirittura carpiato poco più avanti, nello spazio destinato al caffè, dove ogni sorso è salutato dalla presenza di un folto gruppo di Pinocchi di legno appoggiati su una mensola.

Nota di merito per il servizio: cordiale, gentile, paziente (soprattutto con i turisti, particolare che a Venezia non è scontato). Con un riguardo particolare, giustamente, ai clienti abituali di cui si conoscono gusti e piccoli vizi.

L’assaggio

Tonolo (3)

Se fin qui il luogo, la sua storia e addirittura il ruolo che Tonolo riveste nella vita cittadina non avrebbero potuto tradursi se non in un buon punteggio, purtroppo l’assaggio, e soprattutto la memoria dei molti assaggi ripetuti negli anni, non consentono di confermare appieno quel buono.

L’assaggio è stato come sempre rivolto sia ai prodotti da colazione che alla pasticceria e ha rivelato una sostanziale difformità di livello: migliori i prodotti da colazione, pur con qualche errore. Ben sfogliato, leggero, non untuoso il croissant, la cui doratura viene valorizzata dallo zucchero semolato sulla superficie che moltiplica l’effetto croccante. Meno convincente ma complessivamente apprezzabile l’assaggio della girandola di sfoglia, crema pasticciera e gocce di cioccolato. Gusto piacevole che inciampa in un’eccessiva untuosità di alcuni punti, in particolare gli angoli. Per entrambi, tuttavia, una notazione positiva sulla temperatura di servizio, perfetta. Il caffè, servito in tazzine che sembrano appena uscite dalla credenza delle grandi occasioni (blu e bianche firmate SetlmannWeiden), piacevolmente aromatico e privo di acidità o di sentori di bruciato, è servito bollente ed esaltato dal bordo sottile della tazza.

Tonolo (14)

Il cabaret di paste ha visto l’assaggio di grandi classici: un cestino di frolla con crema pasticcera e frutti di bosco, un bignè al cioccolato e uno alla crema, una diplomatica, un rotolo di pasta biscuit e crema al limone ed una “punta” (strati di pasta al cioccolato, crema al burro e pan di spagna bagnato all’alchermes). Proporzioni e rapporti, prima ancora che gusto, purtroppo non consentono di confermare i buoni ricordi. Una quantità eccessiva di crema – nella quale le note di dolcezza prevalgono su quelle di vaniglia, limone o cioccolato – coprono la pasta, sia della frolla (nella quale si cerca apposta un sostegno nell’acidulo dei frutti di bosco) che dei bignè. Stesso effetto per la diplomatica. Complessivamente si percepisce una sorta di effetto un po’ “monocorde”. Va meglio con la “punta”, nella quale gli strati sono ben definiti, sia nelle consistenze che nei sapori.

Giudizio complessivo: istituzione cittadina per la quale si prova un affetto incondizionato, Tonolo accusa forse il peso degli anni. Il livello supera la sufficienza ma non consente di andare oltre. Un vero peccato accompagnato da molto, molto rammarico.

Tonolo Scontrino

Informazioni

Pasticceria Tonolo

Indirizzo: Calle San Pantalon 3764, Sest. Dorsoduro

Numero di telefono: 0415237209

Orari di apertura: martedì-venerdì: 7.45–20.00, sabato: 7.45–18.00, domenica 7.45-13.00. Chiusura il lunedì

Sito Web: pagina Facebook

Tipo di cucina: pasticceria classica

Ambiente: informale

Servizio: molto cortese

Voto: 6.5/10

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Pepe Mastro Dolciere a Sant’Egidio del Monte Albino, recensione: più di una pasticceria

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Ci sono posti della ristorazione italiana capaci di contribuire alla svolta di interi territori; tra questi, possiamo annoverare di sicuro il format Pepe Mastro Dolciere, la pasticceria creata dal compianto Maestro Alfonso Pepe, in quel di Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno).

Siamo nell’Agro Sarnese Nocerino, una piana stranamente distribuita tra ettari votati all’agricoltura (pomodori in primis, cos’altro altrimenti?) e conurbazioni che si estendono a perdita d’occhio fino alla più prossima provincia di Napoli. Questo fazzoletto di terra è una delle tante dispense d’Italia: Alfonso Pepe ha contribuito a farne una meta gastronomica per quanto riguarda la pasticceria, valorizzandone prodotti locali e portando finanche il panettone.

Purtroppo la scomparsa di Alfonso ha creato un vuoto, ma la pasticceria continua il suo lavoro. Siamo andati a visitarla, incuriositi anche dalle molte novità introdotte, come ad esempio un laboratorio e punto vendita dedicati esclusivamente al gluten free.

L’ambiente

Pepe Mastro Dolciere

Pepe Mastro Dolciere Pepe Mastro Dolciere Pepe Mastro Dolciere

La pasticceria si trova su una strada densamente trafficata a cavallo tra le due province, quella di Salerno e quella di Napoli, al di qua dei Monti Lattari: bastano davvero venti minuti per vedere uno dei mari più belli d’Italia. I toni del verde sono ben visibili dall’esterno. Pepe Mastro Dolciere è tutto sommato “fresca” di restyling, avvenuto in maniera radicale anche meno di quattro anni fa, subentrando a quella che per un paio di decenni era stata una pasticceria nel senso più classico del termine.

Bello l’ingresso con le vetrine dei semifreddi, quella del cioccolato e un pannello con Alfonso Pepe, icona che sarà impossibile da rimuovere (per fortuna). Il verde è colore dominante, se avete acquistato oppure occhieggiato almeno una volta una scatola di panettone Pepe, sapete di cosa stiamo parlando. Un verde rassicurante, iconico, che si confonde con un “particolare” ambiente tipo foresta amazzonica. C’entra forse la passione per il cioccolato, per la coltivazione del cacao e la lavorazione delle fave.
C’è un piccolissimo laboratorio a vista (quello più grande è ai piani inferiori), dove vengono fatte le preparazioni più piccole oppure le guarnizioni dei pezzi da colazione.

Molti i posti a sedere, suddivisi tra ambiente esterno ed una piccola veranda. Attento il personale: si viene accolti dal direttore di sala ed accompagnati al tavolo.

I dolci, l’esperienza

Pepe Mastro DolcierePepe Mastro Dolciere

 

 

Si è lavorato molto e bene in questi anni; sicuramente, la mancanza di Alfonso ha generato delle battute d’arresto, ma il mondo mandato avanti dai fratelli Giuseppe e Prisco in laboratorio merita la visita. L’ingresso è dedicato totalmente ai coloniali da scaffale: biscotti, fette biscottate, bauletti, panettoni, l’onnipresente babà in vasocottura marchio di fabbrica di Pepe Mastro Dolciere. Alfonso ci aveva visto lungo e aveva dedicato un angolo della propria offerta a ciò che i clienti possono desiderare di portare a casa, un prodotto da consumo giornaliero “griffato”, cosa che molti altri pasticcieri hanno iniziato a fare dopo tempo.

Oltre la pasticceria classica napoletana, i dolci da colazione (imperdibile, la graffa napoletana con frittura leggerissima) ci si concentra molto su torte (servite al taglio) e monoporzioni. Immancabile quando si parla di questa pasticceria e di monoporzioni è la Delizia di San Gilio, nome che ai più suonerà anonimo ma che rispecchia una profonda devozione per questo minuscolo paese sconosciuto e ai suoi agrumi, in un bel bilanciato connubio tra acidità dell’arancia e grassezza della crema al latte di bufala.

Pepe Mastro DolcierePepe Mastro Dolciere

Sempre per quanto riguarda i dolci del territorio, discreta la ricotta e pere: saporito e burroso il biscotto/involucro, il ripieno di ricotta e pera semicandita si ben difende anche se preferisco un sapore più deciso. Superba, invece, la torta caprese: un blocchetto omogeneo di mandorle e cioccolato, compatta ma umida al punto giusto da non necessitare del sorso d’acqua per essere ingollata.

Discreto il gelato: l’attenzione sugli ingredienti locali è anche qui centrata, con il gusto nocciola ed albicocca pellecchiella del Vesuvio. Interessante la proposta cocktail, che è possibile declinare in abbinamento ai dolci grazie ad una carta estiva dedicata e curata dal bartender della pasticceria.

Il caffè proposto, unicamente nella tipologia espresso napoletano, è discreto e si fa bere facilmente.

La proposta gluten free

Pepe Mastro Dolciere è probabilmente tra le poche pasticcerie di livello alto ad avere una proposta parallela completamente dedicata al senza glutine. In buona sostanza dolci da colazione, dolci tipici partenopei e monoporzioni sono stati declinate in apposite ricette senza glutine, con risultati davvero di ottima qualità. Il punto vendita è completamente separato dal laboratorio più grande e “convenzionale”, all’occorrenza però è semplice farsi servire al locale attiguo.

Opinioni

Pepe Mastro Dolciere è più di una pasticceria: è un brand a tutto tondo. Certo, è difficile raccogliere un’eredità e farla funzionare a dovere. C’è rischio che l’ingranaggio si blocchi in qualche punto. Il format Pepe Mastro Dolciere funziona bene, è ricco ed articolato e i fratelli Giuseppe e Prisco (in laboratorio) ed Anna (in sala) lavorano di concerto per continuare nel solco di ciò che si è costruito. La pasticceria mantiene un livello medio-alto, da consolidare ulteriormente nel tempo.

I prezzi sono in linea con le altre pasticcerie d’autore della Campania: 5,00 euro le monoporzioni servite al tavolo, cocktail dai 6 euro a salire, caffè ad 1,30 euro.

I clienti storici non resteranno delusi. I nuovi avventori saranno di sicuro ingolositi dalla proposta h24, dal dolce al salato ai cocktail.

Informazioni

Pepe Mastro Dolciere

Indirizzo: Via Nazionale 2/4, Sant’Egidio del Monte Albino (SA)

Sito web: https://www.pasticceria-pepe.it/

Orari di apertura: tutti i giorni orario continuato 06.00 – 1.00

Tipo di cucina: pasticceria campana ed italiana classica

Ambiente: Un po’ safari, sui toni del verde

Servizio: cordiale, preparato, attento

Voto: 8/10

 

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Pasticceria Pettenò, recensione: eleganza e bei lievitati in quel di Mestre

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Agglomerato urbano adiacente a Venezia, alla quale è legata da un rapporto contrastato (ben 5 i referendum succedutisi in 40 anni con i quali ha chiesto la separazione dalla città lagunare), Mestre è una città che dal punto di vista gastronomico non offre particolari soddisfazioni (ci si può chiedere se le offra sotto altri aspetti: culturale, urbanistico-architettonico, per esempio, ma la risposta sarebbe, in una polemica inadatta a questa sede, assolutamente identica). Ci sono tuttavia, inaspettatamente un paio di eccezioni in ambito dolciario ed una di queste è meta di questa recensione: la pasticceria Pettenò.

Pasticceria Pettenò (1)

Pasticceria Pettenò (4)

Storico indirizzo (1967, l’anno di nascita) per gli amanti della pasticceria e del cioccolato, l’insegna porta il nome del fondatore Dino Pettenò. Solido apprendistato giovanile nelle pasticcerie di Venezia (tra cui Marchini, già meta di recensione), un viaggio in Belgio e da lì la folgorazione lungo la via del cioccolato. Quindi la decisione di aprire una propria attività che oggi lo vede solidamente a capo di due punti vendita: una sede principale (che ha sostituito quella originaria, più piccola, e molto amata dagli abitanti del quartiere per i quali era meta di veri e propri pellegrinaggi dolciari) ed una seconda, in centro. Nel corso del tempo si è anche assistito ad un passaggio di testimone padre-figlio che, se in alcuni casi rivela qualche crepa o frattura, qui si è compiuto in modo armonico. La pasticceria, in versione mignon e monoporzione (oltre ai formati di torte tradizionali) affianca la sezione dedicata al cioccolato, che vede schierati cioccolatini, praline (con ripieni di spezie, frutta, fiori, caramello, sale, erbe aromatiche a giocare con la ganache) e tavolette dalle percentuali e dalle tipologie di cacao variabili.

Ambiente e servizio

Pasticceria Pettenò (6)

Pasticceria Pettenò (7)Pasticceria Pettenò (8)

Pasticceria Pettenò (9)

Nei restyling che negli ultimi anni hanno visto protagonisti ristoranti e pasticcerie dev’esserci stato un momento in cui i titolari, inseguiti da rendering e progetti puliti e geometrici, si sono arresi e hanno lasciato agli architetti (che evidentemente non mangiano dolci) carta bianca. Il risultato sono luoghi, seppur molto ordinati, che hanno perso un po’ della morbidezza iniziale e in cui si entra sempre con il timore di fare rumore e sporcare. Accade così che, a chi frequentava la vecchia sede della pasticceria, questa nuova risulti un po’ fredda, poco familiare: il rigore insomma prevale sul multicolore dei dolci e dei mignon e ruba loro – solo inizialmente perché poi si recupera – la scena.

Superata questa asperità iniziale – compensata, bisogna dirlo, da una parete dai toni di marrone chiaro, decisamente più calda, con immagini che rimandano alla coltivazione del cacao –  il bancone è un’esposizione elegantissima di prodotti: da un lato i dolci da colazione (croissant, danesi, frolle con ricotta o riso), dall’altro un susseguirsi di mignon con frolla, sfoglia, glasse a specchio, stratificazioni perfette, variazioni di mousse, frutta. Impossibile assaggiare tutto in una volta e d’obbligo il ritorno: la mano moderna, pulita e che lavora con cura si vede in ogni dettaglio. I mignon non hanno sbavature, i bordi sono perfettamente puliti, le decorazioni sono accuratissime, il modo di esporre è sensato. Nulla da dire.

Il servizio è professionale, preciso, efficiente.

L’assaggio

Pasticceria Pettenò (3)

 

Un croissant e un danese, per cominciare. Perfettamente sfogliato il primo, con un sapore di burro bello pieno che tuttavia non si tramuta in untuosità o grassezza al palato. Un plauso al governo dello zucchero: sia nell’impasto e sia soprattutto nella crema pasticcera (in cui si intravvedono i semi di vaniglia e la cui consistenza è perfettamente equilibrata tra la corposità piena e il liquido esuberante che tenta di guizzare via lateralmente), che finalmente non è un budino ma un bel ripieno che fa il suo dovere. Ben eseguito anche il secondo, il danese, anche se una maggiore abbondanza di uvette avrebbe reso il morso più goloso. Un peccato per la temperatura di servizio, che penalizza impasto e ripieno: entrambi sono serviti freddi laddove il calore li renderebbe veri e propri comfort food mattutini da scegliere come appuntamento fisso. Nota di merito per il caffè, a temperatura perfetta e capace di sprigionare articolate componenti aromatiche.

 

Pasticceria Pettenò (11)

Pasticceria Pettenò (12)

 

Pasticceria Pettenò (14)

Dal banco la scelta cade su: un cestino di frolla con crema pasticcera e fragole – bella croccante e burrosa la frolla, consistente e con un buonissimo aroma di vaniglia la crema, freschissima la fragola; un cannoncino con crema, ben sfogliato e proporzionato nel ripieno; una frolla con marmellata, ben eseguita; un bignè alla crema, con una pasta choux saporita e che sostiene la crema; un “puncetto” (tipico veneziano, può presentarsi stratificato o meno) con crema al burro, pan di Spagna al pistacchio e pasta di cioccolato; una Sacher, bagnata al punto giusto dalla marmellata di albicocche, che dà il corretto punto di asprigno e sulla quale si notano dei bei riccioli di fondente; ed infine una mousse al cioccolato, qui vero metro di valutazione: dalla glassa bella lucida con foglia d’oro, consistenza della mousse soffice ma piena, e un fondente attorno al 70% che non cede alle lusinghe di una maggiore e che rivela un bel profumo pulito e aromi articolati al palato.

Conclusioni

Scontrino Pettenò

Con una solida storia decennale alle spalle ed una specializzazione nel cioccolato che ne fa uno dei riferimenti non solo in ambito veneziano, ma in tutto il Nordest, la Pasticceria Pettenò a Mestre si conferma un indirizzo solido: elegantissime e raffinate le creazioni, sia nel formato tradizionale (che qui è mignon), sia in monoporzione o torta. Il livello è alto anche nei prodotti da colazione e (in occasione delle festività) nei lievitati.

Informazioni

Pasticceria Pettenò

Indirizzo: Via San Donà 11 e Via Mestrina 25, Mestre (VE)

Numero di telefono: 041 5340673

Orari di apertura: da martedì a sabato 7-20, domenica 7-13; 15.30-19.30; lunedì chiuso

Sito Web: http://www.pasticceriapetteno.it/

Tipo di pasticceria: contemporanea, con specializzazione nel cioccolato

Ambiente: moderno

Servizio: efficiente

Voto: 8/10

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Pasticceria Bido, recensione: tappa obbligata a Mestre

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Ogni città ha la sua piazza che si fa salotto, con porticati sotto i quali passeggiare e vetrine da osservare. E ogni piazza-salotto ha la sua pasticceria di riferimento, davanti alla quale fermarsi, indicare, lanciare a mezz’aria dei “guarda quella torta!” e poi decidere finalmente di entrare. Mestre non sfugge a questo rito. Lì Bido è “la” pasticceria della piazza cittadina, quella che accosta al piacere duraturo e solido di una gola soddisfatta quello più effimero e vanesio del guardare ed essere guardati, commentare ed essere oggetto di commenti, tra tavolini, sedie e piccioni in cerca di briciole d’autore.

Insegna storica presente da oltre 20 anni, Bido sta per Alvaro Bido, titolare e fondatore assieme al fratello Sandro di uno degli indirizzi imprescindibili in terraferma per gli appassionati di dolci, qui declinati in mignon, monoporzione, capisaldi della pasticceria francese, torte e biscotteria.

 

Pasticceria Bido (4)

La sede mestrina e le sue creazioni rappresentano il punto d’arrivo di un processo che inizia nel laboratorio di Noale (una ventina di km sulla strada per Padova), dove si sperimenta, si studia e dove si tengono corsi di pasticceria per districarsi tra creme, crostate, semifreddi.

Laddove la pasticceria di Venezia rimane arroccata in una classicità identitaria, Mestre – più disinvolta e desiderosa di dar prova della propria abilità – osa. Qui insomma è più facile vedere creazioni moderne, che strizzano l’occhio al cliente tra glasse a specchio, colori spinti e presentazioni in stile gioielleria. Ecco, Bido va esattamente in questa direzione, ma riesce a dosare, fermandosi al momento giusto, un attimo prima che la vetrina si trasformi in una selezione all’ingresso con il sopracciglio alzato.

Ambiente e servizio

Pasticceria Bido (10)Pasticceria Bido (8)

Il volto odierno di Bido è frutto di due restyling, succedutisi a circa 4 anni l’uno dall’altro (l’ultimo risale ai primi mesi del 2019). E se spesso la somma di interventi estetici conduce a risultati raccapriccianti, qui invece l’esito è assai felice. Niente restauri spigolosi, via all’estremo nitore sostenuto da bianchi ottici e grigi a contrasto, assente l’effetto teca museale da osservare a distanza. Se infatti indubbiamente è la vetrina ad attirare sapientemente l’attenzione, con le sue piramidi di macaron in scala cromatica, è tuttavia l’interno ad accogliere in modo piacevole e allegro. Una modernità senza spocchia e accessibile, rafforzata da un servizio cordiale, sorridente, gentile e premuroso, senza affettazione.

Pasticceria Bido (20)

Protagonista assoluto è il bancone, che diventa passerella per una sfilata di mignon, éclair, monoporzione. I bordi sono geometricamente tirati, le stratificazioni impettite, i colori si richiamano e si rincorrono, così come varietà e gusti, che affiancano creme, cioccolato, frutta fresca e secca. A seguire i prodotti da colazione, con i croissant (con marmellata, crema pasticcera o pistacchio, vegani), affiancati da sfoglie all’uvetta, fagottini e krapfen.

Pasticceria Bido (11)

Pasticceria Bido (16)

Pasticceria Bido (9)

Pasticceria Bido (12)

 

Pasticceria Bido (15)

Il contesto induce al consumo lento, comodo: i tavolini, uno stile moderno con rimandi veneziani e qualche dettaglio che vira verso il romantico, le luci calde e i colori che richiamano pastelli e note tenui, complessivamente rendono la sosta decisamente piacevole, con propensione all’assaggio multiplo.

L’assaggio

Pasticceria Bido (21)

 

 

Tra i prodotti da colazione la scelta cade su una girella con uvette e un croissant con crema al pistacchio. Punto di merito per la temperatura di servizio. Entrambe le sfoglie sono un’ode al burro, gestita sapientemente. Nel primo caso l’uvetta morbida arriva a intervallare la croccantezza di una spirale bella dorata. Nel secondo caso è la crema al pistacchio a fare da spalla alle pieghe burrose della pasta. Morbidamente liquida, ha gusto pieno e non stucchevole. Di buona esecuzione il caffè, cui una lieve punta di acidità non consente di dare il massimo dei voti.

Pasticceria Bido (6)

 

 

 

Pasticceria Bido (2)

Dal bancone componiamo un cabaret che comprende una rilettura della classica caprese (con cupola cremosa alla mandorla ad alternarsi all’impasto), una mousse al caffè (con crema al burro), concentrata più di una tazzina, un mignon con ricotta dalle note alcoliche, una mousse al cioccolato che finalmente riesce a far uscire le note aromatiche del cacao non accontentandosi di un’unica voce, un bignè alla crema pasticcera (unico esemplare lievemente inferiore rispetto agli altri, con una consistenza poco convincente del ripieno), una frolla alle noci e crema al burro, in cui la noce riesce ad essere protagonista, un mignon al pistacchio capace di ricordarne l’appartenenza alla categoria della frutta secca e facendone dimenticare le declinazioni iperdolci. Su tutto, la minifrolla al cioccolato, ganache al fondente, perle di cioccolato al latte: consistenze declinate in un mignon gioiello.

Conclusioni

Moderno, accogliente e con prodotti che dimostrano una governo della tecnica senza sfociare nel tecnicismo, la pasticceria Bido è una tappa obbligata a Mestre. Ampia la scelta, con una varietà che non è esercizio di stile. Un consiglio: un impiego più deciso di frutta fresca può rendere il luogo ancora più meritevole.

Informazioni

Pasticceria Bido

Indirizzo: Piazza Ferretto, 3 30174 Mestre (VE)
Numero di telefono: 041961841

Orari di apertura: dal lunedì al venerdì 8-20; sabato e domenica 8-13; 15.30-20

Sito webhttp://www.pasticceriabido.it

Tipo di pasticceria: moderna

Ambiente: moderno con dettagli romantici

Servizio: molto cortese ed efficiente

Voto: 8.5/10

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Cremeria Gabriele a Vico Equense, recensione: la “gelateria” che ci vorrebbe in ogni meta di vacanza

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Siamo sicuri che la Costiera amalfitana e sorrentina saranno tra le mete gettonatissime di quest’estate. La manciata di km costiera vanta numerose realtà gastronomiche di tutto rispetto: parecchi ristoranti monostellati della Campania si trovano in questo lembo di terra sospeso tra montagna e mare. Ma non solo: Cremeria Gabriele (Vico Equense), piccola realtà di bottega famosa in tutta Italia (se non anche in tutto il mondo) fa parte di questa piccola e nutrita schiera.

Da oltre settant’anni, la famiglia Cuomo, discendente del capostipite Gabriele, porta avanti immutata la tradizione della cremeria napoletana, da loro stessi “importata” in costiera per allietare le vacanze dei ricchi d’epoca e turisti alla ricerca della dolce vita. Nella Napoli di inizio Novecento, si andava in cremeria non soltanto per prendere il latte e altri prodotti freschi, ma anche gelato, dolci, piccoli coloniali da portar via in un tourbillon di color carta di zucchero.

Siamo andati a visitare questo piccolo pezzo di storia campana, provando dolci e gelati e facendo un po’ di spesa. Questa è la nostra recensione.

L’ambiente

Cremeria Gabriele; Vico EquenseCremeria Gabriele; Vico EquenseCremeria Gabriele; Vico EquenseCremeria Gabriele; Vico EquenseCremeria Gabriele; Vico Equense

Cremeria Gabriele si trova su una delle strade principali di Vico Equense, facilmente raggiungibile dalla piazza ma anche dalla strada costiera. Viste le dimensioni del paese, toccherà fare qualche giro in più per trovare un angolo di parcheggio oppure appoggiarsi a quelli privati.

Si presenta come un negozietto votato principalmente all’asporto: il banco percorre il negozio da un lato all’altro, immediatamente visibile la sezione dedicata ai dolci e quella al gelato, leggermente più defilata la vetrina dei formaggi e latticini. Lo spazio è destinato all’attesa in piedi, con qualche appoggio. Tirando le somme, l’ambiente è molto retrò ma curato, un po’ fuori dal tempo.

Dietro al banco spesso potrete trovare i due fratelli, Liberato e Raffaele Cuomo, che con garbo e gentilezza consigliano i dolci più adatti al trasporto piuttosto che i formaggi più adatti a questo o quell’utilizzo.

Il gelato, l’esperienza

Cremeria Gabriele; Vico EquenseCremeria Gabriele; Vico EquenseCremeria Gabriele; Vico Equense

Solo coloniali, solo gelateria, solo pasticceria? Un po’ complicato racchiudere l’esperienza di Cremeria Gabriele in una sola parola, probabilmente è proprio “Cremeria”: un luogo dove acquistare prodotti freschi e coloniali, ma anche consumare merende memorabili fatte di dolci napoletani, gelati e coppe di frutta molto retrò.

Il comparto di pasticceria classica napoletana è quello che stupisce maggiormente. E in positivo. Oltre a colori vividi e belle proposte (comunque basate su grandi classici, dai babà alle tartallette alle codine d’aragosta), si ritrovano tra banco e frigo anche alcuni dolci napoletani d’antan come le coviglie, una sorta di semifreddo praticamente scomparso dalle pasticcerie partenopee.

Commovente la tortina caprese al limone, fresca ed appagante al morso. Iconica la Delizia al limone di Cremeria Gabriele, una semisfera pesante e golosa da portar via con una coppetta di crema limone servita opportunamente a parte.

Per la spesa, il reparto formaggi non delude: prevalenza di prodotti campani, tra caciocavalli e caprini dei Monti Lattari, ma non mancano chicche provenienti da oltre regione.

Bella la selezione dei panificati e dei coloniali a marchio Cremeria Gabriele. Oltre qualche liquore tipico del territorio (tipo limoncello), ci sono i babà piccoli conservati in vetro, divenuti nel tempo un must have per chiunque da fuori si trovi da queste parti.

La Cremeria probabilmente è conosciuta dai più per il gelato, che la rende frequentatissima da persone di tutte le età, soprattutto più giovani. I gelati sono proposti in vaschetta e si mira molto sul territorio: troviamo creme di mela annurca, crema di ricotta, gelsi neri del Vesuvio. Interessanti, freschi e golosi gli abbinamenti con la frutta, come quello della coppa Zanzibar: nome d’antan per una coppa con sorbetto al mango, sorbetto ai gelsi e gelsi freschi del Vesuvio a fare da golosa decorazione, da mangiare come se fossero caramelle Morositas.

L’opinione

Cremeria Gabriele; Vico Equense

Ci vorrebbe una Cremeria Gabriele in un ogni posto di vacanza, per assaggiare uno spicchio del luogo dove si soggiorna. Facile a dirsi, nella pratica è leggermente più complicato: realtà del genere non nascono dal nulla, sono complesse stratificazioni di esperienze, storie, viaggi e cultura gastronomica.

I prezzi sono assolutamente in linea con la proposta e la ricerca fatta in questo posto, considerando anche l’indole vacanziera di Vico Equense: si parte da 1,70 euro per i dolci a salire. Per quanto riguarda il reparto gelato, è prezzato a 20,00 euro al chilo, con cono o coppetta a partire dai 2,00 euro fino ai 4,00 euro. La brioche ripiena di gelato o con sola panna è a 2,50 euro. Prezzi che, tutto sommato, sembrano più che nella media per una meta vacanziera.

Se si è di passaggio a Vico Equense o nei dintorni della costiera, Cremeria Gabriele vale la deviazione dal percorso, magari per un ristoro a base di frutta e gelato o ancora, una spesa da portar via come ricordo gastronomico.

Informazioni

Cremeria Gabriele 

Indirizzo: Corso Umberto 1° , 8, Vico Equense (Napoli)

Numero di telefono: 081 879 8744

Orari di apertura: tutti i giorni, orario continuato 09.00/00.00

Sito web:  Pagina Facebook

Tipo di pasticceria: tradizionale campana, gelateria artigianale

Ambiente: retrò

Servizio: molto cortese e competente

Voto: 8.5/10

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Pasticceria Milady a Marghera, recensione: comfort classico nella provincia veneziana

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Città simbolo della storia operaia del Veneto, città inizialmente progettata come lungimirante modello urbanistico (allora, erano gli anni ’20, si parlava di “città giardino”), Marghera è una delle 6 municipalità in cui si articola il comune di Venezia. Abbiamo varcato i confini lagunari per spostarci in terraferma per un motivo: la pasticceria Milady.

Il nome, che ai più evoca rimandi nostalgici alla Francia degli anime anni ‘80, rappresenta perfettamente l’identità del locale e il suo posto nel mondo: un omaggio alla propria moglie, semplicemente, in un luogo consapevole del proprio passato e in cui, altrettanto semplicemente, la volontà di fare bene le cose prevale sui lustrini, i fronzoli, le moine, le velleità artistico-creative e le sperimentazioni spinte. Un locale al cui titolare, Roberto Giuffè, ci pare si applichi bene l’appellativo di “artigiano”, esattamente come potremmo riferirlo ad un ebanista, un conciatore, un ceramista.

La sua è una storia comune a molti: all’età di 14 anni inizia a lavorare nella pasticceria dello zio, poi prosegue con esperienze lontano da casa. Nel 2004 la decisione di aprire un proprio spazio: rileva quindi la pasticceria Patrizia, presente in città da 40 anni. Dopo un primo anno di assestamento, nel 2005 sia il locale che l’offerta sono protagoniste di un primo rinnovamento, seguito da un secondo e più completo nel 2014: spazi più grandi, bancone più ampio con conseguente aumento dei posti di lavoro.

Ambiente e servizio

 

Pasticceria Milady (11)

Pasticceria Milady (3)

Pasticceria Milady (13)

 

L’orario di apertura – le 6 del mattino – dice molto. Bancone impeccabile, gestione dei flussi e delle ordinazioni senza tentennamenti, decisa ma cortese, governando una clientela interclassista e dagli idiomi dialettali che raccontano la provincia veneziana e la sua storia meglio di molte analisi sociali.

Le proposte da colazione (sfogliate e lievitate), affiancate nel corso della giornata da quelle salate, prendono una parte del lungo banco. Il resto è occupato da mignon e paste: sui primi il margine per una proposta più moderna è maggiore: glasse e geometrie tuttavia sono contenute e gestite con mano controllata, così come gli accostamenti, mai esasperati né su dolcezza (un esempio? Nei cremosi con cioccolato e pistacchio si ritrovano i sapori rispettivamente di fondente e frutta secca) né su acidità. Sulle paste di dimensioni maggiori emerge la mano più classica: sfoglie, frolle, bignè. In entrambi i casi tuttavia si è di fronte ad un prodotto che va oltre il ben eseguito e che ha una sua identità precisa. In stagione, oltre ai prodotti continuativi, compaiono frittelle e focacce artigianali.

Il servizio è cortese e professionale e si muove con rapidità dietro ad un bancone e in un locale che rispecchia perfettamente il carattere di Milady: ordinato senza scadere nella freddezza, luminoso senza cedere ai bianchi e ai marmi lapidei e capace di valorizzare i prodotti più che celebrare l’ego di chi li prepara.

L’assaggio

Pasticceria Milady (17)

Pasticceria Milady (7)

Partenza con i prodotti da colazione, con un croissant alla marmellata molto ben sfogliato, non untuoso, con note di burro ben percepibili ma non invadenti e una puntualissima quantità di marmellata. Molto bene eseguita anche la sfoglia con crema, dalle note vanigliate e finalmente con una dose di crema che non si deve ricercare, magari pure un po’ secca, tra le pieghe della pasta. Punto di merito per la temperatura di servizio, che esalta le sfumature olfattive. Peccato per il caffè servito in bicchiere di carta, che ne penalizza gli aromi, ma che è una conseguenza delle disposizioni anti Covid (che peraltro hanno visto trasformato anche il banco, con una barriera trasparente a separare il personale dai clienti: uno scrupolo in più che merita di esser sottolineato).

Correttissime le proporzioni tra crema e impasto per le paste, sia per quanto riguarda le consistenze sia per l’aspetto gustativo. Dalla millefoglie, bella croccante, alla frolla, dove il burro è presente ma mai sopra le righe, bilanciato dai toni agrumati del limone; dalla pasta del bignè agli strati della punta, con le note potenti di alchermes a dare personalità ad una pasta che rischia sempre di piegarsi alla grassezza della crema al burro. Piccola nota che dice molto: fresca, saporita e di stagione la frutta del cestino, presentato quindi non solo con i classici frutti di bosco ma anche con le varianti estive. Complessivamente una qualità elevata ed una misura nel calibrare sapori e proporzioni, per un assaggio che non satura il palato.

L’opinione

Pasticceria Milady Venezia

Periferia di Venezia dal passato operario, Marghera riserva sorprese gastronomiche inattese: la pasticceria Milady ne è un esempio, dimostrando come una solida base classica e una mano misurata nel contemporaneo conducano ad esiti decisamente meritevoli.

Informazioni

Pasticceria Milady

Indirizzo: Via Trieste 141, Marghera (VE)

Numero di telefono: 041 923989

Orari di apertura: da martedì a domenica 6-13, 15-20; lunedì chiuso

Sito Web: https://www.pasticceriamilady.it/

Ambiente: moderno e accogliente

Servizio: cordiale ed efficiente

Voto: 7,5/10

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Pasticceria Bar Prosdocimi a Martellago, recensione: la docissima certezza mestrina

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La pasticceria Prosdocimi è un’impresa di famiglia. Aperta nel 1980, nel corso del tempo ha visto il coinvolgimento progressivo di molti componenti di quello che è un folto gruppo composto da mamme, mogli, fratelli, sorelle e cognati: il nucleo fondamentale rimane tuttavia quello formato da Renzo Salviato e dai nipoti Enrico e Simone Prosdocimi. Il primo, e ormai storico, indirizzo è quello di Zelarino, alla periferia di Mestre: uno spazio in stile liberty classico che nel corso del tempo è diventato punto di riferimento per una clientela affezionata.  Nel 2018 ecco la seconda insegna, aperta a Martellago, piccolo comune poco distante da Mestre: nella piazza cittadina, e vicino alla chiesa, come ogni pasticceria che si rispetti.

Qui gli spazi, più moderni, consentono di dare maggior risalto anche all’offerta salata e alla proposta di piccola cucina, anche se il dolce resta protagonista. Prosdocimi è nota, tra gli appassionati e i clienti fedeli, per la crema pasticciera, che assurge a pietra di paragone sulla base della quale misurare l’offerta della concorrenza. Conseguentemente, come effetto cascata provocato dalla suddetta crema, è nota anche per la millefoglie e per la diplomatica, con il pan di Spagna al posto della sfoglia.

In stagione, non mancano i lievitati: la focaccia (in realtà si trova ormai quasi tutto l’anno) e i panettoni, artigianali e con lievito madre. Insomma, le premesse (un indirizzo decennale, una seconda apertura all’insegna della modernità e dei pezzi forti) inducono a buone aspettative.

Ambiente e servizio

Prosdocimi (2)

Prosdocimi (6)

L’indirizzo di Martellago rimanda indubbiamente un’immagine rinnovata e fresca di Prosdocimi: se l’insegna di Zelarino vede legno, marmo e bancone classico in un contesto non troppo ampio, qui gli spazi consentono di poter presentare al meglio l’offerta. Le ampie vetrate danno luce ai tavolini all’interno, mentre il dehor dà completezza.

L’interno è accogliente e privo di freddezza: emerge un ordine piacevole, confermato dalla separazione tra lo spazio riservato al bancone delle paste e quello della caffetteria di fronte alla quale trovano posto le proposte da colazione e un ulteriore bancone dove poter consumare in piedi. L’offerta del mattino è tradizionale: brioches con diverse tipologie di farcitura (marmellata, crema, cioccolato, pistacchio), sfoglie alle mandorle e con crema pasticcera e krapfen. Il bancone vede una successione di classici, proposti sia in formato normale che mignon: cestini di frolla con crema e frutta, millefoglie, diplomatiche, cannoncini, paste alla mandorle, bignè. Chiude la biscotteria secca, con frolle, meringhe, petit four.

Il servizio è cortese ed efficiente, e si nota una piacevole attenzione riservata alle abitudini quotidiane dei clienti fissi.

L’assaggio

Prosdocimi (4)

Prosdocimi (10)

Prosdocimi (1)

Tra le proposte da colazione, la scelta cade su una brioche alla marmellata e su una sfoglia con ripieno alla mandorla. Malgrado l’impasto sia ben eseguito e non untuoso, in entrambi i casi è l’eccesso di zucchero a prevalere sul resto e a spegnere qualsiasi nota olfattiva e gustativa, che non permette di cogliere né il sapore pieno della pasta, né quello del burro. Una dolcezza oltre il limite, che solo la presenza della mandorla, dal sapore riconoscibile, riesce a smorzare, ma che non riesce tuttavia ad impedire di rendere necessario un bicchiere d’acqua per pulire il palato. Rispettoso dei parametri di gusto e aromaticità il caffè.

Ed è ancora una presenza oltre il limite di un sapore dolce, uniforme e diffuso, a penalizzare il vassoio delle paste. Gli impasti, come nel caso precedente, rivelano una buona mano: dalla frolla, dal sapore pieno e dal bello spessore, alla sfoglia, croccante e rumorosa, dal bignè alla diplomatica, si riconosce indubbiamente esperienza. Ciò che fa assomigliare la quasi totalità del vassoio ad un’unica variazione sul tema è la crema pasticcera: sulla consistenza – soffice e ariosa, nulla da dire. E’ il gusto, o meglio l’assenza di esso dovuto ad un eccesso di zucchero, a renderla una presenza monocorde, che replica se stessa in forme diverse a seconda della pasta che la ospita. Anche le proposte senza crema pagano l’eccessiva dolcezza e in questo caso né le mandorle né il cioccolato riescono a correggere lo sbandamento e dare tregua al palato. Un vero peccato: nonostante si percepisca un’indubbia manualità, una nota stonata non consente di cogliere appieno profumi, note aromatiche, fragranze.

Scontrino Prosdocimi

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L’imperdonabile caffè bruciato di una pasticceria bene

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Togliete il caffè dalle mani dei grandi pasticceri, almeno. Bruciato, muffato e ciononostante candidato all’Unesco, sopravvalutato nella nostra tradizione e sottovalutato nel gusto, nei nostri bar e ristoranti, il caffè è bistrattato nel peggiore dei modi proprio laddove sarebbe parte integrante di un’offerta gastronomica: le pasticcerie.

Che nella maggior parte dei casi propongono:

  • una caffetteria senza nome, né arte, né parte, bruciacchiata ma a prezzo leggermente superiore rispetto ai soliti bar, perché il posto si paga, ma è il caffè no;
  • in alternativa, una caffetteria “firmata” dallo sponsor/partner commerciale in bella mostra sul menu, spesso bruciacchiata.

Okay, il discorso è trito è ritrito e ciclicamente torna in voga (giusto qualche giorno fa su Repubblica, per esempio). Da anni sulle pagine di Dissapore ripetiamo che l’espresso di cui tanto andiamo tronfi è mediamente zozzo, recensiamo pasticcerie più o meno blasonate alzando il ditino sulla tazzina che puntualmente abbassa il livello, parliamo di onde del caffè, immaginando che la third wave dello specialty possa educare i palati con più velocità, auspicando più in generale che la maggiore sensibilità e assoluta urgenza rispetto al tema della sostenibilità -ambientale ed economica- possa sensibilizzare maggiormente il mercato in maniera trasversale.

Insomma, prima ancora del risultato in tazza e dei virtuosismi sulla scelta di questa o quella singola piantagione, questo o quel processo estrattivo, speravo avremmo iniziato seriamente a chiederci da dove caspita arriva quella drupa, com’è coltivata, come sono gestiti i rapporti commerciali e quanto è pagato l’agricoltore. E perché, dannazione, stiamo pagando il caffè del bar 1 euro.

Una nenia che ci ripetiamo spesso insomma, spesso puntando il dito contro il bar qualunque, che in fin dei conti ha l’unica colpa di avere un’offerta qualunque. Ma se posso perdonare l’ignoranza del baretto di paese, capisco molto meno le scelte di chi ha curato e selezionato ogni aspetto dell’esperienza, trascurando proprio il caffè.

Perché le pasticcerie odiano il caffè?

Alcune di queste sono diventate delle vere e proprie mecche gastronomiche (le conosciamo, no?): il grande lievitato da 40 euro al kg, la pasticceria “alta”, scontrini medi proporzionati all’esclusività dell’esperienza e poi ti ritrovi a sorseggiare un caffè che vorresti dimenticarti ma non riesci, il ricordo è così pessimo da vincere il guinnes in persistenza.

Ecco, io davvero non vi capisco. Trovo in questi contesti certe scelte inizino davvero a stridere, perché si osserva cura in tutto tranne che sul caffè, perché chiamiamo Maestri gli artigiani che professano i loro credo e perché siamo disposti a pagare purché ci educhino con quel credo. Non si tratta nemmeno di indossare i panni dell’ambasciatore, più semplicemente vorrei poter osservare la medesima cura che osservo nel selezionare l’agrume x e la farina y, per dire. La tazzina di caffè dozzinale mi rattrista più qui che altrove, perché è in contesti come questi dove mi aspetto si faccia cultura.

Sto forse dicendo che non esistono esempi virtuosi? No, affatto. Ci sono artigiani e imprenditori che hanno fatto scelte diverse: Paolo Brunelli e il suo Combo a La Marzocca e Mara dei Boschi, restando sempre in tema di gelatieri, Dolce Mascolo a Frosinone e i ragazzi di Forno Brisa. Ma anche Rimessa Roscioli e Walter Musco, tutti nomi notissimi che di certo non hanno bisogno di presentazioni –e che sicuramente avrebbero potuto fare scelte commerciali più “comode” (quanto più sei noto tanto più sei corteggiato dai grandi marchi e a volte foraggiato con sponsorizzazioni)- ma che hanno deciso di proporre caffè con un occhio alla filiera e al risultato in tazza.

E se penso a contesti meno mainstream come non citare Bedussi, locale bresciano con un’ampia proposta dolce e salata che tratta specialty dal ’92. O Erzulie Dolcevite, deliziosa season backery in quel di Traversetolo in provincia di Parma. O ancora Cristalli di Zucchero a Roma, la Casa del Dolce della famiglia Bertolini a Cologna Veneta, ma anche a La Foietin in quel di Schio in provincia di Vicenza. O ancora Vanilla Biscotti a Palazzolo Sull’Olio.

L’elenco è senza dubbio incompleto, del resto non era quella l’intenzione, cercavo piuttosto esempi utili a sottolineare il fatto che è possibile fare scelte diverse: si possono proporre caffè migliori sotto tutti i punti di vista (etica, sostenibilità, risultato in tazza) e magari alzare pure lo scontrino medio.

La prassi, invece, è quella di relegare il comparto caffetteria al ricarico più alto possibile, attraverso questo o quell’accordo e spesso rendendosi mascotte di questo o quel caffè, partecipando a un corto circuito culturale in cui i grandi player sguazzano con gioia, perché permette loro di continuare a massimizzare i profitti acquistano una materia prima di scarsa qualità. Un meccanismo perverso, che ovviamente ha ripercussioni inevitabili in tazza. Caffè sovra-tostato per coprire i difetti di una materia dozzinale, con un profilo sensoriale amaro e con sentori di bruciato.

Sradicare questo paradosso culturale tutto italiano è una faccenda complessa, che vede ovviamente coinvolti tutti gli attori della filiera, ma con responsabilità differenti: i grandi pasticceri, ormai alla stregua filantropica dei colleghi chef (e in qualche caso ancor più famosi), ne hanno qualcuna in più.

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Pasticceria Dal Mas a Venezia, recensione: la tradizione veneziana a pochi passi dalla stazione

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“A pochi passi dalla stazione ferroviaria”: così si presenta la Pasticceria Dal Mas di Venezia. E se i dintorni della stazione nelle città turistiche – nello specifico: Lista di Spagna, direttrice che conduce a Rialto – sono spesso sinonimo di luoghi per pacchiani acquisti last minute, compiuti con l’obiettivo di portarsi via l’ultimo pezzo della città o recuperare in extremis a dimenticanze di varia natura, qui bisogna ricredersi e dare il giusto spazio, tra negozi di cianfrusaglie e magneti, pacchi di pasta tricolore e locali che odorano di precotto, ad una pasticceria che è un insegna di riferimento in città.

La storia incarna l’epopea del Veneto del dopoguerra, con molte partenze e pochi ritorni. Una famiglia, i Balestra, che negli anni ’50 emigra in Germania portando con sé l’arte della gelateria. Nel 1965 il ritorno a Venezia, con l’idea di aprire un’attività all’insegna della tradizione e della storia dolciaria cittadina. Se apparentemente poco è cambiato da allora – l’abbiamo detto per le altre pasticcerie di Venezia: la dimensione classica è ormai la “cifra stilistica (sic!) per la gran parte degli indirizzi – basta spostare lo sguardo dall’ingresso principale a quello accanto e trovare una cioccolateria moderna, con praline, macaron, tavolette e soggetti a tema. Aperta da qualche anno, non vuole essere la versione contemporanea della storica casa madre, né rinnegare il passato, quanto piuttosto raccontare la volontà di specializzarsi anche nell’ambito del cioccolato lavorato in modo artigianale.

Il locale

Dal Mas (14) Dal Mas (11) Dal Mas (14)

Tra le insegne cittadine, è sicuramente una delle più piccole. Un locale di pochi metri quadrati, in cui tuttavia c’è spazio per rappresentare bene un’offerta completa. In vetrina i dolci della tradizione veneziana (focacce, zaeti, pan dei Dogi), all’interno – tra marmi retrò e legno – un bancone ordinato con l’offerta per la colazione (che in stagione vede anche frittelle e galani) e uno per le paste. Un paio di tavolini alti per una consumazione che purtroppo non consente una sosta prolungata, e per finire, alle pareti, una rassegna dei gloriosi tempi andati, tra scatole di latta di biscotti e baicoli (la colpa, per la verità, è anche delle case produttrici, avvinghiate al passato). Grafica e font, tuttavia, guardano all’oggi e concedono una ventata di creatività.

Efficienza e ordine sono i tratti distintivi del servizio: il che non significa rudezza o maleducazione, quanto piuttosto la necessità di governare con mano ferma un flusso costante di clienti, che vede veneziani rapidi accanto a turisti in perenne dilemma esistenziale su cosa scegliere per una vera esperienza in città.

Colazione e paste

Dal Mas (3)

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Belle, ordinate e capaci di restituire sin da dietro il banco un senso immediato di freschezza e di artigianalità tutte le proposte da colazione: brioches con vari ripieni, fagottini di sfoglia, girelle con uvetta, croccanti, dorate e con una nota di cannella che rimanda a memorie austro-ungariche. Immancabile l’assaggio di uno dei prodotti di punta: il kranz. Provato in versione al cioccolato (e venduto a peso) è eseguito a regola d’arte con strati di sfoglia e brioches a rincorrersi e darsi man forte a vicenda. Dolcezza ben governata, mai eccessiva: merito anche del cioccolato, che non diventa solo aggiunta indulgente alla golosità ma carattere con identità decisa.

Pasticceria dal Mas

Si muovono nel pieno rispetto della classicità le paste: non solo per dimensione ma anche per struttura. Non si esce mai dalla cornice ma se l’impostazione è eseguita con maestria e artigianalità, il quadro d’antiquariato è pur sempre oggetto di ammirazione ed apprezzamento. In successione, c’è tutto: bignè, frolle, romane, greche, creme, fiamme. E ovunque ci si muova, c’è un marchio distintivo: sia nella frolla bella burrosa, sia nell’impasto della sacher, umido e saporito, sia nell’aggiunta di note liquorose alla crema pasticcera, sia nella ricotta lavorata con le gocce di cioccolato senza diventare stucchevole, sia nella sfoglia, croccante, dorata, con gli strati capaci di stare solidamente in piedi da soli, senza che la crema sia usata a mo’ di collante. Nessun errore.
La caffetteria segue la linea complessiva: il caffè è ben eseguito, anche se non spicca per note aromatiche.

Dal Mas scontrino

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Ascolese, la boutique dei lievitati a San Valentino Torio: recensione di un locale che farà trend

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Ascolese – la boutique dei lievitati – è una realtà inaugurata a metà luglio a San Valentino Torio che (qualora confermi la buona volontà e la voglia di sperimentazione) sarà destinata a continuare il nuovo fortunato filone delle bakery all’italiana.

E non dite che non ve l’avevamo detto: allontanandoci dagli shop dei panifici ed allargando i nostri orizzonti, i negozi di soli lievitati saranno il nuovissimo trend da seguire. Se la pizza è stato il motore primigenio di questa ossessione di acqua, lievito e farina, il panettone ne è stato il sequel naturale: definirlo meneghino ormai è riduttivo, visto che maciniamo sold out su sold out con i panettoni tutto l’anno provenienti da ben altre zone d’Italia.

Pizza e panettone hanno portato inevitabilmente alla creazione di accoglienti proposte aperte tutto il giorno, negozi dedicati alle sole creazioni lievitate aperte dalla colazione alla cena, praticamente per ogni esigenza. Dai cornetti, alle sfoglie, passando al pane quotidiano e alle pizze, al panettone al taglio. Un esempio su tutti? La Tiri Bakery & Caffè di Potenza.

Fiorenzo Ascolese

Panificio Ascolese; panettone artigianale Panificio Ascolese; panettone artigianale Panificio Ascolese; panettone artigianale

Ma oggi parleremo di Fiorenzo Ascolese, patron di Panificio Ascolese, che ha poco più di trent’anni ed uno dei nostri beniamini della pasta lievitata: presente dal 2016 nelle classifiche annuali dei panettoni targate Dissapore, i suoi grandi lievitati presentano una struttura decisa e solida, vanto dell’intera zona. Siamo nella famosa zona di mezzo tra Napoli e Salerno, ad un tiro di schioppo c’è l’esempio di Alfonso Pepe e, appena al di là di questo lato dei Monti Lattari, c’è il maestro di pasticceria ed imprenditoria Sal De Riso.

La famiglia Ascolese ha studiato bene, nel corso degli anni. Si è partiti con il cuscinone alto ci conquistò e, da allora, è il marchio di fabbrica. Fiorenzo, che non è mica uno sprovveduto, ha colto al volo l’odore del trend ed ha da poco più di un mese inaugurato Ascolese – la boutique dei lievitati nel suo paese natale, a San Valentino Torio, in provincia di Salerno.

Da queste parti – siccome siamo esperti di posti di notevole valore, aperti in piazze che potremmo definire “economicamente poco appetibili” – siamo andati a far visita. Anche più di una volta, a dire il vero, perché la boutique di Fiorenzo si presta bene per una spesa veloce o per una colazione lunga, o una cena.

Il posto, l’offerta gastronomica

Ascolese, la boutique dei lievitatiAscolese, la boutique dei lievitatiAscolese boutique lievitati sala

Dicevamo: San Valentino Torio non è proprio caput mundi, ma d’altronde non lo erano nemmeno Sant’Egidio del Monte Albino o ancora Acerenza. Tanto di cappello a questi imprenditori che provano a mettere il turbo a delle situazioni socio-economiche difficili.

San Valentino Torio è famoso per essere, appunto, il paese dedicato al Santo degli innamorati (vi giuro che la scrivente ha visto decorazioni ad hoc per il 14 febbraio, cuori giganti al neon per intenderci). Oltre questo, tra i miei ricordi riesco ad annoverare le polpette di pastenaca (cioè, di carote) incredibilmente buone e la famosa-in-zona “Infiorata”, cioè una complessissima manifestazione in cui abili fioristi compongono delle vere e proprie opere d’arte con i fiori.

Non una città, nemmeno un grande paese. Un paesino, insomma.

La boutique dei lievitati Ascolese affaccia su strada, c’è qualche parcheggio a disposizione. Tutto si gioca sui toni del bianco, in un’idea – molto idea – di chabby chic. Locale ampio, che permette di fare sia fila all’interno che all’esterno, personale in abbondanza che dirige bene la clientela verso l’uno o l’altro lato, dolce o salato che si voglia scegliere. C’è una piccola selezione di prodotti da panificazione semi-professionali e di pasticceria, così come una selezione di confetture e di miele della zona.

Le sale interne accolgono una ventina di posti a sedere, che si sommano a quelli esterni: una cinquantina in totale, ben distanziati e con sedute comode.

I dolci, l’esperienza

Ascolese, la boutique dei lievitatiAscolese, la boutique dei lievitatiAscolese, la boutique dei lievitatiAscolese, la boutique dei lievitatiAscolese boutique lievitati cornetti

La boutique di soli lievitati di Ascolese offre esperienze a più livelli, partendo dalla colazione. Il comparto da colazione è vario e goloso, con le teste d’ariete rappresentate dai cornetti: c’è la possibilità di scegliere tra il cornetto sfogliato all’italiana (molto buono), il cornetto ischitano (che sarebbe una variante locale composta da un esterno di sfoglia ed un interno di brioche) ed altre possibilità estemporanee della giornata. Memorabile la graffa di pasta lievitata, ben fritta e senza alcun ritorno di olio, da me preferita liscia e senza farciture. I più golosi potranno scegliere tra la taglia M e quella L, ripiene di cioccolato o crema.

Pezzi forti della colazione, il cornetto sfogliato ai frutti rossi e miele così come quello sfogliato alla crema pasticciera al limone: prendetene uno, apritelo in due e perdetevi nell’infinita puntinatura nera della vaniglia e il pizzicorio del limone.

Il caffè proposto è il classico espresso napoletano, con una miscela creata da una major. È un caffè ben eseguito, leggermente più tostato ma dalla bevuta semplice, non troppo carica.

Ascolese, La Boutique dei lievitatiAscolese, la boutique dei lievitati

Il comparto salato è altrettanto interessante e, se proprio vogliamo, è quello che ha la possibilità più ampia di svilupparsi durante il giorno. Si va dai tranci di pizza ai vari gusti, come la classica margherita o una insolita combinazione con le carote, prodotto d’elezione del paese. Virando sulle focacce farcite, la situazione si fa “complessa”: patate al forno e lardo pancettato, scarola con olive, capperi ed alici, mortadella, ricotta e pistacchi interi, con prosciutto e pomodori freschi. Forse la complessità delle farciture sacrifica un po’ il crunch della focaccia, che è soddisfacente al morso soltanto con le farciture “a crudo” (come quella di prosciutto e pomodori), rendendola forse un po’ troppo invernale per il periodo. Ma l’elasticità dell’impasto e la cottura sono quelle giuste, ammirevoli.

L’aperitivo – alcolico o analcolico che sia – è convenzionale, con i cocktail IBA a disposizione, accompagnati dalla proposta finger che cambia di giorno in giorno. Focaccia, polpette, arancini e frittatine.

Essendo una proposta variabile giorno dopo giorno, non c’è un menu fisso da consultare, ma il personale è molto gentile a dare tutte le indicazioni del caso. In linea di massima, la cartellonistica indica prezzi che vanno da 1,30 euro per i cornetti farciti, le graffe (di varie dimensioni e farciture) da 1,00 euro a salire, i tranci di pizza e focaccia a partire da 1,50 euro a salire a seconda della farcitura.

Ascolese boutique lievitati scontrino

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Pasticceria Sal De Riso a Minori, recensione: la migliore ricotta e pera, da chi l’ha inventata

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Il dato è incontrovertibile: Salvatore De Riso è il telepasticciere più famoso di sempre alla tv. Se la sua telecarriera inizia presto, negli anni ’90, qualche anno in più ha la sua carriera da pasticciere, partita sul finire degli anni ’80. Il terremoto AMPI gli ha dato, a partire da quest’anno, la possibilità di presiedere l’Accademia di pasticceria più importante d’Italia. Ad oggi, il marchio Sal De Riso è uno dei più riconoscibili in pasticceria: un lavoro del genere ha richiesto decenni di assestamento e prove ed un laboratorio all’avanguardia, con relativi investimenti. Si contano, senza favoleggiare, più di cento persone all’attivo, appartenenti a diverse maestranze, tra il laboratorio di Tramonti (Salerno) ed il bistrot di Minori aperto al pubblico.

Siamo lontani dalle glorie del piccolo artigiano sconosciuto: a Sal De Riso va il merito di aver avviato un indotto economico notevole in una zona che, al di là del turismo, fino a pochi anni fa non viveva di molto commercio.

Il bistrot Sal De Riso a Minori, ubicato al numero 80 di Via Roma e aperto nel 2016, è una delle tappe imprescindibili di chi ha la fortuna di passare le proprie vacanze in Costiera, ma anche da avventori di passaggio e del turismo di prossimità.

Siamo andati a testare l’offerta completa, per capire se – e insomma! – alla fama televisiva corrisponde effettiva bontà nella casa madre.

Il locale

Pasticceria Sal De Riso; MinoriPasticceria Sal De Riso; Minori Pasticceria Sal De Riso; Minori

Il corso principale di Minori, località tanto di passaggio quanto bella della Costiera amalfitana, vede la presenza di due De Riso; quello che interessa a noi è il bistrot ubicato al numero civico 80, facilmente riconoscibile dal logo onnipresente. Il bistrot conta due verande esterne con molti posti a sedere, circa un’ottantina. Gli interni sono molto curati, con mattonelle in ceramica vietrese sia sulle pareti che per la pavimentazione. Tutto viaggia sui toni del blu marino.

L’offerta da scaffale è completamente declinata in marchio Sal De Riso, ovviamente: è stato tra i primissimi pasticcieri del Sud a capire l’importanza del “cadeau” di pasticceria da portare a casa, vista anche la vocazione vacanziera del posto. Si viaggia tra liquori, biscotti, libri, dolci in vaso (ho adorato gli struffoli in vaso, da guarnire con i diavulilli a parte), ed altre cose decisamente fuori target come piccoli capi d’abbigliamento (sì).

I dolci, core business del nostro pasticciere, possono essere consumati sia anche al banco, insieme a caffè ed altre bevande fredde o calde. Nel caso del servizio al banco dei dolci, l’impiattamento è in piatti e posate compostabili.

Il bistrot di Sal De Riso è decisamente pet friendly: di default, quando viene “avvistato” un quattro zampe, viene servita la ciotola d’acqua con alcuni biscottini ad hoc, fatti nei loro laboratori.

Numeroso il personale, sia in sala, che al banco che – almeno da quello che posso vedere – nelle cucine. Nonostante la soleggiata, affollata giornata di metà agosto, siamo di fronte ad un meccanismo ben rodato: lo scaglionamento della clientela è giusto, gli affollamenti evitati, i dpi correttamente indossati.

Si vive nel mito di “Sal”, insomma: un personaggio televisivo, rassicurante, ottimo imprenditore. Resta solo da vedere com’è, puramente, l’offerta gastronomica.

L’offerta, l’esperienza

Pasticceria Sal De Riso; MinoriSal De Riso

L’offerta del bistrot a Minori copre, praticamente, tutto l’arco della giornata: dalla colazione ai pasti principali, passando per le merende, i semplici caffè ed i cocktail. Il risultato è un menu praticamente sconfinato, presente per ovvie ragioni sia in italiano che in inglese. In caso di problemi e di perdita dell’orientamento, il personale sarà capace di indicarvi le scelte migliori.

La proposta salata vede la presenza di una nutrita rappresentanza di antipasti di mare (buoni, dal costo sostenuto: siamo sui 20 euro, ma è un buon compromesso tra qualità e zona), primi piatti (pasta fresca e secca con vari sughi, risotti, gattò di patate), piatti unici (parmigiana). Presente anche la pizza (dai 9,00 euro a salire): un velo di farina in eccesso ma scrocchiarella, piacevole e guarnita soprattutto con prodotti del territorio, cottura lodevole. Mi sa che i pasticcieri sono i veri esperti di cross selling.

Pasticceria Sal De Riso; MinoriPasticceria Sal De Riso; MinoriPasticceria Sal De Riso; Minori

Il comparto dolce vede tutte le creazioni di Sal De Riso messe una in fila all’altra: il prezzo è di 5 euro al banco, 7 euro al tavolo con relativo impiattamento dove è presente anche un assaggio di gelato, discreto.

Siamo nel posto e dal pasticciere che ha inventato la torta ricotta e pere, più o meno imitata da tutti i colleghi della Campania ed anche da parte del restante comparto dolce italiano: ecco, resettate i vostri ricordi perché qui c’è da assaggiare LA ricotta e pere, versione non imitabile. I

l biscotto alla nocciola (non banale pastafrolla e basta) è friabilissimo, rotondo. Il ripieno di ricotta e pere Williams è servito alla giusta temperatura, non c’è ritorno di latticino, non c’è eccessivo peso come invece capita altrove: il confine tra una ricotta e pera e un dolce ALLA ricotta e pera è davvero labile. Saggia la lavorazione del frutto, che risulta un cubettato semi-candito. Non c’è più la pera pennata (frutto con la quale nacque questa torta), ma inutile prendersi in giro: non ce l’ha fatta a diventare il nuovo pistacchio di Bronte, ma la pera Williams sostituisce egregiamente.

Pasticceria Sal De Riso; Minori

Aperto il capitolo dolci con la ricotta e pere, un assaggio ulteriori di torte – dai nomi “importanti almeno tanto quanto l’assaggio – è d’obbligo. La torta Panarea, con il biscotto al pistacchio, crema mantecata di ricotta e vaniglia con cremoso al pistacchio, è da far impallidire gli amanti dell’oro verde per consistenze ed equilibrio. Gli amanti del cioccolato troveranno golosa ed imperdibile la Cinque Sensi, con cuore e croccante di fondente e cremoso alle nocciole. Fresca e simpatica la cheesecake ai frutti tropicali e yuzu, dove il protagonista – oltre il frutto – è lo squacquerone, più delicato rispetto ad altre scelte solite. Per gli amanti del classicismo, la millefoglie con crema pasticciera ed amarene è un ottimo banco di prova.

Pasticceria Sal De Riso; Minori

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Cortina d’Ampezzo: le migliori pasticcerie, per chi se ne infischia degli sport di montagna

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Che di Cortina d’Ampezzo si dica quello che si vuole, che è meta per riccastri, parvenu, turisti che vengono qui a far sfoggio di macchinoni e mocassini, più che a godersi le vacanze, questa piccola cittadina del bellunese gode di una posizione di assoluto privilegio tra laghi e montagne eccezionali. Ma visto che qui non siamo escursionisti (non solo almeno) ma cercatori di bellezze gastronomiche, diamo uno sguardo alla Cortina del cibo e soprattutto, delle pasticcerie.

Sui lievitati e sui dolci, inevitabile che si fondano su questo territorio le tradizioni della pasticceria austriaca e tirolese, come di quella più spiccatamente italiana, in un contesto che riserva qualche sorpresa: sono almeno tre le pasticcerie di Cortina d’Ampezzo meritevoli, secondo noi.

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Dal Nono Colussi a Venezia, recensione: la fugassa veneziana che merita la deviazione

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Diversamente dalle altre pasticcerie di Venezia, sistemate in posizioni strategiche in zone di passaggio turistico e campi affollati, la pasticceria Dal Nono Colussi in Calle Lunga San Barnaba presuppone una ricerca, sottratta com’è alla vista malgrado la vicinanza con Campo Santa Margherita, ritrovo di universitari e luogo di aperitivi per eccellenza. Se Dorsoduro è uno dei sestieri in cui l’autenticità cittadina è ritrovabile in modo più vivo, del Nono Colussi si può dire lo stesso, come a stabilire una corrispondenza con il luogo di appartenenza.

La storia della pasticceria e la “fugassa veneziana”

Nono Colussi Nono Colussi (6)
Capita spesso che un’insegna che reca un nome proprio faccia riferimento ad un fondatore dei tempi andati, di cui figli o nipoti perpetuano l’eredità. Qui, a smentire simili ipotesi, arriva una figura in carne ed ossa che si nota buttando l’occhio oltre il bancone e verso il laboratorio a vista: Nono Colussi in persona, al secolo Franco Colussi, in rigorosa divisa bianca d’ordinanza intento a farcire, impastare, lavorare. A lui si deve la fondazione del locale nel 1956, con l’idea di creare uno spazio in cui realizzare le tradizionali ricette veneziane e i dolci più richiesti all’epoca. Ai fanatici del “passaggio generazionale” farà piacere sapere non solo che nel 2012 una delle nipoti di Franco, Marina, ha cominciato a frequentare il laboratorio e ora affianca il nonno nella preparazione dei dolci, ma anche che nel locale lavora pure la figlia di Franco, Linda, mamma di Marina.

Malgrado il legame con la tradizione sia vivo e visibile, lontana è l’impressione di un locale vetusto: il bancone è moderno, ordinato, lindo, l’illuminazione è accogliente e arriva a dare ampiezza ad una pasticceria dai soffitti bassi che sa più di laboratorio, visto che subito dietro alla stanza dove è sistemato il bancone e alcune mensole per la consumazione, compaiono teglie, piani e strumenti di lavoro. Alle pareti, a dare lustro al lavoro decennale e a documentare la storia del locale, sono appesi riconoscimenti, foto e certificati. Niente polvere o nostalgia, però.

Oltre ai dolci, infine, in vendita anche composte di frutta di produzione propria e in periodo di Carnevale, ovviamente, frittelle.
Tradizione veneziana, si diceva. Tra i più illustri rappresentanti, i baicoli, biscotti sottilissimi e croccanti che prendono il nome dai piccoli del branzino, il bussolà forte, arricchito da frutta secca, e soprattutto la “fugassa veneziana”, prodotto di punta della pasticceria. In passato preparata soltanto durante il periodo pasquale, è ora disponibile tutto l’anno e, oltre che in versione intera, anche a fette. Della tradizione di un dolce che non è né colomba, né pandoro, né panettone, vi abbiamo già raccontato. Qui ci resta solo il compito di confermare tutto – lievito madre compreso neanche a dirlo – con una precisazione rispetto alle caratteristiche di quella del Nono: poco burro, impasto soffice e niente glassa mandorlata in superficie, ma solo uno strato di zucchero. Abituati a panettoni che filano e grandi lievitisti, non sarà troppo semplice? Per saperlo, scorrere al paragrafo successivo.

Gli assaggi

Nono Colussi (9) Nono Colussi (8) Nono Colussi Nono Colussi (11) Nono Colussi

Per chi fa del rispetto della tradizione un vanto, l’esame più credibile è quello sui prodotti di punta. Partiamo con la fugassa, quindi: a conferma che il burro aggiunto in quantità all’impasto non necessariamente si traduce in morbidezza arriva un boccone scioglievole, leggero, dalla consistenza soffice e dalla dolcezza governata con maestria. Il sapore è pieno, ricco, dal buon profumo di lievito. Il risultato è che la fetta sparisce rapidamente e che se ne vorrebbero altre. A seguire, in ordine sparso, un mini plumcake con marmellata di amarene, che occhieggia al quatre quart e al quale le amarene conferiscono una nota asprigna che bilancia il resto; una classica torta alle mandorle, correttamente eseguita e coperta da pinoli croccanti; un bussolà, fresco e sodo, al quale una quantità inferiore di zucchero avrebbe forse permesso di esprimere al meglio le note di vaniglia e burro.
Nota di merito per il caffè, per temperatura di servizio ed esecuzione.

Scontrino Nono Colussi

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Pasticceria Rizzardini a Venezia, recensione: quando la storia non basta

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A Venezia capita spesso di imbattersi in corrispondenze odonomastico-gastronomiche. Le calli e i campi hanno nomi che rievocano prodotti, cibi e mestieri ad essi legati. Non sfugge a questo destino la Pasticceria Rizzardini che, lungo la strada che da Campo San Polo conduce a Rialto, è posizionata all’angolo di calle del Forno, una delle tante in città.

Siamo di fronte insomma ad una sorta di nomina sunt consequentia rerum in versione gastronomica. Tra quelle cittadine, Rizzardini è la più antica pasticceria ancora attiva, in una continuità pressoché initerrotta dal 1742.

La storia: tra scaleteri, pasticceri di montagna e dinastie familiari

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A definire con certezza la cronologia della storia del locale arriva prima di tutto l’Archivio di Stato di Venezia che conserva un documento che attesta la presenza di un forno sin dalla prima metà del XVIII secolo. L’attestazione è bizzarra, ma utile: il doge Marino Grimani proibisce la bestemmia nel negozio dello scaleter sito in Campiello dei Meloni (il campiello adiacente alla pasticceria). Come abbiamo raccontato in passato, con l’appellativo di scaleteri si definivano un tempo in città i pasticcieri, riuniti in corporazione e tutelati dal Senato: il nome derivava dalle “scalete”, dolci friabilissimi a forma di scala.

Nella seconda metà dell’800 la storia della bottega intreccia le origini veneziane con quelle di una famiglia del bellunese, i Rizzardini appunto. Per quasi 2000 lire austriache d’argento, Caterina Molin Cigolo, nobildonna, vende la bottega a un ciambellaio e il passaggio segna l’arrivo dalla Val di Zoldo (in provincia di Belluno), della famiglia che darà poi il proprio nome alla pasticceria. Il 1982 segna il passaggio da una dinastia familiare ad altre due, in società. Paolo Garlato e Primo Pulese sono, da allora, i riferimenti per un luogo particolarmente caro ai veneziani, che da attività commerciale è diventato spazio “intimo” e di socialità.

Molta dell’intimità, c’è da dire, dipende dalle dimensioni: una stanza di 15 metri quadrati che, quanto a grandezza, ha pochi rivali in città. Una vera e propria bottega che non ha volutamente ceduto al fascino del restauro e che da anni va fiera delle sue vetrine Art Nouveau con esposti i classici della tradizione (bussolà, baicoli, mandorlato) e dei suoi arredi originali del 1910: per chi riesca a sistemarsi nell’unico bancone centrale quadrato vale la pena, prima di ordinare, passare in rassegna specchiere, marmi, boiserie ottocentesca di legno di rovere zoldano e infine pavimento veneziano, con perle rosetta.

L’assaggio

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Se delle dimensioni del locale s’è detto, quelle del bancone sono conseguenza e direttamente proporzionali. Tuttavia quello con cui ci si deve misurare non sono certo metri e spazi ridotti, quanto piuttosto passato e tradizione. Se infatti l’artigianalità è fuor di dubbio, il complesso degli assaggi è risultato poco convincente dal punto di vista gustativo. Andiamo con ordine.

L’offerta vede prodotti da colazione (cornetti, kipfel, girelle con uvetta) e classiche paste: frolle, cestini, pan di spagna. L’assaggio ha coinvolto entrambi. Sbilanciata la proporzione tra impasto e quantità di crema pasticcera per il cornetto, penalizzato da un effetto “troppo pieno”, che lo rende complessivamente pesante. Un’eccessiva dolcezza della pasta di mandorle, dal gusto definito e pur di buona fattura, penalizza anche il kipfel, la cui sfoglia finisce inevitabilmente per soccombere. Corretta l’esecuzione della frolla, per il cuore ricoperto, valorizzata dalla copertura al cioccolato fondente, mentre decisamente meno convincenti sono la “romana”, dal Pan di Spagna leggermente secco, e le paste con ricotta e con crema pasticcera. Per entrambe una scarsa finezza, un sapore dolce monocorde e ripieni poco saporiti, per i quali non si riesce quasi definire una separazione con l’impasto. Da segnalare il caffè, dell’adiacente torrefazione Caffè del Doge ed il servizio, dallo spirito indubbiamente autentico.

Scontrino Rizzardini

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Le 10 migliori pasticcerie di Venezia

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Redigere una mappa delle pasticcerie di Venezia è meno banale di quel che può sembrare. Si rivela, soprattutto, un ottimo modo per decifrare una città che, se dal punto di vista dell’offerta ristorativa è tutto sommato semplice da interpretare, in fatto di proposte dolciarie svela un carattere diverso, più sfuggente e meno soggetto a chiavi di lettura immediate.

Tant’è che solo dopo aver provato e assaggiato molti prodotti diversi, affiancando i classici da colazione a quelli del vassoio “della domenica”, solo dopo aver terminato il percorso – che si è snodato tra centro storico e terraferma, fino alla periferia – si è arrivati a definire un quadro completo, compiuto e comprensibile.

Il carattere che emerge con evidenza è la classicità degli indirizzi cittadini, che si manifesta sia nella tipologia e fattura dei prodotti sia negli arredi dei locali. Sarebbe tuttavia sbagliato leggere questa identità come una strenua difesa del tipico e del tradizionale: semplicemente, l’innovazione non sembra aver superato i confini del Ponte della Libertà, che separa la città lagunare dalla terraferma. Non a caso, è a Mestre ed in periferia che abbiamo trovato prodotti, presentazioni e locali dalla veste più contemporanea.

La pasticceria veneziana, insomma, sembra essere immune al passaggio del tempo, ferma in un passato nel quale si replica uguale a se stessa, con i grandi classici e le declinazioni di frolla, sfoglia, pan di Spagna a fare da cornice. E se altrove la presenza turistica ha prodotto storture e causato danni irreparabili – nel primo caso il tour dei bacari è ormai entrato a pieno titolo tra gli itinerari imperdibili, assieme a quello culturale che si snoda tra Rialto e San Marco, mentre nel secondo si può ben annoverare sotto l’espressione “danno irreparabile” la quasi totale scomparsa delle trattorie tipiche, trasformate in locali pittoreschi che sfornano precotti a ciclo continuo – le pasticcerie sembrano essersi salvate, rimanendo fieramente, e quasi con piglio indifferente, escluse dalla trasformazione in macchietta.

Venezia centro storico, come si dice da queste parti, vede quindi i suoi punti fermi condurre un’esistenza placida, con banconi dalle paste in grande formato (i mignon si vedono poco), qualche concessione al turista che chiede monoporzioni di tiramisù, e arredi che sono un tripudio di legno, marmo e scatole di biscotti e caramelle, un balzo negli anni ’70. Spazi ridotti e assenza di tavolini per una consumazione più comoda, arrivano a completare il quadro. In qualche caso, un po’ di stanchezza e dei passaggi di testimone non compiuti del tutto hanno condotto ad una perdita di smalto, di qualità e di fascino, percepibile tuttavia più dai puristi e dagli affezionati che dai nuovi clienti: noi che siamo degli assaggiatori ciclici, però, l’abbiamo notato e non possiamo non segnalarlo. Venezia, insomma, almeno quella dolce, è un’isola di classici intramontabili, confortevole e immutabile, che accoglie i propri clienti con solide certezze e che scandisce il tempo individuale e collettivo con torte da compleanno e paste per eventi familiari così come con frittelle a Carnevale.

Diverso il discorso una volta messo piede in terraferma: basta spostarsi di qualche chilometro per trovare proposte e locali dal taglio più contemporaneo, glasse a specchio, mignon, stratificazioni e cromie accattivanti che dimostrano una ricettività maggiore e una maggiore propensione al dinamismo. Niente che possa rivaleggiare con i grandi nomi della pasticceria italiana: siamo pur sempre nella piccola periferia e per di più in una zona della regione un po’ sonnolenta, da questo punto di vista (per dire, basta spostarsi nel padovano e già il livello si alza notevolmente). Tuttavia emerge se non altro tra i pasticceri un entusiasmo diverso e una consapevolezza circa il contesto contemporaneo in cui ci si trova, mentre tra i clienti si nota più curiosità e voglia di assaggiare qualcosa che non appartenga ad una cinquantina di anni fa, seppure fatto a regola d’arte. A voler aggiungere un’osservazione da sociologia prêt-à-porter potremmo dire che molto dipende anche dall’età media degli abitanti di Venezia rispetto a quelli della terraferma e dal fatto che il capoluogo, in particolare per prezzi e servizi, non è proprio a misura di giovani. Ma in questo luogo si parla di frivolezze e di cibo, lasciamo le disamine per altri contesti.

Ecco quindi la gourmap delle migliori pasticcerie di Venezia e terraferma, corredata di recensioni individuali e schede con indirizzi e informazioni utili.

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