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Pasticceria Mignone, Napoli: recensione del migliore babà a 1 euro

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Siamo stati alla pasticceria Mignone, a Napoli, famosa per i suoi babà e per essere ancora una pasticceria classica napoletana tout court. La nostra recensione con prezzi, opinioni e foto.

Questa storia di trovare le migliori sfogliatelle ed i migliori babà di Napoli sta richiedendo un bel po’ di puntate: non è mica facile destreggiarsi. A Napoli città siamo a livelli di feticismo per questi dolci (ed altri) davvero paranoici. Ogni bar, ogni anfratto è disposto a mostrare la propria mercanzia alimentare dolce, millantando caratteristiche che – ahinoi – sovente non si riscontrano nell’assaggio.

Fattore non di certo secondario è il prezzo: negli ultimi anni si è verificata un’impennata dei prezzi non indifferente. Certo, questo non ci impedisce mica di prenderci il dolce: però dolci venduti facilmente ad un euro, un euro e venti, arrivano ora facilmente anche ad un euro e settanta. Questo range di prezzi si riferisce, ovviamente, ai dolci nelle loro versioni tradizionali. I dolci “rivisitati”, con farciture differenti, arrivano ed oltrepassano i due euro, con vette anche di 3,50 euro.

Un prezzo che diventa consistente, se pensiamo che a Napoli con circa 5 euro si può mangiare una media pizza margherita, cioè un pasto completo.

Indagando un po’ nel sottobosco delle pasticcerie low cost e low profile, siamo arrivati alla Pasticceria Mignone di Piazza Cavour a Napoli, famosa per i suoi dolci tradizionali e soprattutto avente la fama di un buon babà (abbiamo notato che questa cosa della fama del buon babà, a Napoli, se la portano parecchi).

Siamo andati a controllare la situazione per voi.

Pasticceria Mignone: una mini pasticceria

La Pasticceria Mignone si trova su di un lato di Piazza Cavour, Napoli, con precisione dove questa piazza confina poi con il gigantesco, fervente di novità, quartiere della Sanità. Un po’ nascosta, per i non avvezzi ai mille arzigogolii di Napoli sarà necessario un giro in più, ma seguite le mie indicazioni: appena individuata la fermata della metro Cavour, scendete sul lato più basso della piazza e la troverete alla vostra destra.

E’ una piccolissima pasticceria, con spazio sufficiente per l’asporto ed un unico banco dolci. Per la vendita, ci sono anche alcuni coloniali vari. Insomma, la più classica delle pasticcerie napoletane. Molto pulita, c’è anche una finestra sul laboratorio dove si può sbirciare il lavoro.

Il banco dolci, come dicevamo, è unico con qualche vetrinetta refrigerata supplementare. Sono presenti in esposizione i dolci tipici della pasticceria napoletana: sfogliatelle frolle e ricce, babà napoletani, zuppette, presenti sia in formato mignon che nel formato convenzionale.

Notiamo che, ormai sdoganati tutti i periodi per i dolci, sono presenti sia le zeppole di San Giuseppe (pasta choux ripiena con crema e sormontata di amarene), che l’ormai iconica pastiera napoletana: dolce che, per la quantità e la qualità di ingredienti (nonché il peso specifico di ogni “ruoto” di pastiera), meriterebbe lo status di bene-rifugio.

Il servizio è cordiale e celere. Durante la nostra visita, abbiamo trovato una sola persona dietro al banco.

Pasticceria Mignone: gli assaggi

La Pasticceria Mignone, come abbiamo già accennato, è una mini pasticceria dove è possibile prendere dolci al vassoio e consumarli poi in altro luogo. Non ci sono tavoli, appoggi, sedute disponibili per consumare questi buoni dolci napoletani in loco. Quindi, abbiamo dovuto ricorrere al metodo asporto, con un vassoio incartatato in carta monografata con i loghi della pasticceria.

Questa premessa è necessaria: abbiamo tenuto conto del trasporto (cosa non proprio facile da fare a piedi, in una Napoli piena di turisti del weekend), della deperibilità del prodotto, dell’inevitabile cambio di temperatura dei dolci. In poche parole, nel nostro insindacabile (platea ride, come da canovaccio) giudizio abbiamo tenuto conto dei fattori penalizzanti ed abbiamo cercato di fare una media ragionevole. Potreste vedere una sfogliatella un po’ ammaccata ed aperta.

Per un totale di 3 euro (tre-euro), abbiamo preso tre dolci classici della tradizione napoletana, come nostro solito: sfogliatella frolla, sfogliatella riccia e babà classico al rhum. Purtroppo lo scontrino è andato volatilizzato in un eccesso smanioso di raccolta differenziata ed un’accesa battaglia su “ma dove si smaltisce la carta termica?”. Fino ad ora è il prezzo più basso che abbiamo trovato per quanto riguarda i dolci della tradizione. Potrete facilmente verificare da soli ed uscirne stupiti, con lo stesso prezzo e bottino, dalla pasticceria Mignone.

Ma, al netto del prezzo già goloso, andiamo a vedere come questi dolci si sono difesi durante il nostro assaggio.

Sfogliatella riccia e frolla

Come da tradizione, partiamo con l’assaggio della sfogliatella frolla. Perfettamente tondeggiante, con una cupola ben cosparsa di zucchero a velo (da noi richiesto), si presenta uniforme e dal peso specifico alto. Dopo breve sondaggio tra gli astanti, decidiamo che sarà almeno un 130-150 grammi di sfogliatella. Una piccola bomba a mano per il gusto, una grande bomba per la dieta (faceva più o meno così, no). Peso a parte, è un bel dolce, con delle crepe decorative sulla cupola che però non ne scalfiscono la struttura. E’ ben chiusa e non si notano fuoriuscite di ripieno.

La temperatura è statica, né calda nè fredda: considerato il trasporto (quasi un’ora tra camminata ed auto), deduco che al momento dell’incarto mi è stata servita ben calda. La pastafrolla è molto “biscottosa”, molto spessa, si nota apertamente lo stacco tra il guscio ed il ripieno e questa non è una cosa che mi piace particolarmente in una sfogliatella, dove la fusione tra i vari ingredienti e consistenze è, a mio parere, uno dei punti forti di questo dolce napoletano. Nel complesso, la sfogliatella frolla della pasticceria Mignone è buona: buona pastafrolla, eseguita a mestiere, lievemente profumata grazie allo zucchero a velo. Ripieno con un buon equilibrio di dolce, con buone proporzioni tra gli ingredienti di ricotta e semolina, apparentemente non ci sono canditi ma con una frolla così “biscottosa” e tenace non sentiamo la mancanza della loro consistenza.

La sfogliatella riccia si presenta delle crepe in più punti: sicuramente tra una chiusura non proprio perfetta del tappo ed il trasporto, diciamo che ne ha passate un po’ di tutti i colori. Ma il problema essenziale di questa sfogliatella riccia non sono le rotture, ma il fatto che è praticamente bagnata sul fondo di bagna zuccherina (fanno fede le dita impiastricciate nella foto): il mistero si svela abbastanza facilmente, perché il compare babà non ha nessun supporto (di plastica, di cartoncino, come lo volete) a separarlo dagli altri dolci, se non un foglio di carta da alimenti plastificato. Che non basta, a quanto pare, a riparare la nostra sfogliatella riccia che ha avuto decisamente la peggio. Un’altra motivazione del “fondo bagnato” della sfogliatella potrebbe essere anche l’umidità eccessiva della sfogliatella al momento del cartoccio. Una penalizzazione eccessiva che di sicuro non avrebbe avuto se l’avessimo mangiata sul posto.

In ogni caso, merita la sua chance. Infatti, al di là dell’incidente di percorso – che avrebbero/avremmo dovuto prevedere in qualche misura – la consistenza della sfoglia nei punti non bagnati è rimasta intatta e di buona fattura, non si vedono bruciature evidenti ed il ripieno è uguale a quello della sfogliatella riccia, con proporzione pressoché esatta di ricotta e semolino, non pervenuta la presenza dei canditi. Un vero peccato.

Babà classico napoletano

Dopo aver constatato che ci ha fatto un bel casino con la sfogliatella, è il turno di assaggiare questo babà. Per quanto riguarda l’aspetto, c’è una sola parola – ed è napoletana – che potrebbe descriverlo: è chiatto. Grassoccio e brunito, ci ha rovinato un dolce però è proprio bello e manda un profumo di buono, di tradizione, di alcol dolciastro che gli perdoneresti tutto o quasi.

Al taglio è sofficissimo e la pasta è setosa. Ben inzuppato, si lascia mangiare facilmente, la pasta si strappa facilmente con le mani. Ecco, è un signor babà napoletano e quasi quasi non credi che te l’abbiano venduto a solo 1 euro. Fatevi un giro nelle pasticcerie napoletane, noterete che tra abbellimenti e semplici rincari, meno di 1,20/1,30 non ve ne uscite. Il babà è un dolce semplice, così semplice che a Napoli uno degli sfottò è si’ proprio nu babba’, per dire “sei un sempliciotto”. Un dolce emblematico e, in questo caso, dal prezzo super-giusto.

Si possono ancora vendere dolci ad un solo euro?

Intendiamoci, senza che ci rifilino tappi di sfogliate surgelati, ripieni improponibili e dolci fatti in serie. La Pasticceria Mignone ci dimostra, in questo caso, che si può offrire un dolce di buona fattura, senza particolari velleità, ma soffrendo anche di disattenzioni importanti.

Se ci concentriamo sulla manifattura, i dolci di questa pasticceria sono ben eseguiti e – nel nostro caso, perlomeno – non abbiamo avuti episodi di sproporzioni tra semola e ricotta, oppure di bagna del rhum decisamente sopra il limite dell’alcoltest. Episodi che sono capitati molto frequentemente anche in pasticcerie di riferimento per le persone comuni, nonché di gastrofighetti (vedere il nostro corpus di articoli sulle pasticcerie di Napoli e provincia). Qualche disattenzione in meno avrebbe potuto farci godere un po’ di più, quindi vi consigliamo di provare la pasticceria Mignone magari non facendo l’asporto, ma accontentandovi di mangiare il vostro babà mentre vi avventurate nella vicinissima Sanità per il prossimo tour gastro-culturale.

Informazioni

Pasticceria Mignone

Indirizzo: Piazza Cavour 145, Napoli
Numero di telefono: 081 293074
Orari di apertura: mar-dom 7.15/20.00. Chiusura il lunedì
Sito Web: Pagina Facebook della pasticceria
Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana per dolci d’asporto
Ambiente: informale
Servizio: rapidissimo

Voto: 3,2/5


Street food Napoli: 11 cibi da provare e 19 posti dove mangiarli

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A Napoli ingrassi, tanto vale farlo bene. Dopo aver fatto nostra questa verità ed aver aggiunto due buchi alla cintura, ci permettiamo un excursus sulla cultura culinaria partenopea, che si snoda per gran parte nella cosiddetta cucina di strada: ecco la nostra mappa dello street food napoletano, cosa mangiare e dove, soprattutto, attraverso 19 indirizzi imprescindibili, rigorosamente testati da noi. 

Da brava città mediterranea – complici il clima, la struttura urbana ed altri fattori – Napoli ed i napoletani passano ancora gran parte della loro giornata all’aperto. Per spostarsi da un luogo all’altro, per lavorare o semplicemente per piacere. Per secoli (ed ancora oggi è così) il porto ha dato molto lavoro ai partenopei; ad oggi, si aggiunge una fortissima presenza turistica che registra in molti periodi dell’anno il sold out.

La città è viva, vissuta e calpestata ogni giorno da milioni di persone: milioni di bocche che, da qualche parte, dovranno sfamarsi. La formula prediletta è il cibo da strada, cioè quello servito direttamente da vetrine, negozietti, anfratti adibiti con pochissima cucina, calderone per fritture, un frigo con le bevande ed una minuscola cassa per battere scontrini davvero da pochi euro. Il costo dello street food a Napoli è irrisorio, similmente a quello delle altre città: si parte da 1 euro per una pizza a portafoglio o un dolce tipico, fino ad arrivare a massimo 6-7 euro per i cuoppi di fritture più pieni ed elaborati.

Lo street food napoletano ha radici così forti nel proprio popolo che l’abbiamo portato ovunque: emigranti come siamo, abbiamo reso la pizza l’alimento più globalizzante del mondo. Basta dare uno sguardo alle feste napoletane in giro per il mondo, tipo la festa di San Gennaro nelle varie Little Italy del mondo: tutto è accompagnato da pastecresciute, eserciti di pizze fritte, crocché.

Di seguito, vi proponiamo una breve disamina su ciò che potreste trovare girando affamati per la città: il meglio dello street food di Napoli secondo noi, attraverso 11 cibi da provare e 19 posti dove mangiarli.

Pizza a portafoglio

Di secondo nome fa “pizza a libretto”, cioè una pizza ripiegata su stessa. Di diametro ridotto, con meno condimento, anche il prezzo è popolano e popolare. Solitamente questa pizza ha poco o nullo fiordilatte, poco pomodoro e poco olio: una versione abbastanza “light” (sic) di una margherita canonica. Il prezzo: raramente la troviamo ancora ad un euro, il prezzo più comune fino a qualche anno fa; oggi la pizza a portafoglio si attesta sull’euro e cinquanta, due euro. I più innovativi propongono anche versioni di pizza a portafoglio con guarnizioni diverse, ma in questo caso il prezzo lievita decisamente.

Indirizzi consigliati:

Pizzeria di Matteo

Via dei Tribunali 94, Napoli

Pizzeria di Matteo 

Classica ed iconica pizza a portafoglio partenopea, da mangiare in piedi a Via dei Tribunali, la strada delle pizzerie napoletane. Un mood irrinunciabile per la vostra prima volta a Napoli; mettersi pazientemente in fila per l’asporto, prego.

Errico Porzio al Vomero

Via Scarlatti 84, Napoli

Errico Porzio al Vomero

Errico Porzio, mattatore social e pizzaiolo dell’hinterland napoletano, ha aperto nel cuore del Vomero un format molto valido di pizza al portafoglio con varie guarnizioni e piccola rosticceria. Pizze al portafoglio classiche e con guarnizioni più particolari.

Pizza fritta

Il rinascimento della pizza fritta su Dissapore l’abbiamo vissuto, raccontato con dieci magnifiche pizze fritte qualche anno fa. La situazione ovviamente si è evoluta, qualcuno ha fatto passi indietro, qualcuno in avanti, nuovi nomi che presto diventano vecchie glorie così vecchie che vanno subito via. Un golpe calorico fatto di pasta ripiena con ciccioli di maiale (ritagli lavorati), ricotta, provola e pepe (la più comune) e fritta in olio abbondante di semi. Un cibo molto meno complicato della pizza in forno a legna, in quanto la cottura avveniva (ed in alcuni posti, avvienea ancora), nel pentolone classico di rame ricolmo di olio bollente. L’olio di semi è un retaggio della presenza americana a Napoli: impossibile poi, non ricordare Sofia Loren ne L’oro di Napoli. Il popolo partenopeo ha il cuore a forma di pizza fritta: alimento molto più povero della pizza napoletana in forno e che – a tratti – sembra davvero quasi scalzarla per valore affettivo.

Indirizzi consigliati:

Da Fernanda

Via Speranzella 180, Napoli

La pizza fritta che fu, come Sofia Loren ne L’oro di Napoli. La signora Fernanda prepara le pizze fritte nel suo vascio come si faceva una volta, con vendita su strada. Due sole le pizze proposte (grande e piccola) ed una selezione di fritturine.

Isabella De Cham Pizza Fritta

Via Arena alla Sanità 27, Napoli

Isabella De Cham Pizza Fritta 

Una brigata di donne a dirigere la pizzeria, a capo la “piccola” Isabella De Cham, provetta friggitrice di pizze fritte, montanare ed altre amenità figlie del Dio Olio. Notevole per la quantità di farciture differenti.

1947 Pizza Fritta

Via Pietro colletta 29/31, Napoli

Classica pizza fritta napoletana fatta ad arte in questa piccola pizzeria esattamente di fronte alla sede storica di Da Michele. Magari da utilizzare come aperitivo nell’attesa di una margherita a ruota di carro.

Fritture piccole

Un solo paragrafo per raggrupparle tutte ed un solo cuppetiello (ndr, porzione tipica servita in carta da alimenti) per assaggiarle. Le fritture piccole sono il più tipico appetizer partenopeo, ne abbiamo di diverse forme, materie e nomi. L’unica costante è il fritto.

Un cuoppo fritto di solito è composto da qualche zeppolina salata, cioè pastecresciute con sale; panzarotti (altrimenti detti crocché) fatti di patate e spesso arricchiti con formaggio e prosciutto, pizzelle ‘e sciurilli (pastecresciute con fiori di zucca), sciurilli fritti (sempre fiori di zucca pastellati e fritti), scagliuozz (triangolini di polenta fritti), palle di riso (la versione partenopea del cisgender arancin*), la frittata di maccheroni (timballi di pasta).

Di recente, l’offerta cittadina si è arricchita anche di cuoppi di mare, con fritture di paranza, calamari ed anelli, oltre che di una serie di verdure pastellate come zucchine e melanzane. Si fa lo struscio (cioè, l’andirivieni per le strade della movida) a qualunque ora del giorno o della notte insieme alle fritture sopracitate, accompagnando il tutto ad una birra ghiacciata (industriale, purtroppo), ma ultimamente qualcuno “osa” proporre l’artigianale.

Indirizzi Consigliati:

Friggitoria Vomero

Via Domenico Cimarosa 44, Napoli

scagliozzi di polenta

Un tempietto dedicato all’arte della piccola friggitoria, dove prendere cuoppi di pastecresciute, scagliuozzi, panzarotti, sciurilli fritti. Nel cuore del Vomero, quartiere residenziale di Napoli.

Sfogliatella e babà

Una Gourmap a breve vi accompagnerà nel vostro peregrinare alla ricerca del dolce tipico migliore di Napoli. A Napoli le pasticcerie d’asporto sono ancora pressoché la maggioranza, come stiamo vedendo in questo viaggio lungo. D’obbligo, quindi, mangiare in strada il prezioso bottino. Via libera a sfogliatelle frolle e ricce, babà, zeppole di San Giuseppe, fette di pastiera napoletana. Sia in versione ortodossa che in quelle new wave.

Qualche tempo fa parlammo, appunto, della crisi della sfogliatella napoletana: facile imbattersi in ogni angolo della città di questi coni sfogliosi e ripieni – anche – di inutilità; facile trovare sfogliatelle svuotate della loro essenza di semola e ricotta e riempite con creme nocciola, se vi va bene. I babà sono stati decapitati e “stratificati” con creme e gelati in bicchieri alti, da mangiare con forchettina.
Noi, nel caso vogliate provare anche qualche dolce classico napoletano, vi lasciamo tutti gli indirizzi validi, in attesa di una guida ad hoc sul tema.

Antica Pasticceria Carraturo

Via Casanova 97, Napoli

Pasticceria Carraturo Napoli

Uno degli indirizzi migliori a Napoli per mangiare sfogliatelle ricce e sfogliatelle frolle nella loro versione tradizionale, babà e anche biscottoni tipici partenopei. Se volete sapere tutto sulla pasticceria, la nostra recensione non potrebbe essere più esaustiva.

Sfogliatelle Lab

Piazza Garibaldi 82/84, Napoli

sfogliatelle lab Napoli

Per la serie, sfogliatelle “innovative”, ecco quelle rivisitate da questa (buona) catena: da quelle dolci, con creme alternative, a quelle salate, anche con salsiccia e friarielli.

Leopoldo Cafebar

Via B. Croce 30/31

Con vari punti vendita distribuiti nella città di Napoli (noi qui vi indichiamo quello nel cuore di Napoli), Leopoldo Cafebar è diventata una catena molto famosa a Napoli: propone diversi dolci da “passeggio” come il babà in bicchiere (stratificato con creme e gelato) e altri dolci tipici rivisitati.

Fiocco di neve

A Napoli inventano un sacco di dolci. Alcuni con esito davvero fallimentare, destinati a finire negli stomaci degli ingordi turisti affamati di zuccheri; altri, resistono alle intemperie social e sono destinati a divenire dei nuovi classici.

Uno di questi è sicuramente il fiocco di neve: una brioche che entra nel palmo della mano, poco più piccola del diametro di una sfogliatella frolla, ripiena di una crema al latte con panna, vaniglia ed “ingredienti segreti”. Un dolcino molto goloso che ha spopolato negli ultimi anni per Napoli. Graziosamente adagiato in un pirottino, molto amato anche dai bambini, ne sono state fatte diverse versioni: dalla crema di latte si è passato alle varie farciture al pistacchio, nocciola ed altro.

L’invenzione, se così si può chiamare, di questo dolce piacione è da attribuirsi al pasticciere Ciro Poppella della pasticceria omonima nel quartiere Sanità. Di imitazioni ce ne sono a bizzeffe ma l’unico ed inimitabile resta il suo.

Indirizzi consigliati:

Pasticceria Poppella

Via Arena Alla Sanità 28/29 e Via Santa Brigida, 69/70, Napoli

pasticceria Poppella; fiocco di neve

L’inimitabile fiocco di neve, pasta brioche ripiena di crema al latte ed ingredienti segreti. Il giovane Ciro Poppella riesce a mantenere l’equilibrio tra la dolcezza e la golosità.

Il pagnottiello

Siamo un popolo ripieno: perché tagliare una rosetta e metterci del companatico quando possiamo fare direttamente un impasto di pane con formaggio, uova, pancetta e chissà cosa? Il pagnottiello – altrimenti detto panino napoletano – è proprio questo: pasta di pizza arricchita con i sopracitati ingredienti e molto, molto, molto strutto. Ai più smaliziati ricorderà sicuramente il tortano napoletano. Ne esistono diverse varianti: c’è chi sostituisce salame a pancetta o prosciutto cotto, in uno slancio healthy.

Indirizzi consigliati:

Antica friggitoria Masardona

Via Giulio Cesare Capaccio 27, Napoli

Oltre che per la pizza fritta, La Masardona è un riferimento per il patnottiello; uno di quei pochi posti dove ancora lo si trova come tradizione comanda. Ben unto e farcito, di dimensioni decisamente generose ed abbondanti anche per due persone.

Per ‘e o muss

Sono stata una brava criatura di provincia partenopea: per me, le occasioni di festa erano accompagnate dal cuoppo di pastecresciute (le sopracitate zeppole salate) oppure dal vassoio di per ‘e ‘o muss.
‘o per ‘e o muss (piede e muso del maiale) è più una ritualità che un semplice riempitivo.

Nasceva da les entrailles, le interiora di animale che venivano buttate giù dai balconi reali per i poveri. Ora: immaginate una Napoli borbonica, nettamente divisa tra povera gente e ricchi. Immaginate questa folla di poveri che corre, urlando les entrailles! les entrailles! Rapidamente, nella lingua del volgo divennero le zendraglie. Ed è meglio non dire ad un napoletano “sei una zendraglia” (prendetela come consiglio di viaggio).

Chi gestiva (e gestisce) le zendraglie è il carnacuttaro, mitologica figura della mia infanzia gastronomica. Il carnacuttaro divideva le interiora gallicamente in tre parti: la trippa, che conosciamo tutti; il soffritto, che è zuppa forte di pomodoro con ritagli di interiora; infine, ‘o per ‘e o muss, che raccoglie parti di cartilagine, mammelle, matrice (utero), sia di bovino che di maiale.  Tutte queste parti ancora si mangiano oggi nella gastronomia campana.

‘o per’ ‘e ‘o muss viene bollito a lungo e conservato successivamente (per brevissimo tempo, data la deperibilità delle parti molli) al fresco. Al momento del vassoio, vengono conditi con abbondante limone, lupini, olive, sovente del peperoncino e sale, direttamente da un corno di osso vero. Ci sono molti ambulanti che vendono questa delizia, vi consigliamo comunque attenzione.

Il migliore in assoluto è ‘o Muss da Francesco (via Zeccagnuolo 11, San Valentino Torio), che però è a Salerno; imperdibile per una degustazione completa di tutti i ritagli “meno nobili” del maiale e del vitello, con piccola sala demodé e stuzzichini. Stando a Napoli, vi suggeriamo di virare su Le Zandraglie.

Indirizzi consigliati:

Le Zendraglie

Via Pignasecca 114, Napoli

Indirizzo consigliato a Napoli città per assaggiare vari tagli di per ‘e o muss, nonché assaggi di zuppa forte di soffritto. Nel cuore della Pignasecca, centro commerciale naturale della città.

Cuzzetiello

Poco ortodossa come scelta, ma prendiamo atto dei cambiamenti della città che ha la sua versione del Trapizzino calliegaresco. Il “cuzzetiello” è in realtà un caposaldo inscindibile dalla cucina classica partenopea, soprattutto quella di casa. Un cuzzetiello è la parte finale di un filone di pane, quindi la parte conica, sovente svuotata della mollica e riempita con i condimenti e le grandi preparazioni della cucina partenopea. Da preparazione casalinga, il cuzzetiello ha avuto una configurazione nell’economia cittadina grazie all’apertura di numerosi punti take away, decisamente affollati.

Il pane migliore per questi cornucopie è il pane di San Sebastiano al Vesuvio, una cittadina sul vulcano, che vede una lunga tradizione di panificatori in forno a legna. Dorato ai limiti, croccante a prova di incisivi.  I condimenti sono vari: passiamo dal classico ragù napoletano lasciato pippiare (sobbollire) ennemila ore, parmigiana di melanzane, zucchine alla scapece, salsiccia e friarielli, e laqualunque calorica che solo il popolo napoletano è capace di partorire.

Indirizzi consigliati:

Tandem d’asporto

via Mezzocannone 75, Napoli

Il format di ristorante divenuto famoso per il suo ragù prevede anche cuzzitielli da asporto con il suddetto condimento. Imperdibile quello con le polpette al sugo e quello con le melanzane alla parmigiana.

‘O cuzzetiello

Via Rimini 51, Napoli⁠

'O cuzzetiello

Format ideato unicamente per la vendita dei cuzzitielli take away, con i condimenti più disparati. Si parte dal ragù e si finisce con la peperonata.

Pizza Parigina

No, non vogliamo confondervi le idee anche se sembra un ossimoro: siamo sempre sotto le falde del Vesuvio ma abbiamo la pizza parigina, che sicuramente molti di voi conosceranno. Vi spieghiamo in ogni caso di cosa si tratta: la base è composta da pasta per la pizza, con un ripieno fatto di poco pomodoro, sovente del prosciutto, della provola, chiusa con pastasfoglia.

Senza andare troppo a scomodare la storia, è facile intuire l’influenza dei cuochi d’Oltralpe nella barocca, grassa monarchia borbonica: stirpi di monsù (ndr, Monsieur, cuochi trapiantati a corte) hanno apportato il loro contributo alla cucina napoletana con creme, sughi e preparazioni come la pastasfoglia. Parigina, a detta di alcuni, potrebbe essere un’agglutinazione di p’a regin, cioè per la regina, un dono fatto ad una imprecisata sovrana.

Per fortuna che questo dono fu fatto, viene da dire: la parigina – quella buona – è una goduria per consistenze e ripieno. Si trova in tranci, cotta in teglia, sovente nelle panetterie e pizzetterie d’asporto. Appena fuori dall’anello metropolitano, ma già in provincia di Napoli c’è un punto di riferimento per la pizza parigina, Panificio Michelangelo (Viale Michelangelo 27, Cercola); Bobb è famoso le sue per pizze “nel ruoto”, cioè cotte in teglie tonde di rame ben unte.

Rimanendo a Napoli città, ecco gli indirizzi consigliati.

Panificio Ambrosino

Via Kerbaker 45, Napoli

Panificio e rosticceria storica della città di Napoli, ottima la loro versione di parigina molto morbida e “da panetteria”.

La Focacceria

Via Emanuele Gianturco 89/91, Napoli

Classica rosticceria di quartiere che effettua anche consegne a domicilio, imperdibile il trancio di parigina.

‘o bror’ ‘e purp

Elisir di lunga vita della povera gente è sempre stato ‘o bror ‘e purp, il liquido di cottura del polipo. Davvero raro da trovare oggi, la vendita di questo nettare popolare è confinato praticamente in un paio di tavole calde del sedile (quartiere) di Porta Capuana. Like an English tea, viene servito in tazze bollenti.

La sua storia ha origini davvero antiche: ne parlava già Giovanni Boccaccio in una lettera all’amico Francesco Baldi, raccontando di come un polipo venne comprato e cucinato, per poi essere inviato alla “purpera” (cioè alla puerpera). Molti secoli dopo, la scrittrice e giornalista Matilde Serao ne “Il ventre di Napoli” ci fornisce questa descrizione della ricetta e del commercio: ““Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta”.

Il brodo – altamente salino, marino, un concentrato di Napoli in pratica – viene servito anche con la cosiddetta ranfetella, cioè un tentacolo di polipo. Molto scenografico e sicuramente da mangiare (o da pucciare) a coronamento del tutto.

Indirizzi consigliati:

‘A figlia d’o Luciano

Piazza Enrico de Nicola 38, Napoli

Uno dei pochi, se non l’unico, indirizzo di tavola calda dove poter reperire ancora una tazza di bror ‘e purp bollente, salino e con la classica “ranfetella”, cioè tentacolo di polipo.

Taralli sugna e pepe

Parliamo qui di un autentico pezzo di storia da burnout calorico. Il tarallo sugna e pepe (la sugna è il grasso del maiale tipico nelle cucine partenopee, dal salato al dolce) si consuma a qualunque ora passeggiando per il lungomare, come aperitivo, spezzafame e per qualcuno anche come pasto completo, visto che non stiamo propriamente parlando di un gambo di sedano.

A forma di treccine intrecciate e tondeggianti, corpulenti, i taralli nacquero sul finire del Settecento: la storia raccontata vuole che i panificatori non sognassero neppure lontanamente di buttar via i ritagli di pasta ottenuti dalle loro lavorazioni quotidiane.

Come d’uso nel popolo partenopeo, si aggiunsero quindi ingredienti molto calorici, ideali per affrontare lunghe giornate fatte di lavori faticosi: la sugna, un bel po’ di pepe e le mandorle. Abbrustoliti ed unti, venivano venduti dai tarallari ambulanti. Oggi, i taralli – diventati oggetto iconico della cultura street partenopea – vengono venduti singoli, al pacchetto ed al chilo in panifici, rosticcerie e tarallifici.

Indirizzi consigliati:

Tarallificio Leopoldo

Via Foria 212, Napoli

Leopoldo taralli, Napoli

Nome storico, tarallificio nato più di un secolo fa a Via Foria, antica arteria commerciale di Napoli, ramificata poi in diverse pasticcerie cittadine. Imperdibili ancora oggi i suoi taralli.

Taralleria Napoletana

Via San Biagio dei Librai 3, Napoli

taralleria napoletana
Giovane format nel cuore della movida universitaria napoletana, Taralleria Napoletana offre taralli di buona fattura, non troppo unti, in accompagnamento ad una piccola selezione di birre artigianali partenopee.

Iginio Massari a Torino: com’è la nuova pasticceria

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Sarà il 28 ottobre l’inaugurazione ufficiale della nuova pasticceria di Iginio Massari, l’attesissima apertura a Torino, in piazza CLN 232, ma una “soft opening” è già prevista per questo week-end, indicativamente tra sabato 18 e domenica 19 ottobre. Oggi l’anteprima dedicata ai giornalisti: c’eravamo anche noi di Dissapore e vi mostriamo le prime foto.

Due piani, una cinquantina di coperti, destinati a diventare settanta con l’allestimento del dehors sulla piazza (centralissima, adiacente la più celebre piazza San Carlo), 26 dipendenti giovanissimi e un ambiente art déco appositamente studiato per l’equilibrio estetico l’architettura circostante. Perché l’aspetto più interessante di questa nuova apertura, al di là della celebrità del pasticcere, è che si tratta della prima di molte altre, in Italia e all’estero, attraverso le quali Massari & famiglia intendono costruire un nuovo brand, declinato su varie (molte, a quanto lasciano intendere) città e flessibile: ogni locale si adatterà al contesto che li ospita, ciascuna pasticceria proporrà un dolce dedicato al luogo.

iginio massari a torinoiginio massari a torinoiginio massari a torino

Come il plumcake al gianduja con la targa di cioccolato dorata a forma di Mole Antonelliana realizzata per Torino, la prima città su cui Massari ha puntato il dito perché “Viva, giovane, senza considerare la storia gastronomica che la precede”. L’intenzione di Iginio Massari è quella di coinvolgere un pubblico il più trasversale possibile, “Dalla signora bene torinese al ragazzo che vuole una buona brioche, fino ai vigili che si fermano a prendere un caffè”.

Per ora, nella nuova pasticceria, si vede un elegante banco nero, tavoli specchiati e un laboratorio a vista, al piano sotterraneo, che ospiterà solo parte della produzione. Non a caso il laboratorio di Brescia, quello che ospita il locale primigenio del pasticcere, è stato ampliato: da lì partiranno basi per paste e torte (per dire), poi terminate e rifinite in loco. Un po’ come già succede per la pasticceria di Milano in Banca Intesa, la seconda parte del lavoro si farà sul posto, davanti al cliente.

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Insomma, il nuovo brand, Galleria Iginio Massari – Alta pasticceria, affronta l’annosa questione della “fusione tra artigianalità e imprenditorialità” (citazione testuale) attraverso una produzione in scala (parole mie) di lusso e un format variabile, con alcune costanti: la contestualizzazione di cui sopra, un'”apertura” verso l’esterno, cioè una finestra dedicata a quello che noi comuni mortali chiamiamo take away, e un banco pasticceria importante, per una focalizzazione sulla colazione. E come dargli torto.

A Torino, per capirci, saranno disponibili 12 varietà di brioche e crossiant diversi. Poi i classici bignè, le torte, un piccolo focus sulla pasticceria salata e chissà cos’altro; dopotutto il locale sarà aperto 7 giorni su 7 dalle ore 7.45 del mattino alle 20.

Un notevole ringiovanimento d’immagine per il super-pasticcere, che a questo punto deve solo dimostrare di saper mantenere uno standard elevatissimo delegando la direzione dei locali ai suoi fidati. Attendiamo la vera apertura della pasticceria per una vera recensione con considerazioni approfondite ed eventuali critiche. Intanto, i numeri sono a favore del maestro: 1000 caffè al giorno estratti dal locale di Milano parlano chiaro. Torino però, come ben sapete voi lettori di Dissapore, è una piazza difficile. Staremo a vedere.

Danny Bar (Pasticceria Madonna) a Napoli, recensione: la sfogliatella dell’aeroporto

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Abbiamo visitato il Danny Bar di Gianni Madonna, chiamato anche “Pasticceria Madonna”,  prima pasticceria che incontrerete sul viale che vi porta all’aeroporto di Napoli, molto famosa per le sfogliatelle: siamo andati a testarla. La nostra recensione

È giunto il momento di guardarci in faccia e dirci la verità, cari lettori. Sì, proprio in amicizia, senza stress e senza timore di essere giudicati.

In aeroporti, stazioni dei treni, autostazioni, autogrill, ci siamo sempre nutriti con qualunque cosa capitasse a tiro. Questo è accaduto almeno da quando l’uomo ha deciso di mettersi in marcia per i motivi più svariati, da stanziale che era diventato.

Con questo spirito (e lo spirito della fame, viene da dire), nacque la guida dei copertoni, la Michelin: gli indirizzi migliori per mangiare e restare a dormire ai margini delle autostrade, nei vostri Grand Tour. C’è da dire che all’interno delle stazioni – ferroviarie, portuali, aeroportuali – fino a qualche anno fa non si è mangiato molto bene, includiamoci anche gli Autogrill. Per nostra fortuna di viaggiatori, da qualche anno a questa parte la situazione è migliorata parecchio: sfruttando sicuramente la quantità di viaggiatori che ogni giorno si muove dal punto A al punto B ed è disposta, pur di non perdere il treno, a sborsare anche cifre superiori al 50% del prezzo normalmente proposto al pubblico per avere un genere di comfort ed il palato coccolato.

L’aeroporto di Napoli non fa eccezione: negli ultimi anni, la proposta aeroportuale si è decisamente arricchita con ristoranti veloci dove consumare mozzarella, pasta, wine bar, anche una pasticceria. Siamo abbastanza lontani dai sandwich gelidi recuperati dai distributori automatici ed innaffiati di Coca Cola.

Se non volete consumare la vostra ultima colazione napoletana già in aeroporto, oppure la vostra prima, noi vi portiamo esattamente a 500 metri dal terminal della città partenopea alla Pasticceria Madonna, su carta Danny’s bar di Gianni Madonna, per assaggiare sfogliatelle e babà che a quanto pare piacciono a moltissimi, napoletani e non.

Pasticceria Madonna, aka, Danny bar: il luogo

Nelle Mappe non troverete Pasticceria Madonna: per ricevere indicazioni dettagliate dovrete, infatti, inserire il nome “formale”, cioè Danny  bar. “Madonna” è l’imperioso ed impegnativo cognome del suo Maestro Pasticciere e proprietario, Gianni Madonna. Ma insomma, inserendo “Danny bar” il navigatore vi porterà all’imbocco del viale che dà accesso all’aeroporto di Napoli Capodichino, una zona periferica della città strettamente collegata all’immediato centro storico attraverso il “vialone”.

Pasticceria Madonna Napoli

Ammettiamo che dall’esterno non è granché invitante, non ha punti d’appoggio interni per consumare i dolci e dovremo quindi, in seguito, ripiegare su una piccola verandina messa a disposizione per chi, come me, non vuole aspettare per mangiare la dolce conquista.

Pasticceria Madonna Napoli

L’ambiente è piccolo, molto caldo visti i forni che tappezzano le pareti dietro la cassa. Il personale di sala finisce i dolci con rifiniture e guarnizioni e poi inforna direttamente sotto gli occhi del cliente. Cottura e messa in vetrina, praticamente a metro zero: lì, dolci non soltanto della tradizione napoletana, ma anche di altre regioni, come i cannoli siciliani già riempiti (siciliani, già vi sento rumoreggiare: il cannolo si riempie al momento, vero?)

Pasticceria Madonna Napoli

Gli assaggi, ma prima il packaging: parliamone

Pasticceria Madonna Napoli

Pasticceria Madonna vince assolutamente il premio come packaging più vistoso del 2019, almeno finora. Se qualcuno tra i vostri contatti poteva aver dubbi sulle vostre vacanze, di sicuro ora non li avrà più: vi presenterete al suo cospetto con una scatola con in sovraimpressione il golfo di Napoli, sterminator Vesevo ammiccante e un sole che sorge per ricordare che la luce della ragione viene per tutti.

*triccheballacche*

Sulla parte superiore, sono indicati anche gli altri punti vendita della pasticceria: un altro a Napoli (poco distante), ed altre due, in diverse province. Sicuramente è un packaging “da viaggio”, protegge bene il prezioso carico.

Vi dirò, a forza di provare pasticcerie napoletane per Dissapore sono giunta a una conclusione: posso chiudere un occhio, in questo caso due, di fronte a un packaging kitsch che garantisca un trasporto sicuro.

Pasticceria Madonna Napoli

Ad ogni modo, provo i classici tre dolci della tradizione (sfogliatella frolla, sfogliatella riccia e babà classico), più un dolce iconico della pasticceria, per darvi una panoramica completa.

Anche all’interno, i dolci sono collocati in maniera strategica: sfogliatelle e dolce particolare sono ben separati dal babà che viene posizionato addirittura in una vaschetta di alluminio, onde evitare allagamenti indesiderati. Al di là del fattore economico (una vaschetta di alluminio è pur sempre una vaschetta da riciclare, poi), è apprezzabile come gesto.

Abbiamo anche consumato il caffè prima dell’assaggio: un caffè buono, con decise note tostate ma non bruciato, davvero un gradevole approccio alla città o addirittura un buon saluto.

Sfogliatella frolla vs Sfogliatella riccia

Pasticceria Madonna Napoli

La sfogliatella frolla del Danny Bar è servita praticamente bollente. È quasi gastronomico masochismo scottarsi le dita con questo dolce ben chiuso, ben cotto (non ci sono difetti evidenti di cottura né chiusure imperfette), messa in vassoio senza zucchero a velo (non ci è stato chiesto). Ha un profumo di pastafrolla vanigliata, zuccherina senza bisogno di aggiunte.

Pasticceria Madonna Napoli

L’assaggio si rivela soddisfacente, forse leggermente alterato (in positivo) dal magma incandescente interno. La sfogliatella frolla della pasticceria Madonna presenta qualche lievissimo difetto di cottura interno ed un ripieno molto “cremoso”, a tratti indistinguibile la proporzione tra ricotta e semolino. Nell’insieme – e vi assicuriamo che non è la fame cieca – ci è piaciuta. La pastafrolla, sebbene più spessa di quella da noi gradita, cede facilmente al morso; buoni gli aromi sprigionati dal ripieno, sufficienza raggiunta e superata anche di un po’.

Pasticceria Madonna Napoli

Andiamo quindi al capitolo sfogliatella riccia. Leggermente allungata e meno “panciuta” di altre, assomiglia quasi ad una codina d’aragosta, il dolce diffuso sul versante costiero e salernitano. Anche la sfogliatella riccia è molto calda e questo rende la sua struttura sfogliosa ancora un po’ “traballante”, come se stesse quasi per aprirsi tra le mani, cosa che per fortuna non accade. Il profumo che emana è zuccherino, grasso, altamente invitante.

Al morso, la struttura della pastasfoglia è bella croccante, emozionante e calda come dev’essere un primo approccio alla sfogliatella napoletana. Il ripieno è pressoché identico alla frolla: molto cremoso, molto caldo, forse un po’ più tendente verso il semolato che al bilanciamento perfetto tra ricotta e semola. Forse da fredda avrebbe perso qualche punto ma mangiata così, calda, al mattino, dopo un buon caffé e su due piedi, i suoi punti a favore ce li ha tutti.

Babà classico

Pasticceria Madonna Napoli

Un po’ anomalo a vedersi questo babà classico della pasticceria Madonna: dalla forma sembra un savarin, dolce simile (se non uguale, per alcune preparazioni) al babà napoletano e “piazzato” in uno stampo a forma di ciambella.

Il babà classico preso alla Pasticceria Madonna ha una forma di cilindro adagiato in una vaschetta di alluminio anti-gocciolio ed anti-urto. Il colorito è di un bruno spinto che non dispiace, profuma di lievitato ed alla pressione non delude. Un po’ deludente il morso: la pasta non risulta sufficientemente inzuppata e questo ne sacrifica in bontà, lasciando un dolce con buone potenzialità ma sostanzialmente asciutto.

Il Vesuvio

(che sarebbe una sfogliatella piramidale ripiena di babà)

Pasticceria Madonna Napoli

Solitamente tendo a non recensire questi Frankenstein della pasticceria partenopea, ma stavolta, per assaporare a pieno lo spirito di questa pasticceria frontaliera, vista la sua vicinanza all’aeroporto, decido di assaggiare il Vesuvio, sostanzialmente una sfogliatella con all’interno mezzo babà e farcitura varaia.

Cioè, mi spiego meglio se non avete capito: avete la sfoglia della sfogliatella, ma dentro – dentro – al posto del ripieno, hanno ficcato un babà farcito e chiuso tutto con granella di nocciole.

Buona la sfoglia (la stessa della sfogliatella riccia) che fa quel crunch delizioso al morso, ma il babà all’interno presenta gli stessi difetti del suo socio assaggiato poco fa: pasta buona ma non sufficientemente inzuppata. Sarà stato per evitare l’effetto gayser del Vesuvio? Pasticceria Madonna Napoli

Prezzi e Conclusioni

Per 4 dolci e 3 caffè si sono spesi in totale 8,60 euro. I dolci classici come sfogliatella riccia e frolla e babà costano 1,30 euro; la “pasta speciale”, cioè il Vesuvio, 2,00 euro; per i caffé (buoni, tralaltro) siamo ancora sui democratici 0,90 centesimi l’uno. Un conto onesto, in assoluta linea con la qualità e l’offerta dei dolci proposti, soprattutto se si considera che siamo all’imbocco di un aeroporto.

Il responso è tutto sommato positivo: buone ricce e frolle, un babà che meriterebbe qualche “innaffiata” in più e un Vesuvio che convince poco, non tanto per la tecnica quanto per il gusto. Si distingue il packaging (e come non potrebbe) anti-urto ed anti-gocciolio. In poche parole, una buona pasticceria di servizio, dove fermarsi a fare colazione arrivando a Napoli o andando via da essa, magari con un cartone pieno con su il mitico golfo.

Danny's Bar (Pasticceria Madonna) a Napoli

Informazioni

Pasticceria Madonna (Danny Bar per il navigatore)

Indirizzo: Via Cupa Carbone 44, Napoli
Orari di apertura: Tutti i giorni, orario continuato 06.00 – 21.00
Web: Pagina Facebook
Telefono: 081 751 1837
Tipo di cucina: pasticceria campana e di altre regioni
Ambiente: informale
Servizio: informale e molto attento alle necessità del cliente

Voto: 3,5/5

La Sfogliatella Mary a Napoli, recensione: la pasticceria di Galleria Umberto

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Siamo a La Sfogliatella Mary, un pasticceria collocata in un angolino della Galleria Umberto a Napoli, che sforna milioni (senza esagerazioni) di dolci classici partenopei ogni anno. La nostra recensione. 

Napoli ha molti luoghi bellissimi e uno di questi è la Galleria Umberto, costruita tra il 1887 ed il 1890 con un’opera di Risanamento della città. Destinata all’uso commerciale, oggi vede diverse attività tra bar, boutique, un fastfood, alcune pasticcerie, La Sfogliatella Mary compresa.

A Milano hanno Cracco in Galleria, e noi abbiamo La sfogliatella Mary in galleria, non ce ne volete.

La-Sfogliatella-Mary-Napoli

La Sfogliatella Mary è una “pasticceria” mini, su strada e con solo asporto, che sforna letteralmente milioni di sfogliatelle l’anno. Sicuro: è situata in una delle arterie più turistiche della città, praticamente ad un passo dalla rinnovata Piazza Municipio (con metropolitana sotterranea piena di reperti archeologici, bellissima), dal Maschio Angioino, da Piazza Plebiscito, dal Teatro San Carlo.

Perché abbiamo deciso di prestare attenzione a La Sfogliatella Mary “sacrificando” altre pasticcerie più blasonate e storiche?

Perché la mole di dolci che sforna ogni anno (e vi assicuro: nei miei 10 minuti di fila avranno servito non meno di 100 dolci ad un ritmo battente) fa sì che la sua sia una delle sfogliatelle (o dei babà) più conosciuti dai turisti, ma non solo. Sono molti i napoletani che reputano la sfogliatella di questa pasticceria una delle migliori in circolazione.

La Sfogliatella Mary: l’ambiente ed il mood

Non so se posso propriamente parlare dell’ambiente della pasticceria, visto che La sfogliatella Mary è una sorta di “vetrina” nella galleria con uno spazio mini all’interno per l’assemblaggio e le cotture dei dolci, con anche una cassa appoggiata in equilibrio abbastanza precario. La vita della pasticceria/punto vendita si svolge praticamente tra l’interno e l’esterno della Galleria, essendo posizionata sul lato della struttura che dà sulla principale e frequentatissima Via Roma.

Tenendo presente che la Galleria Umberto ha ingressi su quattro lati ed è abbastanza grande, seguite l’odore zuccheroso, vanigliato e sciropposo; ad una certa distanza, vedrete sicuramente la fila che si snoda in maniera decisamente disordinata intorno ad una vetrina.

La sfogliatella Mary: prezzi e cartoccio

Il capitolo prezzi lo metto qui all’inizio perché, con il suo 1,80 euro di prezzo di cartello per dolce, La Sfogliatella Mary si piazza – al momento – come la sfogliatella più costosa che abbiamo provato. Certo, parliamo di centesimi: in questo caso, il rincaro rispetto alla media è di 0,50 centesimi. Il caro-Galleria non è soltanto una questione milanese, quindi.

Se sfogliatella frolla e riccia e babà classico hanno questo prezzo, i dolci più particolari non si sottraggono: la Santa Rosa, la sfogliatella riccia “primigenia” diffusa nelle due costiere, ripiena di crema, viene 2,50 euro; così come capresina e mini-pastiera.

Visti gli spazi decisamente risicati, decido di prendere i miei dolci classici in vassoio da portar via, cercando una panchina dove divorare il bottino: il cartoccio è di quello classico legato con lo spago, carta argento e caratteri verdi, appariscente ma non troppo (e vi possiamo confermare che abbiamo visto di peggio).

La Sfogliatella Mary: gli assaggi

La Sfogliatella Mary è uno spot pubblicitario già dal nome: infatti, come ho detto prima, è stra-famosa per le sue sfogliatelle. Quindi, non mi ci è voluto molto per decidere cosa prendere: una sfogliatella riccia, una frolla ed un babà classico, chiedendo che tutto fosse servito con zucchero a velo (sfogliatelle) e con bagna abbondante (per il babà). Ci troviamo di fronte a dei dolci XL size: anche da questo punto di vista il “rincaro” rispetto alla media è giustificato.

Sfogliatella frolla

Ad essere bella, questa sfogliatella frolla è bellissima: cosparsa di abbondante zucchero a velo, ho l’opportunità di mangiarla in un quasi-tramonto a Piazza Trieste e Trento, adiacente a Piazza del Plebiscito. Un bel biscotto di frolla grande, con odore vanigliato e dalla temperatura di servizio calda. Insomma, ripongo delle grandi aspettative.
Mai farlo, mai. Purtroppo il risultato di questa sfornata di frolle non era delle migliori, a mio parere. Accantonato (si fa per dire) il profumo del fiori d’arancio, notiamo un ripieno decisamente colorato e qualche difetto di cottura della pastafrolla, che non è spessa e sulla cupola risulta molto friabile. Con una spinta maggiore sulla cottura, la pastafrolla sarebbe stata davvero indimenticabile: forse, con la mole di lavoro che si ritrova, c’è un po’ di fretta da questo punto di vista.

Dal punto di vista del ripieno, non è formidabile: buona la proporzione tra ricotta e semolino, ma c’è davvero troppo aroma di fiori d’arancio per goderne a pieno. Purtroppo, il risultato complessivo di questa sfogliatella frolla si sbilancia verso il negativo e penso di essere stata un po’ sfortunata: troppo afflusso di clienti, troppa fretta e poca attenzione. Da riprovare, sicuramente.

Sfogliatella riccia

La-Sfogliatella-Mary-Napoli

 

Devo dirlo: questa sfogliatella riccia è davvero molto, molto elegante. La sfogliatura è in piccole ondine vicine tra di loro, precise, anche se la struttura globale non è molto solida: infatti nella foto devo tenerla sia sulla coda che sulla “cresta” per la foto figa ed iconica. Detto questo, la temperatura è gradevolmente calda e l’odore anche: sa di grasso e zuccherino ma non troppo.
La sfogliatella riccia, a differenza della frolla, al morso non delude affatto. La sfoglia è effettivamente fine come ci appariva, scrocchia bene al morso e lascia la bocca leggermente e piacevolmente unta. Il ripieno è perfetto nelle sue proporzioni, non c’è traccia di fiori d’arancio o simili, bensì una lieve nota limonosa che ho apprezzato moltissimo. Promossa.

Babà classico

Anche qui mi ritrovo di fronte ad un dolce XL size, con il tronco molto lungo ed una cupola aggraziata, color dorato e molto “sciroppato”, grazie ad una generosa innaffiata fatta in mia presenza, della bagna solita di questo dolce. Il foglio di carta alimentare plastificato riesce a contenere bene l’umidità e non mi ha arrecato danni agli altri dolci del vassoio. L’odore che emana nell’aria circostante è zuccherino, ma non alcolico: sarà solo bagna di acqua e zucchero? Vediamo.
La pasta risulta elastica e setosa allo strappo, forse mi lascia leggermente le dita troppo impiastricciate di bagna. Il lievitato è buono, gustoso ma un po’ “fesso”: purtroppo la bagna è prevalentemente – o quasi certamente, soltanto – di acqua e zucchero; la parte al rhum è stata sacrificata. Abbiamo notato che molte pasticcerie anche blasonate utilizzano la bagna di acqua e zucchero senza alcol: tra le spiegazioni trovate – forse, oltre ad un risparmio economico – c’è il deciso afflusso di persone che per i più svariati motivi (sociali, religiosi, di salute) non vogliono o non possono assumere alcol. Promosso con un ni alla Ponzio Pilato: buono è buono, ma manca di carattere.

Conclusioni

Lo scontrino totale è di 5,40 euro per tre dolci: non poco ma nemmeno tanto, visto che ci troviamo circondati di molta bellezza e movida.
Ho deciso di provare La Sfogliatella Mary appunto per questo motivo: essendo in un luogo ad alta concentrazione di persone, mi era necessario capire “quale” prodotto venisse offerto. Il risultato è mediamente buono, ma migliorabile. Sono abbastanza sicura che sulla frolla sia capitato un errore tecnico, mentre su sfogliatella riccia e babà classico non abbiamo errori. Pasticceria di servizio in stile napoletano dove fermarsi per una rapida sosta, ovviamente ne gioverebbe un po’ di attenzione in più visto il ritmo incessante: passi per il turista che, probabilmente, sarà poco smaliziato in fatto di sfogliatelle (ma neanche troppo: quando una cosa è cruda, se ne accorge anche il più imberbe), ma un napoletano dovrebbe pretendere molta, ma molta attenzione. Soprattutto visto che questo posto è una delle cartoline della città.

In ogni caso, la pasticceria – errori capitati durante la visita a parte – per me è promossa.

Informazioni

La Sfogliatella Mary a Napoli

Indirizzo: Galleria Umberto I 66, Napoli (angolo Via Roma)

Sito Web: facebook.com/lasfogliatellamaryofficial/

Orari di apertura: tutti i giorni 08-20.30 orario continuato

Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana

Ambiente: solo asporto

Servizio: informale e velocissimo

Voto: 3,2/5

Pasticceria Pintauro a Napoli, recensione: com’è la sfogliatella più antica della città

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Siamo stati alla Pasticceria Pintauro, la più antica sfogliatelleria della città di Napoli, che fu di Pasquale Pintauro. La nostra recensione, per scoprire se vale la pena e se merita la sua fama. 

Avete già avuto l’opportunità di vedere come le suore dei monasteri campani siano state di incredibile importanza per la crescita gastronomica nostrana: ad esempio, avete fatto lunga conoscenza con le consorelle napoletane nel lungo articolo dedicato ai dolci natalizi napoletani (e circondario). Le abitanti dei vari conventi si sono rese protagoniste di alcune pagine di pasticceria tra le più belle e golose, tra le quali quella dedicata alla sfogliatella.

pasticceria Pintauro a Napoli

Conca dei Marini è un posto meraviglioso: incastonato letteralmente in Costiera Amalfitana è a guardia del mare. Quello che ci interessa particolarmente di questo locus amoenus è il Monastero di Santa Rosa, luogo che a quanto pare profumava di zucchero. Un posto che profuma di zucchero ha sicuramente qualcosa di buono da dire.

Un giorno, nel 1600 circa, ad una suora particolarmente ispirata restò un po’ di ricotta ed un po’ di semolino: ne arrangiò così un ripieno, aggiungendoci della frutta secca e del limoncello per arricchire. Dopodiché, ficcò il tutto in un guscio di pastasfoglia, che chiuse a mo’ di cappuccio di monaco.

Era nata la sfogliatella. O perlomeno, era nata la parente lontana di quella che poi sarebbe stata la sfogliatella, qui chiamata Santarosa e che perdura ancora nel versante salernitano con diversi nomi (apollinea, coda di aragosta e appunto santarosa).

Complici un po’ la distanza, un po’ la gelosia del segreto da custodire, questa versione ci mise circa 200 anni per arrivare da Conca dei Marini a Napoli, però lo fece in grande stile.

Ci pensò un oste, uno dei più famosi e conosciuti a Napoli ad oggi: parliamo di Pasquale Pintauro. C’è addirittura un detto a Napoli su di lui: Pintauro si frusciò, cioè Pintauro si vantò, quando portò la sfogliatella a Napoli. Presente anche nelle varianti Pantusco si frusciò e Si fruscia Pintauro.

Pasquale Pintauro io me lo immagino già: uno scugnizziello marittimo, a quanto pare nipote o parente in qualche forma di una delle monache del Convento di Santa Rosa a Conca dei Marini. Pasquale era oste in una trattoria a Via Toledo, ‘nu cantiniere dice la storica filastrocca a lui dedicata. In ogni caso, riuscì ad entrare in possesso della ricetta della sfogliatella Santa Rosa dalla zia monaca e la portò a Napoli, circa nel 1818. Da bravo apprendista stregone, la modificò: togli la crema, togli la frutta secca, aggiungi golosi canditi. La sfogliatella riccia divenne così famosa a Napoli che l’oste Pintauro convertì la sua trattoria in una pasticceria.

Il suo forno delle sfogliatelle, oggi diventato una piccolissima pasticceria con un po’ di assortimento, è ancora lì. Siamo andati alla Pasticceria Pintauro per fare una passeggiata nella storia, per assaggiare le sue sfogliatelle e darvi foto e prezzi.

E soprattutto, per dirvi se ne vale ancora la pena.

L’ambiente

Se propriamente dobbiamo parlare di ambiente, questa mini-pasticceria si affaccia su Via Toledo, esattamente di fronte la famosa Via Santa Brigida, sede di innumerevoli uffici e boutique. Il via vai di persone è impressionante: potete immaginare che la quantità di dolci sfornata ogni giorni è sensibilmente alta. La pasticceria Pintauro tende a confondersi un po’ nel susseguirsi incessante di bar, pasticcerie e negozi, per questo vi consigliamo di attenevervi a poche indicazioni utili: guardate sempre il lato di Via Toledo che si inerpica per tutta una serie di vicoli e vicarielli su per i Quartieri Spagnoli. Ad un certo punto, vi ritroverete sicuramente una folla di persone in fila oppure già in possesso delle magiche sfoglie.Da tenere ben presente è l’abbastanza inomprensibile chiusura estiva di Pintauro, che si protrae per mesi e mesi. Passi il caldo, passino le ferie, però Napoli allo stato attuale esplode di turisti in ogni momento dell’anno, non c’è bisogno di chiudere sei mesi. Per citare un altro luogo iconico, che so, è come se Pasteis de Belem chiudesse inspiegabilmente da dicembre a marzo causa forte vento lisboeta.

Il mini-ambiente è angusto e – quando è aperto – perennemente affollato. Durante la mia visita ad inizio novembre, le vetrine esterne erano invase già da roccocò troneggianti e struffoli senza miele. Le scaffalature recano altri dolci tipici napoletani, non di produzione di Pintauro, come il cosiddetto torrone dei morti, un blocco di cioccolato fatto a forma di bara, diffuso nel periodo di Ognissanti. Sarete pervasi dall’aura fucking kitsch.

Pintauro: le sfogliatelle

Per questa prova ho preso i dolci simbolo della pasticceria, sfogliatella frolla e riccia. Così doveva essere a mio parere, poco valeva la pena spingersi ad altre cose. Le vetrine, stracariche di roccocò e struffoli, risentivano ancora del clima caldo del novembre napoletano.

Il prezzo di due euro a sfogliatella (sia riccia che frolla) penso che sia il più alto della città.

La sfogliatella riccia di Pintauro è tremula, nel senso che le pieghe della sfoglia si aprono qua e là a ventaglio senza troppa vergogna. Ci viene servita calda – a tratti bollente – quindi l’apro rapidamente per lasciar evaporare un po’ di aromi e soprattutto di calore. Mi sarebbero serviti i tergicristalli agli occhiali. Non presenta fuoriuscite di ripieno in ogni caso, nè difetti evidenti di cottura come bruciature. Un rapido sguardo all’interno, mostra l’assenza di residui di crudo. Il test visivo è ampiamente superato, passo al morso.

Il crunch della sfoglia non delude: persistente, lascia sulle labbra un po’ di effetto Labello causa l’untosità, sicuramente aiutata dalla temperatura di servizio. Il ripieno d questa sfogliatella riccia non è particolarmente goloso: c’è un eccesso di semolina sensibile che va a coprire la ricotta, eccesso che non guasta il boccone ma che appiattisce molto sul gusto di semola: come se avessi mangiato una buona sfoglia con cucchiaiate di una crema che non ha molto sapore. Anche se dalla foto non si direbbe, i canditi ci sono: li ho piluccati dal ripieno prima che cadessero per strada. Questi erano buoni, grossi e rettangolari. Siccome un po’ sono golosa e un po’ smaliziata, faccio la prova con i bocconi rimasti dopo circa un’ora. La sfoglia si difende bene anche da fredda, il ripieno si è rappreso ed ha perso consistenza.

La sfogliatella frolla si presenta già con il difetto di fabbrica, cioè si è praticamente smascellata su se stessa: decisamente aperta, viene da pensare ad un trauma post-cottura, visto che comunque il ripieno non risulta bruciato e/o fuoriuscito. Anche qui la temperatura è calda ma, grazie alla rottura, meno incandescente della precedente. La pastafrolla non ha praticamente odori: sembra una scorza neutra dove hanno ficcato il ripieno, sinceramente si scolla anche con la stessa sensazione. Come se stessi sbucciando un’arancia, fusione tra guscio e ripieno non pervenuta.

Stupisce piacevolmente l’assenza, anche qui, di difetti evidenti di cottura: la pastafrolla è umida al punto giusto senza mostrare “cedevolezze” interne e bagna eccessiva, ma è davvero troppo spessa ed “insapore” per essere apprezzata. Il ripieno è sostanzialmente uguale a quello della sfogliatella riccia: presenza marcata del semolino, poca ricotta, dolcezza non eccessiva ed aromi non distinguibili. Bella la presenza di un filetto di cedro candito, molto gustoso e dalle dimensioni XXL.

Conto e opinioni

Come anticipato, il costo di due euro a pezzo rende questa sfogliatella costosa. Se ne vale la pena, lo dice la fila dei clienti in paziente attesa, dopotutto. Non sarà la sfogliatella più esaltante della loro vita, però, mi auguro che abbiano abbastanza giorni napoletani da provare qualcosa dal gusto più esaltante e meno piatto. Il richiamo storico fa ancora la sua sporca parte per quanto riguarda la Pasticceria Pintauro: in effetti, la sensazione solenne che ti assale entrando ed uscendo da quel loculo, è forte. Però, come tutti i grandi marchi, non si può vivere di sola storia. Sebbene l’esecuzione sia perfetta in quanto a cottura, il ripieno risente molto della presenza marcata della semolina, atta a “nascondere” la poca ricotta presente. Da riprovare.

Informazioni

Pasticceria Pintauro a Napoli

Indirizzo: Via Toledo 275, Napoli

Sito Web: Non presente.

Orari di apertura: tutti i giorni 09.00-20.00 orario continuato – salvo chiusure stagionali

Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana

Ambiente: solo asporto

Servizio: informale e velocissimo

Voto: 2,6/5

Tiri Bakery & Caffè a Potenza, recensione: nella boutique del panettone

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Pasticceria dedicata alla pasta lievitata, tra le migliori del sud Italia, la Tiri Bakery & Caffè a Potenza, di Vincenzo Tiri, è la Mecca del panettone. Ci siamo andati, in incognito, per dirvi la nostra in questa recensione

La Basilicata non è la regione più piccola che ci ritroviamo, ma di sicuro è una delle più timide. Così timida che, arrivandoci, sembra che i paesi si ritraggano di volta in volta su colli e montagne. La chiamo solitudine lucana: immagino che vissuta una tantum possa essere una sorta di digital detox da tutto, ma che possa diventare anche una malattia. Oppure uno stile di vita.

Parliamo dei lucani, ora. I lucani sono gente testarda. Vincenzo Tiri, golden boy della pasticceria lucana (ed italiana) non è da meno: è come un bove tranquillo, uno di quelli che rispecchia ampiamente il carattere del posto da cui proviene, lavoratore instancabile nella sua Tiri 1957, la pasticceria di famiglia con oltre sessant’anni di storia e svariate generazioni di pasticcieri.

Chissà quanta gente avrà detto a Vincenzo Tiri che Acerenza, il suo paese natale, non era affatto il posto per lui. Anche qui su Dissapore, dove sbaraglia la concorrenza di colleghi assai più blasonati (se non ci credete andate alla nostra classifica dedicata ai panettoni artigianali), abbiamo sempre guardato un po’ con ammirazione ed un po’ con “sospetto” (per la serie: ma come resiste?) questo radicamento così lontano dalle luci sfavillanti della ribalta gastronomica, che senza girarci troppo intorno non è certamente ad Acerenza, nient’affatto in Basilicata.

Tiri Bakery & Caffè a Potenza

La risposta del bomber dei panettoni è stata aprire la Tiri Bakery&Caffé a Potenza. Qui, Vincenzo Tiri concepisce il panettone come un risultato tutto lucano e al tempo stesso rappresentazione contemporanea del dolce italiano che anche all’estero sta macinando consensi e sold out. Dalle uova da galline allevate allo stato brado, passando per la selezione di burri, i canditi tagliati a mano da arance stracce lucane, il pistacchio di Stigliano, il lavoro (ed il lavorìo) lucano della famiglia Tiri, partendo dal 93enne capostipite fino ai nipoti più piccoli: l’unico forno dei panettoni è quello di Acerenza, dove riposa e rinfresca il lievito madre che lì ha sviluppato un suo habitat.

Tiri Bakery&Caffè: Il panettone tutto l’anno

Tiri Bakery & Caffè a Potenza

Il panettone tutto l’anno è lo slogan che ha accompagnato l’ apertura della pasticceria, ad ottobre nel 2018.

Il panettone è il focus, sempre. Le scaffalature – siamo in periodo natalizio ma l’ambiente cambia poco durante il resto dell’anno – sono sommerse del blu delle scatole di panettone (un packaging oramai iconico, almeno per noi) con la sua caratteristica forma che ricorda, toh, il borgo di Acerenza abbarbicato su un’altura.

Poi scaffali di biscotti lievitati, panettoncini di varia grammatura e farcitura, qualche crema spalmabile.

La Bakery, di sabato mattina, è decisamente affollata: la platea si divide in acquisti al bancone (panettoni e pandori che volano via a ritmo impressionante) e consumazioni in loco.

Un format che ha attecchito in città. Ci sono rappresentati di tutte le fasce d’età, dai ragazzini che fanno colazione fino agli anziani, accompagnati con premura dal personale di sala a cui va una nota di merito: spiegano davvero con amore ciò che propongono. I posti a sedere sono circa una quarantina. Buono il caffè, non particolarmente intenso e facile da sorbire senza restare intontiti da sapori inaspettati: adatto ad accompagnare le complessità lievitate del poi. Il comparto caffetteria comprende anche una selezione di tè e declinazioni varie del caffè. Proposti anche brunch salati con focacce ed amuse bouche con varie farciture.

In vetrina, ritroviamo appunto le creazioni di Tiri: si va da una bella selezione di croissant, dalla presenza imponente, ai maritozzi ripieni con panna, fino ai dolci declinati col panettone. C’è anche la selezione dei pani a disposizione, dietro il banco.

Il panettone declinato in tutte le sue possibilità

Dicevamo, il panettone come stile di vita: se siete entrati in questa ottica potete fare un giro con me da Tiri Bakery. Non c’è menu, ma il personale è molto disponibile e formato per dare tutte le spiegazioni del caso.

Inizio da una degustazione dei quattro classici panettoni della casa (consigliato se siete in due): panettone tradizionale, al pistacchio, caramello salato, cioccolato bianco e caffè. Bello il servizio, con poco zucchero a velo spolverato, crema di pistacchio e crema pasticciera “leggera” al centro, un marchio di fabbrica che vi farà venire la dipendenza: la ritroveremo anche dopo.

Di parole sul panettone di Vincenzo Tiri ne abbiamo spese moltissime: la gestione maniacale del lievito dà vita a soffici nuvole gonfie, vanigliate, con la pasta che fa il filo come se fosse zucchero a velo, i canditi che inumidiscono la pasta con gli oli essenziali della buccia, in fase di espirazione la bocca è ancora “piena” del sapore rotondo di un lievitato studiato, in equilibrio eppur goloso come poche altre cose. E’ festa. Voluttuoso il panettone al cioccolato bianco e caffè: non ho termini di paragone migliori.

Si continua con il Tirimisù (l’abbiamo capito: il nostro ha un nome con cui viene facile giocare tra consonanze ed assonanze varie): il biscotto savoiardo è qui sostituito dal lievitato protagonista delle feste leggermente tostato e successivamente imbevuto di caffé espresso, crema al mascarpone leggermente modificata; in superficie, troviamo crumble di cioccolato Marou (vi ricordate? Quello che il New York Times ha definito il miglior cioccolato del mondo).

La crema al mascarpone è decisamente “diluita” nel gusto e nell’intensità, con sapienza: si amalgama bene al cucchiaio con il panettone tostato, una golosità da mangiare cucchiaio dopo cucchiaio. L’effetto-spugnetta di moltissimi tiramisù è qui evitato: il panettone ha una sua consistenza e la mantiene. Il crumble di cioccolato Marou è una chicca che solletica il palato: si distinguono bene, anche a palati meno allenati, le note di frutta tropicale. Meritevole la stratificazione da maestro: ad ogni cucchiaio si alterna crema e panettone tostato, evitando inutili cucchiaiate di solo mascarpone. Crumble al cioccolato abbondante, vi basterà per tutto l’assaggio.

L’ultimo assaggio lo riservo con una cosa scenografica e golosa: Pescosa, una bomba che sembra un krapfen ma non lo è, mi spiego meglio. La pasta è quella del panettone, puntinata in superficie da granelli di zucchero, imbevuta di liquore alchermes dell’Officina di Santa Maria Novella, farcito con di crema. Il colore è giocoso, il rosa dell’alchermes fa a pugni letteralmente con il giallo della crema, ricorda decisamente una bomba golosa. E Tiri sì, ha tirato fuori un dolce golosissimo ed indimenticabile, bello a vedersi e piacione, tanto che non ti aspetteresti tanta delicatezza al morso.

Sembra un krapfen, ma non lo è: la base è golosissima ed – ovviamente – non c’è il gusto di ritorno dato dal lievito di birra. Il colore vivacissimo è dato dal bagnetto nell’alchermes, che gli dona anche il sapore da-casa-della-nonna. L’alchermes è un liquore sanguigno, di derivazione araba e successivamente “acquisito” dalla Toscana. In Pescosa l’alchermes fa un grande lavoro e – sebbene sia un dolce decisamente studiato – non può non rievocare golosi ricordi di bombe dell’infanzia.

Ultimo – davvero, l’ultimo – assaggio è riservato ai cioccolatini di casa Tiri, a quanto pare molto richiesti e con una lavorazione continua. Potevano mai allontanarsi dal panettone? Per la serie: l’unico modo di fare qualcosa bene è farlo diventare un’ossessione. Oltre alla forma – pandorini e panettoncini, bellissimi a vedersi – i pandorini sono ripieni di crumble di pandoro vero soffiato. Molto rotondo il gusto del cioccolato, ben temperato e simpatico il crumble: una degna conclusione.

Prezzi e conclusioni

I detrattori della Basilicata come luogo inadatto ad un concept dal costo sostenuto come la Tiri Bakery&Caffé dovranno fare un passo indietro. Nessuna – dico, nessuna – fascia d’età sembra scoraggiata dal croissant piazzato 1,70 euro, dai cioccolatini che vanno dagli 0,80 cent ad 1,00 euro, dalla degustazione di panettone che si attesta a 10 euro (e bastevole per due stomaci). Il locale è tranquillamente affollato al mio arrivo e lo è altrettanto quando me ne vado, di facce sempre nuove. Facile capire come sia diventato un format di tendenza, contro i pareri dei detrattori di professione. Ci vorrebbe una Tiri Bakery sotto casa, ma non disperiamo: andando a Potenza c’è un’occasione in più per scoprire la terra lucana e capire in che direzione può andare il panettone.

Informazioni

Tiri Bakery&Caffè

Indirizzo: Via del Gallitello 255, Potenza
Numero di telefono: 0971 309591
Sito: www.facebook.com/TiriBakeryAndCaffe
Orari: lunedì-sabato 09.00/21.00 orario continuato – domenica 09.00/14.00
Ambiente: bakery all’italiana con banco e posti a sedere
Tipo di cucina: pasticceria italiana declinata sui lievitati, sopratutto il panettone
Servizio: attento e molto preparato

Voto: 4.7/5

Ristoranti Torino: le nuove aperture del 2020

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Quali nuovi ristoranti ci riserva Torino per il 2020? Se il 2018 è stato l’anno delle nuove stelle Michelin a Torino, il 2019 ha portato una ventata di freschezza enogastronomica in città. Dai progetti più pop, come Pescaria o Miscusi, agli spin off degli stellati (Casa Mago o Madama Piola), alle nuove promesse del futuro (Unforgettable e Opera). Come se non bastasse, sono sbarcati a Torino anche progetti d’impronta più nazionale, come la pasticceria di Iginio Massari e il Mercato Centrale di Porta Palazzo, confermando la sensazione che la città sia sicuramente uno dei posti dove stare se si vuole la conferma del proprio successo.

D’altronde, che Torino sia una piazza di prova per la ristorazione – difficile ma formativa – è una cosa che si sente spesso sussurrare nel settore: “se riesci a sfondare a Torino, allora sei pronto per le altre città”. Resta dunque da vedere quali di queste tante aperture dello scorso anno avranno effettivamente fortuna, e quali invece no. Un 2020 che speriamo ricco anche di altre novità, anche se ben sappiamo che una su tutte la farà da padrona (almeno in termini di comunicazione), e sarà targata Oscar Farinetti.

Gino Sorbillo

gino sorbillo

Il 2020 delle aperture enogastronomiche torinesi si è aperto con l’annuncio di Gino Sorbillo, che proprio nel giorno di Capodanno ha reso noto ai suoi fan, sui social, che aprirà una pizzeria sotto la Mole. Dopo Napoli, Milano, Roma, Miami e New York la prossima tappa di una delle pizze più celebri di Napoli è dunque Torino, con apertura prevista a marzo 2020 in via Bruno Buozzi angolo via XX Settembre.

GreenPea

greenpea torino 2020

Messo da parte il pallino del cibo d’eccellenza, Oscar Farinetti passa ad altro (e annuncia la sua abdicazione a favore del figlio Francesco). Il suo nuovo progetto, GreenPea (“l’Eataly delle cose”), punta sull’ecosostenibilità e siamo certi (almeno noi Torinesi) che ne sentiremo parlare fino alla nausea già prima della sua apertura, prevista per il 31 agosto 2020.

Se non altro per le sue dimensioni imponenti: 10.500 metri quadrati di centro commerciale dedicato al green, distribuito su cinque piani. Al primo piano l’arredamento di lunga durata e riciclabile; al secondo l’abbigliamento bio e organico; al terzo e al quarto bistrot, libreria, e molto altro. Sul rooftop ci sarà un cocktail bar (gestito da Affini Torino) con piscina a raso (riscaldata anche d’inverno), Spa e la cucina stellata di Claudio Vicina (aka, il ristorante Casa Vicina), che si trasferirà lì dagli spazi di Eataly.

8Gallery

Una ristrutturazione di circa dieci mesi che si concluderà intorno all’autunno 2020 trasformerà il volto dell’8Gallery, il centro commerciale di fronte a Eataly, costruito negli ex spazi del Lingotto. L’idea è proprio quella di costruire una maggiore sinergia con i vicini di casa: Eataly, appunto, e il futuro Green Pea. Al centro del restyling, dunque, anche la creazione di una food court completamente nuova, con una zona dedicata alla gastronomia che sarà spostata vicino al cinema, per valorizzarla ulteriormente nell’ottica di dare al nuovo centro commerciale una vocazione sempre più focalizzata su intrattenimento e ristorazione.

La Pasticceria di Cristiano Ronaldo

Se n’è parlato tanto, tra indiscrezioni e articoli più ufficiali, e tutta Torino aspetta la pasticceria del suo campione più noto, Cristiano Ronaldo. Una boutique di lusso, con per lo più dolci della tradizione portoghese, dicono i ben informati. I bookmaker danno per buona la location che fu sede del negozio di abbigliamento di Alessandro Del Piero, tanto per restare in casa Juventus (via Gramsci 9): si dice che la data di apertura sia imminente, e si resta in attesa per il 2020.

Starbucks a Porta Nuova

starbucks

Anche di uno Starbucks a Porta Nuova si parla dall’alba dei tempi, prima ancora che il colosso del caffè sbarcasse in Italia. A oggi, dopo l’apertura in via Buozzi 5 del negozio più grande d’Italia (fatta esclusione per la Reserve Roastery di Milano, chiaramente, qui si parla dei locali standard) potrebbe in effetti essere arrivato il momento giusto per un’apertura nella nuova food hall della stazione, che verrà completamente ristrutturata nel 2020.

Dù Cesari

La trattoria romana più celebre della città, con le sue mega porzioni di carbonara e gricia, è pronta ad aprire un nuovo locale, in una zona più centrale di quella dove si trova attualmente, al Quadrilatero Romano.

San Tommaso 10

Lavazza, in fatto di ristorazione, ha ormai trovato la sua strada, e lo dimostra il successo del suo Condividere, che quest’anno ha meritatamente preso la sua prima Stella Michelin. È dunque possibile che sarà quello il modello su cui verrà operata la ristrutturazione del San Tommaso 10, lo storico locale dell’azienda in centro città, là dove nacque il caffè Torinese nel 1895. La ristrutturazione è iniziata, e si attende la nuova apertura entro fine 2020.

La Pista del Lingotto

Una location panoramica, in cima a quella che fu la fabbrica della Fiat. A un passo da un’altra location con vista, la super terrazza di GreenPea. Un tempo, accanto alla Pista del Lingotto, c’era un ristorante della Torino bene, chiuso qualche anno fa. Poi più nulla. I bene informati, però, dicono che potremmo essere a un passo da una novità, quassù dove si testano in quota le macchine Fiat.


Ristoranti di Napoli Centro: dove mangiare tra pizzerie, trattorie e locali

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Napoli ha il Centro storico (un centro storico patrimonio Unesco) più grande d’Europa per estensione: una mappa decisamente articolata di vicoli, vicarielli, imprescindibili tappe gastronomiche così come insidiose trappole per turisti, tra ristoranti, pizzerie, trattorie tipiche napoletane, pasticcerie.

Fulcro del Centro Storico di Napoli è Via Tribunali: che a sua volta, è una delle vie gastronomiche più frequentate del mondo. Il primo motore di questa via è stato sicuramente la pizza: piccoli commercianti, imprenditori, che hanno deciso di restare lì oppure di investire da capo l’hanno resala strada golosa che è oggi, calpestata da milioni di passi ogni giorno e con il chiacchiericcio di mille lingue differenti.

Ci siamo messi in testa di mappare il Centro Storico attraverso i suoi migliori ristoranti (a sua volta divisi in trattorie tipiche, pizzerie, posti per l’asporto di piatti e prodotti tipici, dolci e salati, locali per l’aperitivo), dove per centro storico abbiamo inteso tutto ciò che va da Forcella fino a Piazza Dante, Decumano Maggiore ed Inferiore, con diramazioni a Via Mezzocannone, concedendoci qualche piccolo consiglio a Piazza Mercato e Porta Capuana: due posti assolutamente di valore che, per fortuna, alcune imprese gastronomiche stanno rilanciando.

Trattorie napoletane

Mimì alla Ferrovia

Via Alfonso d’Aragona 19

mimì alla ferrovia

Mimì alla Ferrovia è una istituzione gastronomica partenopea e non solo: alla voce “piatti della tradizione”, i gastrofanatici avranno di sicuro appuntato questo ristorante. Ora c’è anche Salvatore Giugliano nel locale, una sferzata di gioventù tra pareti un po’ datate ma sempre rassicuranti. Buttatevi, ovviamente, sui piatti della tradizione: ziti allardiati (un sugo con lardo di maiale, giusto per farvela breve, è più semplice mangiarli. Fidatevi), puparuolo ‘mbuttunato (peperoni imbottiti di un ripieno fatto di pasta di pane e carne in proporzioni diverse), l’immancabile genovese di casa.

Ristorante Europeo Mattozzi

Via Marchese Campodisola 4

Qui scendiamo verso Piazza Borsa, il raccordo che “chiude” Corso Umberto: l’Europeo di Mattozzi si difende bene, con cucina napoletana e pizza classica, frequentato dagli impiegati che affollano la zona. Pasta e patate, parmigiana di melanzane, polipetti alla luciana: piatti tipicamente campani e soprattutto napoletani, con cantina dedicata.

Locanda del Cerriglio

Via Del Cerriglio 3

Locanda del Cerriglio

Per gli amanti degli inciuci, La Locanda del Cerriglio è il posto adatto: osteria attiva sin dal XIII secolo con alti e bassi, hanno calpestato questi pavimenti personaggi come Caravaggio, che proprio fuori al Cerriglio ebbe una brutta aggressione molto documentata. Ad oggi, La Locanda del Cerriglio attraversa un periodo florido, dove la cucina napoletana classica è ben rappresentata: ziti alla genovese (intingolo partenopeo fatto di muscolo di manzo e cipolle ramate di Montoro), baccalà ed altre amenità caloriche della cucina classica partenopea. Prezzi sostenuti.

Ristorante Al 53

Piazza Dante 53

Siamo a Piazza Dante: Al civico 53 troviamo la trattoria omonima che sul groppone porta più di cento anni di storia culinaria della città. Sempre gestita a livello familiare, propone cavalli di battaglia come ragù e genovese ma anche minestra maritata (carne di maiale con verza, borragine ed altre verdure invernali), soffritto di maiale ed altro.

Ristorante Al 53 – Piazza Dante 53, Napoli – Cucina napoletana di tradizione, che segue le stagioni, nella centralissima Piazza Dante.

Januarius

Via Duomo 146/148

Januarius

Davvero molto bello questo locale esattamente di fronte al Duomo di Napoli. Januarius, come si deduce dal nome è dedicato sì a San Gennaro (tra i 52 patroni della città di Napoli… tantini) ma anche a Giano. Complice anche la “santa posizione”, si propone di celebrare la “napoletanità”: lo fa molto bene, dobbiamo dire. Di fatto è un ristorante dove potrete trovare dal baccalà pastellato ai polipi alla Luciana, con anche una bottega dove acquistare prodotti tipici. Non proprio economico ma è una piacevole e validissima alternativa agli svariati low cost della zona.

La Campagnola

Via dei Tribunali 47

Trattoria che vedrete anche solo per sbaglio, passeggiando per Via dei Tribunali, complice una folla in chiassosa attesa. L’interno non è certo silenzioso: aspettatevi la tipica chiassosità partenoepa, arricchita pure qua e là da qualche menestrello con chitarra e canzoni napoletane. Se reggete l’impatto, nel piatto troverete tradizione nuda e pura, con tanto grasso animale e pomodoro.

Etto

Via Santa Maria di Costantinopoli 102

etto napoli

Etto è un posto senza troppi fronzoli: il cibo è venduto appunto all’etto (2,50/100 grammi che sia pasta o contorno o secondi), che varia secondo la disponibilità. Non è infrequente trovare l’ora prima la pasta al forno e l’ora dopo pennette, insomma. La cucina vira dal classico partenopeo fino alla cucina mediterranea con influenze tunisine, libanesi, turche. Imperdibili gli sformatini di patate e verdure ed il cous cous vegetariano. Un confortevole approdo se si vuole scappare dal mare fritto ed al forno circostante. Senza vino, sui 10 euro a persona.

‘O Grin

Via Mezzocannone 83

Dire che sarebbe un fastfood per vegani sarebbe riduttivo: ‘O Grin – col nome che gioca piacevolmente su consonanze irlandesi-napoletane – raccoglie praticamente quella che è la cucina partenopea escludendo la “poca” carne che c’è, in prevalenza sottoforma di grassi. Via libera quindi a pasta e patate, riso e verza, rotolini (tipo pita) ripieni di verdure, zuppe e qualche dolce (come la carrot cake). Consultate il menu del giorno sulla lavagna. Insomma, io ve lo piazzo tra i posti vegani, ma è assolutamente da non perdere per tutti. Lo trovate a Via Mezzocannone, tra le librerie.

Locali per l’aperitivo

Salumeria Upnea

Via San Giovanni Maggiore Pignatelli 34/35

Salumeria Upnea

Toh, una vecchia conoscenza: l’abbiamo anche recensita all’apertura, la Salumeria Upnea, ben quattro anni fa. Si definisce gastro-bistrò, all’epoca fu una bella novità nel mare magnum di pizzerie. Immerso tra i vicoli partenopei, questo locale propone ricette tradizionali (in qualche caso alleggerite) in un’atmosfera “leggera” e diversa dal solito, quasi sepolto nei cunicoli della vecchia Neapolis, accompagnate da cocktail, birre artigianali e vini. Da non perdere lo Spaghetto alla poverello e le selezioni di salumi e mozzarella di bufala (siamo in Salumeria, no?).

Oak

Vico Quercia 10

oak napoli

Un ottimo posto per fare un aperitivo, provare un vino biologico e biodinamico, birra artigianale alla spina e in bottiglia (o lattina). Ve l’abbiamo anche consigliato tra gli aperitivi imperdibili di Napoli: Oak è un posto “sicuro”, leggermente defilato nei vicarielli del centro storico. La scelta tra cantina e banco contribuisce a dare un’impronta molto europea al posto, e per questo motivo lo troverete molto frequentato da turisti e studenti stranieri.

Pizzerie

Bro – Ciro e Antonio Tutino pizzeria

Piazza Mercato 222b

Bro - Ciro e Antonio Tutino pizzeria

Piazza Mercato è una delle piazze più belle di Napoli, bistrattata da decenni. Da oggi avete un motivo in più per andarci: c’è Bro, la bella pizzeria dei fratelli Tutino, già proprietari con la famiglia di un altro locale in zona Porta Nolana. Bro pizzeria è stilosa, decisamente in stile poco napoletano per quanto riguarda gli arredi, mentre nel piatto c’è la loro classica pizza fine di pasta, a ruota di carro, con guarnizioni sicuramente più ricercate rispetto alla tradizione dura e pura. Da provare, magari lasciandosi attirare (oltre che dalla fama di famiglia) anche dalla leggera deviazione di rotta rispetto a strade più blasonate.

La Figlia del Presidente

Via Grande Archivio 24

la figlia del presidente

Questo ramo dei discendenti di Ernesto Cacialli (Pizzeria “Dal Presidente”, quella della pizza a portafoglio a Bill Clinton nell’ormai lontanissimo 1994) fa benissimo il proprio lavoro in zona Grande Archivio storico di Napoli. Volto della pizzeria è Maria Cacialli: per prepararvi, potete guardare questa puntata de Il Castello delle Cerimonie. Pizza margherita di taglia L, imperdibile anche la pizza fritta: qualche anno fa è finita anche nella nostra top ten dedicata al biondo prodotto figlio del Dio Olio.

Gino e Toto Sorbillo

Via dei Tribunali 32

Gino e Toto Sorbillo

Potrebbe essere superfluo, invece. Almeno una volta nella vita avete visto Gino Sorbillo in tv oppure impegnato in qualche manifestazione e vi assicuro che lo scorrere del tempo gastronomico (e delle mode) non riesce a scalzarlo da una posizione di tutto rispetto in questo panorama. La fila interminabile non dovrebbe scoraggiarvi, perché anche nei casi più disperati non arriverete ai 45/60 minuti. Al tavolo, servizio spartanissimo e l’iconica pizza XXL size, la rota ‘e carretto per antonomasia. Margherita e Marinara per andare sul sicuro, con una spesa intorno ai 10 euro/testa.

1947 pizza fritta Napoli

Via Pietro Colletta, 29/31

1947 Pizza Fritta Napoli

Bel localino dedicato interamente alla pizza fritta, condotto in maniera impeccabile da Vincenzo Durante. Lo trovate esattamente di fronte alla storica Pizzeria Da Michele. Oltre alla pizza fritta in diverse fogge e dimensioni (“battilocchio”, cioè a mezzaluna e più contenuta, oppure la classica tonda prorompente), una selezione di fritturine come frittatina di pasta e crocché di patate. Per le farciture delle pizze fritte, si va dalla classica ciccioli, ricotta, pepe e provola fino alle più complicate. Da consumare in piedi, da asporto, oppure appoggiandosi ai tavolini.

Bar e Pasticcerie

Pasticceria Capparelli

Via Dei Tribunali 327

Pasticceria Salvatore Capparelli

Nelle immediate adiacenze della Via dei Presepi, a Piazza San Gaetano, un punto di ristoro dolcissimo è sicuramente la pasticceria di Salvatore Capparelli, di cui vi abbiamo parlato approfonditamente, puntando l’attenzione sui babà, decisamente tra i migliori di Napoli: in diverse misure e con qualche farcitura, con qualche euro avrete una pausa decisamente gustosa nel tran tran natalizio del centro storico napoletano. Buone anche le sfogliatelle, se proprio volete esagerare.

Antica Pasticceria Carraturo

Via Casanova 97

Pasticceria Carraturo Napoli

Tra le migliori sfogliatelle di Napoli, come vi spiegammo recensendo Antica Pasticceria Carraturo, locale centottantenne che si mantiene in forma sfornando amenità della pasticceria partenopea come tradizione comanda: sfogliatella riccia e sfogliatella frolla senza sbavature di sorta, servite alla giusta temperatura. La sfoglia ha il giusto crunch sotto i denti e la pastafrolla si scioglie insieme ad un ottimo ripieno di giuste proporzioni. Per completare, potrete sorbire anche un buon caffè di servizio: cosa non molto scontata. Una ragione in più per visitare questo lato antico della città.

Cuccuma Caffè

Via S. Giovanni Maggiore Pignatelli 1a

Freschi di diatriba riguardo il caffè (e rito del caffè) patrimonio UNESCO, vi portiamo per mano da Cuccuma Caffè a provare il caffè da cuccumella napoletana. La differenza rispetto a caffè moka ed espresso consiste innanzitutto dalla macchina utilizzata, che adopera la forza di gravità per preparare la miscela.
L’ambiente è arredato come una cucina napoletana d’antan: una volta scelta la miscela, preparatevi a gustare il caffè alla napoletana. In accompagnamento, potreste trovare anche una bella fetta di pastiera.

Cuccuma Caffè – Provate l’ebbrezza di entrare in una cucina napoletana per un caffè con la cuccuma, magari accompagnando ad una fetta di dolce, che solitamente può essere la pastiera.

Leopoldo Cafebar – Senza Glutine

Pazza Cavour 78 79

Leopoldo Cafebar - Senza Glutine

Cosa succede se uno dei format di pasticcerie/panifici più grandi della città apre un punto dedicato esclusivamente al senza glutine? Succede che sono così buoni che andrete a mangiarli anche non avendo intolleranze o allergie. Leopoldo Cafebar ha attuato una bella rivoluzione sociale aprendo questo punto dedicato esclusivamente al Senza Glutine, ad angolo con il Museo Archeologico Nazionale. L’ambiente è simile a tutti gli altri della catena e pure i dolci non deludono: dai babà a quelli tipici natalizi come raffioli, mostaccioli e roccocò.

Napoli da asporto: taralli e cuzzetielli

Taralleria Napoletana

via San Biagio dei Librai 3

taralleria napoletana

Il neonato tempio dei taralli a Napoli doveva per forza portare la firma di Leopoldo, storico panificio/tarallificio da quasi un secolo presente a Via Foria. Il tarallo a Napoli è una religione, un appetizer da consumare in qualunque momento della giornata: nella sua versione tradizionale, ricco di sugna, pepe e mandorle, qui viene proposto ai friarielli, ai peperoni, anche vegano. Ottimo per prendere un cuoppo da portar via oppure appoggiandosi ai tavolini, approfittando anche di una piccola selezione di birre artigianali. Mini ambiente, ma molto simpatico ed alla mano.

Tandem d’Asporto

Via Mezzocannone 75, Napoli

Una combinazione di fattori segreti, ricetta compresa, fanno del ragù di Tandem un sugo irrinunciabile: parliamo ovviamente della versione napoletana del ragù. Io stessa, avida mangiatrice di mafalde al ragù, di cuzzetielli ripieni del sacro intingolo, non riesco a resistere davanti alla grassezza ottenuta in questo posto. In tutta franchezza, mi trovo a consigliarvi il Tandem d’Asporto, per la velocità e per la possibilità di mangiare a quasi tutte le ore del giorno. Prendete un cuzzetiello con polpette al ragù e vi sentirete in pace con l’universo.

Leopoldo Cafebar (Senza glutine) a Napoli: recensione sulla credibilità

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Siamo al Leopoldo Cafebar – senza glutine -, una delle pochissime pasticcerie di Napoli dedicate al gluten free, per provare la loro versione dei dolci della tradizione partenopea e superare (anziché no) tutti i nostri preconcetti. La nostra recensione.

La moda di mangiare senza glutine attecchisce anche su chi non ha sul serio bisogno di alimentarsi ad hoc. Un po’ come quando la mamma ti dava gli integratori per l’anemia pur essendo tu un bambino in perfetta salute, diciamo. A nulla valgono, pare, gli allarmi lanciati riguardo un ipotetico aumento del diabete di tipo 2 in concomitanza di una dieta volontariamente priva di glutine.

Dobbiamo però pur sempre fare i conti con un dato vero, cioè che le patologie varie legate al glutine esistono. Anzi, celiachia a parte, ci ricorda Bressanini che ipersensibilità varie devono ancora essere codificate.

Leopoldo Cafebar pasticceria Napoli

E mentre i nostri compagni di mangiate allergici o intolleranti spesso devono portarsi le vettovaglie da casa, i ristoratori cercano di organizzarsi al netto delle difficoltà: gli spazi da dedicare al senza glutine devono essere ben delimitati (da vetrate ed ingressi appositi) e distanziati dagli altri, per evitare contaminazioni incrociate e particelle volatili (!!!). Poi c’è il problema delle preparazioni di per sé, dal momento che impastare con farine senza glutine è una brutta gatta da pelare e non di rado si ricorre ad addensanti (come la gomma di xantano), con risultati “diversamente performanti”.

Leopoldo Cafebar pasticceria Napoli

Ora, in tutta sincerità, mi sono chiesta come un celiaco possa mangiare il babà o la sfogliatella a Napoli, città che ultimamente offre buone pizze gluten free, piatti alternativi e – decisamente in corner – anche pasticcerie. Sul territorio cittadino ho trovato un paio di esempi: il più valido, al momento, è quello offerto dal brand Leopoldo 1940, che ha creato un punto vendita dedicato al “senza”: Leopoldo Cafebar – Il senza glutine.

Due parole su Leopoldo, per chi non lo conoscesse. Nacquero tarallari, il che a me pare una bellissima cosa, visto che il tarallo (quel bellissimo panificato con sugna, mandorle e pepe, traslucido di grasso e perfetto da sgranocchiare passeggiando) è una delle cose più buone che ci ritroviamo a Napoli. Successivamente, dai taralli e panificati si passò a produrre dolci. Hanno colonizzato la città con i dolci: un case study tutto napoletano, almeno per quanto riguarda il marketing e la diffusione capillare di questi punti vendita nella città. Molto più di una “pasticceria”, per la quantità inusitata di dolci, lievitati, panificati, che propone ogni giorno. E non parliamo soltanto di dolci distribuiti nella cintura metropolitana di Napoli, ma anche di forniture, eccetera.

Leopoldo Senza Glutine: l’ambiente

Leopoldo Cafebar pasticceria NapoliLeopoldo Cafebar pasticceria Napoli

Leopoldo Cafebar Senza Glutine conquista qualche punto già dalla posizione, da non sottovalutare: estremamente centrale, in pratica di fronte al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) ed a due metropolitane di due linee differenti, Museo e Cavour. Facilmente raggiungibile da ogni punto della città.

L’ambiente è piccolo: all’ingresso, ci ritroviamo subito una bella esposizione di dolci senza glutine come un’invitante cassata napoletana, subito dopo il banco dei dolci L size ed S size (mignon).
I toni sono vagamente chabby chic: in una saletta di fronte al banco caffè prevede qualche tavolino per la consumazione in loco, nulla di molto agevole oppure comodo per sostare a lungo, ma per una colazione veloce sono affidabili. Il rosa unito alla fantasia à pois mi fa sentire molto Dumbo alla parata degli Elefanti Rosa.
Super-nota di merito riguardo il personale: gentile, molto accorto, si è dimostrato disponibile a fornire tutte le spiegazioni riguardo impasti e farciture. In caso di dubbi, hanno subito sbirciato il libro unico degli ingredienti.

Da non sottovalutare, la presenza di dolci freschi al taglio come torte di mele e carrot cake (alcuni anche senza lattosio), così come dei dolci mignon in sacchetto, da portar via e degli immancabili taralli di Leopoldo, versione gluten free. Presente anche una vetrinetta con qualche pizza al taglio.

I dolci napoletani in versione gluten free

Dopo un caffè non particolarmente performante (virate su altro, c’è tantissima roba dai tè, alle cioccolate, alle tisane, ai cocktail), iniziamo con il babà senza glutine: il corpo è particolarmente sviluppato, mentre la cupola è poco pronunciata. Il colore è brunito e all’aspetto sembra ricoperto di una decisa bagna zuccherina. La prova forchetta risulta abbastanza soddisfacente, i dentini affondano nella pasta con un po’ di “ritrosia” rispetto ad un babà con pasta classica, ma niente di preoccupante. Come già diceva l’aspetto, il babà risulta particolarmente “zuppo” e zuccherino.

La pasta interna vira decisamente sul colore giallo (non abbiamo chiesto, ma la base di questo impasto senza glutine sembra decisamente farina di mais, dal colore) , non particolarmente alveolato ma in qualche modo il pasticciere è riuscito a scagionare l’effetto da “cattiva lievitazione” al gusto. La bagna ha sacrificato la parte alcolica in favore di un eccesso di zucchero. Qualche incertezza su questo babà, che risulta comunque godibile.

Il capitolo sfogliatelle è decisamente più pingue: insomma, la sfogliatella è un dolce bomba strapieno di glutine, a partire dalla pastafrolla (per la frolla) e la sfoglia (per la sfogliatella riccia), passando per il ripieno che, oltre alla ricotta ed ai canditi, contiene anche una certa dose di semolino di grano, che contiene naturalmente glutine.

La sfogliatella frolla è stata la vera sorpresa di questo assaggio dedicato al senza glutine. Taglia M nella scala delle sfogliatelle, va benissimo nel palmo di una mano, sembra un biscottino e dall’odore risulta vagamente vanigliato, grazie all’aggiunta dello zucchero a velo. La temperatura di servizio è tiepida. Il guscio, fatto di farina di riso, farina di lenticchie, farina di teff (in proporzioni variabili) è molto friabile e sottile, accoglie benissimo il ripieno generoso fatto di farina di riso, ricotta e canditi.

Cottura che si attesta a livelli ottimali, lasciando il giusto grado di umidità ma senza lasciare zone crude, soprattutto il “filo” che congiunge ripieno e guscio, tallone d’Achille della cottura. Senza tema di sbagliarmi, questa sfogliatella frolla senza glutine regge benissimo il confronto con le più classiche e blasonate. Promossa a pieni voti.

La sfogliatella riccia, ve lo dico subito: non è esattamente una bellezza. Piccolina, poco stesa, una sorta di “ventaglietto” molto brunito, è una di quelle sfogliatelle a cui daresti poco credito. Mettici pure che ha il colorito del terreno di Marte. Servita al tavolo, ne guadagnata qualche millesimo di punto in più grazie ad una sapiente spolverata di zucchero a velo, ma tant’è. Leggera in mano, non unta, si presenta ben chiusa. Apro il corpo del reato in due: scricchiolio molto attenuato, ma non posso dire che non ci sia.

Il ripieno è quello della sfogliatella frolla, forse qui leggermente più cremoso e con canditi non in vista. L’effetto crunchy è sicuramente sacrificato, ma la sfogliatura è davvero ben fatta ed al palato la pasta sembra quasi “sciogliersi”. Una sfogliatella riccia sicuramente differente dalle glutinose, ma il risultato è studiato, apprezzabile.

Prezzi

Avendo consumato al tavolo, abbiamo i dovuti rincari. I dolci ci sono costati 2,50 euro l’uno (da portar via, venivano 2,00 euro a pezzo), il caffè viene molto alto vista la resa, cioè 2,00 euro al tavolo. Il prezzo dei dolci ci pare giusto, vista l’offerta singolare e visti anche i prezzi (e sovrapprezzi) che solitamente molti applicano a questi prodotti, in virtù dell’eccezionalità del “senza glutine”. Qui il “senza glutine” è la norma, il prezzo lo dimostra, la clientela è variegata e c’è un buon ricambio. L’operazione sembra ben riuscita, da limare qua e là, ma è posto assolutamente da segnalare e da appuntare in guida, perché potrebbe sempre tornarvi utile.

Informazioni

Leopoldo Cafebar – Il Senza Glutine

Indirizzo: Piazza Cavour 78/79, Napoli
Sito web: facebook.com/pages/Leopoldo-Cafebar-Senza-Glutine/
Orari: Aperto tutti i giorni dalle 07.00 alle 21.00
Tipo di cucina: pasticceria napoletana senza glutine
Ambiente: spazi piccoli, chabby chic
Servizio: cordiale e molto preparato sul senza glutine

Voto: 3,3/5

Sigep 2020: le novità nel mondo del gelato e nuovi marchingegni per professionisti

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Si è concluso da poco il Sigep 2020 a Rimini, il salone dedicato ai professionisti della gelateria, della pasticceria e della panificazione che di anno in anno si conferma luogo imprescindibile per comprendere lo stato di salute di un settore che è tra gli asset del nostro Paese.

Ben 200mila i visitatori accolti dal padiglione fieristico di Rimini, con strade di accesso, parcheggi, ma soprattutto hotel e ristoranti della riviera presi letteralmente d’assalto, tanto da faticare la sera a trovare un tavolo libero al ristorante. Alla faccia della destagionalizzazione del gelato, di cui tanto si parla, l’unico posto in cui si mantecano vaschette a gennaio è la Romagna, durante il Sigep, che anche quest’anno ci ha ricordato qual è il suo core business: quello dell’ospitalità.
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Parlando con gli operatori qualcuno ha sottolineato come in realtà il nostro mercato interno cominci a dare segni di flessione, ben sostituito però dalle praterie che abbiamo al di fuori dei nostri confini. In molti stand si sentiva parlare molto di più in inglese che in italiano ed è questo l’obiettivo/sfida di Sigep, ovvero quello di imporsi come l’appuntamento da non perdere anche per quegli operatori, nostri connazionali e non, che vivono e investono in tutto il mondo (ben 33mila i buyer esteri).
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Perche l’Italia che vince non è solo la squadra che si aggiudica la Coppa del Mondo della Gelateria (complimenti al gelatiere Eugenio Morrone, il pasticciere Massimo Carnio, lo chef Marco Martinelli e lo scultore del ghiaccio Ciro Chiummo, con Giuseppe Tonon team leader) battendo il Giappone (medaglia d’argento) e l’Argentina (medaglia di bronzo) ma soprattutto è un comparto fatto di aziende di attrezzature e prodotti per gelateria che ha Rimini ha mostrato nuovamente i muscoli, fatti di stand enormi e fantasmagorici, testimonial importanti e agenti di vendita agguerritissimi.
Le tendenze viste quest’anno non si discostano molto dalle ultime linee viste.

Resistono sacche di resistenza di gelati ipercolorati e fantasiosi, che puntano al target dei bambini con l’abbinamento a personaggi e temi di fantasia (vedi alla voce I Trolls), e compare (a mia memoria forse per la prima volta), in posizione definita lo stand della Nutella, che ricorda a noi tutti l’assenza di una legge sull’artigianalità del gelato affiancando il marchio di punta della multinazionale Ferrero all’espressione gelato artigianale.

Il gelato a ridotto contenuto di zuccheri segna un pò il passo, ma sempre più aziende puntano su linee di prodotti premium di alta fascia, con referenze ricercate e ricette pulite.

Gelato e sostenibilità

Il tema della sostenibilità (la gelateria, tra costi ambientali di produzione e materiali di consumo per il packaging dei gelati, ha un impatto non indifferente) continua a venire affrontato dalle aziende, ma non diventa preponderante, data l’offerta che va a toccare un mercato mondiale con sensibilità e richieste diverse.

Sostituire completamente i materiali plastici con prodotto compostabili derivati dal mais è impossibile perché non c’è materia prima a sufficienza per approvvigionare le aziende, e perché si finirebbe per favorire una monocultura intensiva altrettanto dannosa per l’ambiente. Una soluzione potrebbe essere l’utilizzo di plastica riciclata, ma questo impiego dovrebbe integrarsi con un’economia circolare efficace e capillare.Se guardiamo solo all’Italia, misure come la plastic-tax non risolvono il problema, ma aiutano solo il legislatore a lavarsi la coscienza.

C’è poi il demone del polistirolo espanso, materiale non riciclabile dalle performance di isolamento termico per il gelato d’asporto (e non solo) uniche. Sui materiali compostabili sostitutivi, poi, c’è il sospetto  che possano rilasciare microparticelle plastiche nella decomposizione (verso le falde acquifere).

Intanto, al Sigep vediamo comparire le prime vaschette in cartone, con un’intercapedine d’aria isolante: una soluzione migliore che, forse, potrebbe rivelarsi illuminante.

Gelato: le nuove attrezzature

Al “Salone Internazionale della Gelateria, della Pasticceria, della Panificazione Artigianale e del Caffè” fanno capolino anche i mantecatori monogusto, per produrre “al volo” fino a 100 (e poco più) grammi di gelato espresso: come una gelatiera all’azoto liquido qualsiasi, ma in maniera tradizionale. Proposta di nicchia per location di altissimo livello (dato anche i costi per metterla in campo) affiancate da offerte più pop, che generalmente coinvolgono il gelato soft espresso, proposto con popcorn, zucchero filato e altri sfizi.

Anche i mantecatori da banco, per produrre il gelato davanti al cliente, continuano ad essere pompati da molte aziende per dare la possibilità ai futuri imprenditori di creare format di locali alternativi.

Sul lato gourmet del gelato si sperimentano ad oltranza infusioni, contaminazioni e ingredienti riservati fino a poco tempo fa all’alta cucina: erbe aromatiche, fiori eduli, germogli ed essenze sono oramai sdoganati anche in gelateria.

Ovunque e comunque legioni di testimonial più o meno famosi, con demo, show cooking e dimostrazione in decine e decine di stand, anche ciclo continuo. Resistono ad oltranza come fama l’immarcescibile Iginio Massari, con Ernst Knam e Borghese. New entry, assalito da orde di ragazzine con lo schermo sguainato per un selfie, il giovane e (e pure belloccio) Damiano Carrara.

Continua la mania dello street food, forse in leggero calo di proposte, con carretti e mezzi motorizzati di ogni sorta; avvistato qualche stand con basi pronte surgelate o UHT. Si lanciano sul mercato aziende produttrici di arredi e di format per catene ristorative già note.
Nei padiglioni dedicati al caffè si continua molto a puntare sul racconto, sulla sostenibilità della provenienza della materia prima principe, con un’offerta al pubblico classica che ha lasciato un po’ da parte il mondo delle preparazioni e le estrazioni “alternative”, molto in auge fino a poco tempo fa.

Molti i molini presenti con farine più o meno complete per la preparazione di lievitati, focacce e pizze. Grande spazio ai forni, sempre più punto nodale per avventurarsi imprenditorialmente in questo mondo.

Curiosità: per le orde di visitatori desiderose di ristorarsi, ha fatto furore il corner dedicato unicamente ai cappelletti creato da Pier Giorgio Parini, già chef dell’Osteria stellata Povero Diavolo di Torriana (visto pure ai fornelli in persona). Segno anche la proposta di qualità può diventare pop(olare).

Molti gli operatori che presentavano nuovi sistemi per la gestione delle casse anche con totem self su schermi touch (alla McDonalds), in risposta alle nuove normative italiane.

Dal banchetto frigo di design, dalla tostiera disegnata da Jordi Roca di Rocambolesc all’hamburger gelato, fino alle attrezzature cinesi e turche, al Sigep non ci si è annoiati di certo.

Ristoranti del Veneto: le nuove aperture del 2020 da tenere sott’occhio (e una chiusura)

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Chi dice i ristoranti di Venezia sono fermi ad una cucina fatta di risotto al nero e baccalà mantecato? Chi dice che aprono solo bacari? Le nuove aperture del Veneto previste per il 2020 segnano l’arrivo in laguna di chef montani pluripremiati, pasticceri VIP, cocktail assai promettenti e birre artigianali. Altroché spritz. Ecco una panoramica delle novità.

Norbert Niederkofler all’Aman

Calle Tiepolo Baiamonte, 1364, Palazzo Papadopoli

Niederkofler Dario Ossola Aman Venice

Dalle montagne dell’Alto Adige è da poco sbarcato in laguna (lo scorso dicembre) Norbert Niederkofler. Il pluripremiato chef del St Hubertus, ristorante tre stelle Michelin all’interno del Rosa Alpina Hotel a San Cassiano, che ha fatto di “Cook the Mountain” una filosofia culturale prima ancora che gastronomica, è infatti il nuovo consulente di Aman Venice, luxury hotel (l’unico 7 stelle in città) affacciato sul Canal Grande.

Lo chef altoatesino si dedicherà alla creazione dei menù del ristorante Arva, in collaborazione con Dario Ossola, executive chef dell’hotel. L’idea è quella di portare in laguna la stessa visione montana: un “Cook the Lagoon” quindi, che si tradurrà in un confronto con i fornitori locali, agricoltori e pescatori, per utilizzare sempre prodotti stagionali e freschi del mercato di Rialto, della laguna di Venezia e delle sue isole. La carta cambierà a seconda delle stagioni, includendo anche un’interpretazione moderna dei classici della cucina veneziana.

Stappo

Venezia

In zona San Stae, a 5 minuti da Rialto, ad aprile aprirà Stappo e, come suggerisce il nome, protagonista sarà il vino: i piatti saranno infatti pensati per esaltarne corpo e caratteristiche. I classici della tradizione non mancheranno ma ci si muoverà anche altrove, nel Mediterraneo, raggiungendo Spagna, nord Africa, Grecia.

Sostenibilità ambientale, materie prime non necessariamente km zero ma derivanti da agricolture ed allevamenti che fanno del rispetto dell’ecosistema il loro tratto distintivo. In carta, pesce (non allevato, ma pescato), carne (gli amanti delle frattaglie stiano in campana) e, nel periodo autunnale/invernale grande spazio alla cacciagione.

Luca Veritti

Venezia?

Luca Veritti

Anche se in pochi se ne sono accorti, Venezia quest’anno ha perso una stella Michelin. Il ristorante cui non è stato riconfermato il riconoscimento è il Met dell’hotel Metropole in Riva Schiavoni. Il 7 gennaio, dal suo profilo Facebook, Luca Veritti – alla guida del Met dal 2012 – con un sobrio post ha annunciato il suo addio. “Ieri sera, dopo quasi 8 anni, si è svolto l’ultimo mio servizio al Met restaurant dell’hotel Metropole di Venezia. Ringrazio tutti i ragazzi che in questi anni hanno lavorato con me, che mi hanno supportato e sopportato, che ho fatto crescere e che mi hanno fatto crescere. È stata un’esperienza fantastica, faticosa e molto importante. Ringrazio la direzione del Metropole per il supporto e l’occasione che mi è stata data. PRONTO PER LA PROSSIMA AVVENTURA……”.

Arrivato al Met dopo Corrado Fasolato (ora in quel di Schio, con il suo Spinechile Resort), Veritti aveva costruito un menu tra contemporaneità, laguna e Friuli, sua terra d’origine. Ora la decisione, di comune accordo con la proprietà, di prendere strade diverse. I rumors tuttavia dicono che rimarrà a Venezia, con una formula più semplice e accessibile. Vi aggiorneremo.

Zanze XVI

Santa Croce 231, Venezia

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Non una nuova apertura, ovviamente, ma un cambio della guardia in cucina e un ritorno alle origini in carta. Di Zanze XVI vi abbiamo parlato diverse volte: per la possibilità di pagare in bitcoin, certo, ma soprattutto indicandola come una delle mete veneziane in cui fare una sosta gourmet nel caso di una visita in città. Risollevatosi dopo i danni dell’acqua alta dello scorso 12 novembre e con la solida consulenza di Nicola Dinato di Feva (1 stella Michelin a Castelfranco Veneto), Zanze segna ora l’arrivo in cucina di Masahiro Homma.

Arrivato a Venezia 14 anni fa da Okayama (città nella zona di Osaka), dopo alcuni anni a Firenze (e forte anche dell’esperienza fatta in Giappone), Homma ha avuto per la città lagunare un colpo di fulmine. Appresi i classici veneziani e allenato l’occhio al pesce, ha lavorato in quei ristoranti cittadini che più di altri guardano alla contemporaneità. Stimato e amato dai colleghi, approda ora da Zanze per il nuovo corso del locale, che riprenderà la filosofia iniziale, quella di una cucina semplice dove la materia prima conta più della firma dell’autore e dove l’impostazione è quella di un’osteria elegante.

Il Tiramisù – Dolce di Treviso

Campo SS. Apostoli, Venezia

Tiramisù

3 giovani imprenditori trevigiani (Elisa Menuzzo, Debora Oliosi e Alberto Curtolo) e il dolce italiano più famoso al mondo. Si chiama Il Tiramisù – Dolce di Treviso, ed è un progetto nato con l’obiettivo di aprire una serie di punti vendita in Italia e all’estero. Il format, inaugurato il 25 gennaio, è pensato per ricreare un’atmosfera anni’60 e una “cucina della nonna”, tanto di dettagli e foto d’epoca di Treviso (città natale del tiramisù, nonostante il dibattito con il vicino Friuli che ne contesta le origini sia ancora accesso) e dei capoluoghi veneti.

Diverse le ricette e i formati proposti (dal “vojesso”, cucchiaio monoporzione, alla crema in bicchiere, dalla monoporzione alla teglia da asporto), con la possibilità di veder assemblato il proprio tiramisù al momento, da un “Maestro del tiramisù”. Quello su cui i tre soci hanno puntato è la crema, che – prodotta su scala industriale nello stabilimento di Quinto di Treviso, seguendo la ricetta originale, con ingredienti freschi e senza conservanti – promette di essere identica a quella fatta in casa. Fornitore del caffè sarà Hausbrandt, storica azienda fondata a Trieste oltre un secolo fa e oggi stabilitasi a Nervesa della Battaglia, in provincia di Treviso. Il primo punto vendita ha aperto sabato 25 gennaio a Venezia, in Campo SS. Apostoli. Seguiranno Verona, Firenze, Milano, Roma e ovviamente Treviso. Quindi l’Europa, partendo da Germania e Regno Unito.

daMe Bistrò

via Antonio Guolo 23, Dolo (VE)

Lionello Cera

Con la sobrietà e discrezione che lo contraddistinguono, Lionello Cera – due stelle Michelin in quel di Campagna Lupia, nel veneziano, che ha trasformato l’osteria di famiglia in uno dei migliori ristoranti di pesce del paese e che ha fatto dello Spaghettino freddo con mazzancolla, lucerna, salsa di pistacchi di Bronte e basilico un piatto talmente iconico da renderne impossibile l’uscita dal menu – apre un nuovo locale.

La notizia era nell’aria da un po’ e ora finalmente, a Dolo, lungo la Riviera del Brenta, i fan di Cera potranno trovare daMe, un bistrò (niente francesismi, l’italianizzazione è voluta) che promette la stessa qualità e lo stesso rigore nella scelta delle materie prime che identificano la “casa madre”. Il nome scelto ha un doppio significato: da un lato l’accoglienza (“da me”, appunto), dall’altro – se letto tutto attaccato e in dialetto, la richiesta (“dame”, dammi). L’idea è quella di un locale con un’offerta specifica per ogni fascia della giornata, e per una clientela ampia, con prezzi accessibili anche a chi non può permettersi una cena nel ristorante di Lughetto.

Si inizia alle 7.30 con la colazione, per proseguire con i tramezzini e arrivare quindi al pranzo che prevede un buffet di verdure di stagione e un piatto di carne. Si può scegliere anche alla carta (tra gli altri, Gnocchi con ragù di manzo al coltello e Parmigiano 24 mesi, Lasagen di mare, Guancia di Vitello con purè di zucca e radicchio) che include anche proposta vegane e vegetariane. Cicchetti, bruschette e spritz saranno i protagonisti dell’aperitivo, dalle 18, mentre dalle 20 la cena. Tra gli altri, in carta: Spaghettini freddi all’aglio, olio, peperoncino e battuta di cozze, Fritto misto, Maialino croccante con purè di ceci alla brace e radicchio alla senape, e un menu di cicchetti espressi (Cono fritto, Scampi crudi, Baccalà mantecato e così via…) a cui si aggiungono due focacce al vapore. Se ci capitate la domenica troverete ad aspettarvi Cotechino con pure di patate, Seppie al nero con polentaBaccala mantecato e Pasta e fagioli.

La cucina è  affidata a Saul Davide Arbib, fidato collaboratore di Lionello, mentre la direzione del locale è nelle mani di Simonetta Semenzato affiancata da Daniela Pescarolo.

Il locale nasce dalle ceneri di un cocktail bar. Dopo i lavori di restyling (affidati all’architetto padovano Fabiola Zeka Lorenzi) si è arrivati ad un locale con cucina a vista, 30 coperti all’interno e 40 nel dehors, dove dominano leggerezza e luminosità. Colore principale il verde, omaggio all’entroterra veneziano. La serra di Lughetto sarà protagonista con le sue erbe aromatiche, mentre un giardino verticale di verde stabilizzato (muschi e licheni del Nord) sarà sospeso sopra il banco-bar.

Bloom e Undicesimo Vineria

Via San Liberale 10, Treviso

Brutto

Una combinazione nuova per Treviso, che parte dallo smart working e arriva a concepire un bistrò plastic free con i piatti firmati da una delle coppie gastronomiche più innovative del Veneto. Bloom è prima di tutto uno luogo di lavoro, di socialità e di coworking. Dallo scorso 19 dicembre, e per tre mesi, a seguito di una collaborazione tra i giovani titolari da una parte e Francesco Brutto e Chiara Pavan dall’altra è diventato anche uno spazio gastronomico, a metà strada tra il ristorante e la caffetteria.

In un green-oriented, in cui tutto (dai detergenti all’imballo ai menu) è realizzato con materiali a basso impatto ambientale, Francesco Brutto di Undicesimo Vineria e Chiara Pavan del Venissa danno vita a piatti a scarto limitato, preferendo ingredienti vegetali provenienti da fornitori selezionati e locali, riducendo carne e pesce, che arrivano comunque da allevamenti etici e da pescati secondo indicazioni di stagionalità. Meno azzardi dell’Undicesimo Vineria e maggiore comodità, quindi, gastronomica e di spazi.

The Traveler (Spiriti, vino e passione)

San Zeno, Piazza Corrubbio 9, Verona

Siamo a San Zeno, quartiere di Verona. Qui, in Piazza Corrubio, tra la prima e la seconda metà di febbraio è prevista l’apertura di un locale che è frutto della passione di una giovane coppia per vino e cocktail. Se vi piacciono le enoteche/wine bar, The traveler fa al caso vostro, con una proposta basata sulla ricerca di piccole cantine e produttori che fanno della qualità il loro tratto distintivo. Siete tipi da cocktail bar? Eccovi accontentati, con proposte che dal bancone arrivano fino alla cucina. Cercate tisane e infusi in un luogo dove rilassarvi? Ebbene, ci sono pure quelle, con un’attenzione particolare per bevande preparate con frutta e verdura. La scusa per rimanerci ore, dal pomeriggio al dopo cena, è servita.

Cr/ak Casana

Il birrificio artigianale di Campodarsego promette grandi novità per il 2020, tra le quali un nuovo locale alle porte di Padova, che sarà anche una seconda sede di produzione (con il conseguente ampliamento del “progetto Cantina”), oltreché, ne siamo certi, nuovo punto di riferimento per gli appassionati di birra del territorio e non. Se vi è mai capitato di visitare la loro TapRoom, accanto al birrificio, ci darete ragione: non è facile trovarne di così belle e accoglienti. Inaugurazione prevista per aprile/maggio.

Iginio Massari a Verona

Un indizio nemmeno troppo difficile da interpretare. L’ultimo post social pubblicato dal maestro Iginio Massari sulla sua pagina Facebook è un annuncio di lavoro a tutti gli effetti che preannuncia un’apertura nella città scaligera. Le qualità dei futuri pasticceri che intendano far parte della grande famiglia Massari – ormai un progetto collaudato che inesorabilmente punta alla conquista delle più grandi città italiane – vedono un “Forte orientamento alla qualità, fine manualità, capacità di lavorare all’interno di un team e capacità di apprendere in maniera veloce”.

Oltre ad augurare ai futuri candidati buona fortuna, vi diciamo anche che vi terremo aggiornati sulle date.

Il ridotto delle 4 Ciacole

Badin, Marano Valpolicella

Prevista per marzo l’apertura in Valpolicella (in località Badin, a Marano Valpolicella, per la precisione) di una “succursale” de La Locanda le 4 Ciacole, ristorante della provincia veronese (Roverchiara) che ha fatto dell’atmosfera familiare e accogliente e della cura nel trattare i prodotti del territorio i suoi tratti distintivi. Il nuovo locale si chiamerà “Il ridotto delle 4 Ciacole” e, immerso nei vigneti, promette di replicare gli elementi che hanno decretato il successo della casa madre. La guida della cucina sarà affidata a Alex Pasotto, mentre il compito di dirigere la sala andrà a Michele Marchesan. A marzo, inoltre, anche la stessa Locanda vedrà l’avvio di un nuovo progetto, con un cambio nella brigata di cucina.

Il Vecio Fritolin (Chiusura)

Con un post su Facebook Irina Freguia, titolare del Vecio Fritolin, storico locale veneziano, ha annunciato la chiusura del suo ristorante.

Luogo che aveva fatto dei classici della cucina veneziana i suoi punti di forza – su tutti lo scartosso,  il cartoccio di pesce fritto – ma che nel corso degli anni aveva saputo guardare anche alla contemporaneità, senza eccessi, il Vecio Fritolin era un riferimento in città. Dopo molti anni in cui la cucina era stata affidata a Daniele Zennaro, nell’ultimo periodo si erano succeduti diversi chef. Il locale, come moltissimi altri in città del resto, aveva subito danni a seguito dell’acqua alta del novembre 2019. La notizia ha suscitato diverse reazioni, alternando manifestazioni di solidarietà e affetto, a commenti che attribuiscono non poca responsabilità ai proprietari del locale cui Freguia pagava l’affitto, che avrebbero preteso mesi di arretrati e che non avrebbero considerato la situazione di difficoltà dopo l’acqua alta.

Cesare Benelli, titolare de Al Covo e co-proprietario del locale – che abbiamo intervistato – ha fatto alcune precisazioni, relative sia al costo effettivo dell’affitto sia ad una gestione da tempo in difficoltà, che avrebbe quindi causato la crisi odierna. Al di là delle accuse e delle polemiche, una chiusura così rumorosa è un’ottima occasione per riflettere sul comparto e sul futuro della città, sempre più svuotata di residenti, e per sottolineare lo sforzo continuo di un manipolo di ristoratori nel dimostrare – nonostante gli stereotipi e l’immaginario comune – che a Venezia esistono ancora luoghi in cui star bene senza gridare alla truffa. Speriamo, insomma, che non ci si limiti a prendere atto di chiusure frequenti, ma che ci si attivi per evitarle.

Alfonso Pepe è morto: chi è stato il pasticcere di Sant’Egidio

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La tentazione di andare fuori dal seminato giornalistico, in questo caso, per quanto ci riguarda è fortissima. La notizia è netta e purtroppo delle più brutte. È morto Alfonso Pepe, Maestro Pasticciere di Pepe Mastro Dolciere di Sant’Egidio del Monte Albino, provincia di Salerno. Era affetto da circa due anni da un male incurabile.

È impossibile per me separare la sua figura dai suoi dolci, dai miei ricordi: abitare ad una manciata di chilometri di distanza da Alfonso Pepe è stato sempre motivo di forte orgoglio misto a campanilismo paesano dei più puri: sono sempre stata certa di poter sventolare una fetta del suo panettone anche davanti agli occhi dei più scettici. Il modo sicuro per addolcire ogni polemica. Vederlo in pasticceria – prima e dopo il restyling – era una festa: un anti-divo per eccellenza, timido e sorridente, gli occhi stretti nello stesso sorriso, presenza pacata e predominante nel panorama nazionale della pasticceria.

Classe 1965 e pasticciere dell’AMPI da decenni, è famoso soprattutto per i suoi dolci lievitati, in particolare i lievitati di grandi dimensioni: è stato tra i primi rappresentanti, se non il primo, a portare il panettone al Sud, proponendolo sia nelle versioni classiche che in quelle farcite con eccellenze del territorio: un territorio che amava visceralmente e non ha mai abbandonato.

Dapprima garzone nelle botteghe pasticciere di località di mare, da circa 25 anni coltivava un sogno familiare di pasticceria d’autore.  Su queste pagine ne abbiamo sempre parlato con entusiasmo, contagiati dal suo e forse, speriamo, contagiosi.

Amava selezionare gli ingredienti personalmente, dagli agrumi di Sant’Egidio – con i quali ha creato panettoni memorabili ma anche dolci, come la Delizia di San Gilio, dedicata al suo paese – alle fave di cacao, di cui era un appassionato trasformatore, avendo compiuto diversi viaggi nei Paesi produttori, sempre curioso di scoprire e di portare nella “sua” Sant’Egidio la rarità, la novità.

Via Nazionale, un serpentone perennemente ingolfato di traffico che unisce decine di paesi da una provincia all’altra, da Salerno a Napoli, sotto i Monti Lattari che ti separano da una delle costiere più belle del mondo, non è certo un posto bellissimo. Ma lo diventa ogni volta che svetta quella “P” di Pepe in verde, l’insegna rassicurante di un porto dolce sicuro. La pasticceria di Alfonso Pepe ha contribuito negli anni alla crescita gastronomica dell’intero Agro-Sarnese Nocerino, pianura che si estende tra le province di Napoli e Salerno e che trova nel pomodoro la sua sussistenza. Oggi, grazie ad Alfonso, quella è anche una terra di eccellente pasticceria.

Un uomo che ha lottato contro i pregiudizi ed i campanilismi gastronomici, decretando la dignità del panettone del Sud e poi la residenza dell”Everest dei Lievitati” in Campania.

Un modo di lavorare senza eccessi, senza urla: in un mondo che urla di continuo, è un esempio. Oltre la vaniglia, oltre l’uvetta, oltre tutto, c’era una cosa che solo Alfonso riusciva a mettere nei suoi panettoni: un amore smisurato, incontenibile per le cose buone.

La sede fisica della pasticceria per molti anni è stata classicheggiante, mentre intorno a lui fiorivano imperi, lui meditava. Poi, circa due anni fa, il restyling: da pasticceria classica si trasformò in un punto d’approdo per le persone provenienti da tutta la Campania, ma anche per i curiosi gastronomi di fuori regione, che nei fine-settimana affollavano all’inverosimile la struttura ed i parcheggi. Non solo pasticceria, ma un alveo dove gustare eccellenze dolci e salate del territorio e della Campania intera: dai dolci agli aperitivi, Pepe era riuscito a catalizzare su di sé l’attenzione.

Chiunque abbia conosciuto Alfonso (e non è retorica) sarà concorde nel dire che era una persona buona, un artigiano appassionato che, insieme a fratelli Giuseppe, Prisco e Anna, aveva dato vita a un piccolo grande sogno, in un paesino quasi dimenticato alle spalle della ben più famosa Costiera Amalfitana.

Dobbiamo anche a persone come te quello che siamo ora. Gastronomicamente parlando e non.

Raccontare i dolci, soprattutto panettoni e colombe, sarà meno bello. Ciao Alfonso.

Frittelle di Venezia: la mappa delle migliori pasticcerie da provare a Carnevale

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Dici Carnevale e il pensiero corre immediato a Venezia. E se per molti l’obiettivo è quello di visitare la città portandosi a casa un foto classica, magari con doge e dama, in realtà esiste un motivo più nobile per immergersi nel fiume di turisti lagunari: le frittelle, vero must stagionale, il cui culto spinge ogni anno schiere di appassionati a stilare classifiche sulle migliori pasticcerie cittadine.

Noi ci rifiutiamo, non per codardia, ma perché ogni pasticceria ha la sua specificità: preferiamo quindi regalarvi un’utile mappa (una Gourmap, come la chiamiamo noi) per assaggiarle tutte e stilare la vostra classifica personale.

Prima però, il vocabolario minimo. La frittella, a Venezia, è la fritola. Il dialetto vince, senza gara. E la fritola veneziana è quella classica, la pietra di paragone con la quale misurare il resto. Senza ripieno, ma non vuota, sia ben chiaro.

Quello che sembra un problema filosofico in realtà ha una facile spiegazione: l’impasto della veneziana assomiglia a quello di un lievitato. La pasta è dorata, soffice e spugnosa, perfetta per accogliere uvetta e pinoli e per affondarci dentro un morso fino a che la punta del naso non si ricopre di zucchero.

Rosa Salva

San Marco Calle Fiubera 951, San Marco Mercerie 5020, Campo San Giovanni e Paolo

fritole rosa salva

Ore di lievitazione, un impasto in cui verrebbe da tuffarsi ed una frittura con un buco al centro. Guai a chiamarla ciambella, la fritola veneziana di Rosa Salva è imprescindibile: il buco garantisce una cottura uniforme trasformando la classica sfera in un esemplare più schiacciato e basso.

Uvetta australiana, pinoli e un passaggio nello zucchero semolato, mai a velo. Perfette se consumate tiepide, buone anche dopo un po’ di riposo al banco. Gli amanti dei numeri saranno felici di sapere che per fare 600 frittelle ci vogliono 170 uova. Oltre alle veneziane, ecco le ripiene: crema chantilly (non la pasticcera perché troppo pesante) e zabaione, mescolato alla panna pure lui, per alleggerire.

Pasticceria Tonolo

Calle San Pantalon 3764, Dorsoduro

tonolo; frittelle

Preparatevi a sgomitare. Conquistare il bancone della storica e amatissima Pasticceria Tonolo, in questo periodo, è un’impresa. Un volta arrivati di fronte, però, ecco la ricompensa: dorate e tonde le veneziane, rotondette quelle ripiene. Il ripieno migliore è quello alla crema, ma si fa valere anche lo zabaione. C’è anche quello alla cioccolata, forse troppo invadente, oscurando un impasto ottimo, leggerissimo e morbido, mai gommoso. Leggenda vuole che in un solo giorno ne siano state fritte 9000. Assolutamente credibile.

Pasticceria Rizzardini

Campiello dei Meloni 1415, San Polo

pasticceria rizzardini; frittelle

Sulla strada che da Campo San Polo porta a Rialto, ad un certo punto, sulla destra, noterete una pasticceria minuscola. Insegna vecchio stile. E’ la pasticceria Rizzardini, che ha fatto dell’ironia uno degli ingredienti delle frittelle: qui infatti trovate le “venessiane sensa gnente” (cioè senza niente, insomma senza ripieno). Forse leggermente più fritte delle altre (ma qui si vuole spaccare il capello, eh), abbondanti di uvetta, che spunta a piccoli cornetti sulla superficie.

Se volete fare il bis, provate anche quelle allo zabaione.

Didovich pasticceria

Castello 5908-09

Didovich, fritole

Presente da 40 anni in uno dei campi meno affollati di turisti della città (Campo Santa Marina), la pasticceria Didovich è un’altra meta immancabile nel pellegrinaggio dello street food carnevalesco. Anche qui le frittelle hanno ripieni gradevoli, impasti godibili e la giusta quantità di uvetta.

Se non fa troppo freddo, il consiglio è quello di accomodarvi, voi e la vostra frittella, fuori, occupando uno dei tavoli che si affacciano sul Campo.

Trevisan

Santa Croce 637, Campo della Lana

trevisan

Un panificio questa volta, a conferma che i forni sono in grado di rivaleggiare con le pasticcerie. Impossibile capitarci per caso, da Trevisan bisogna andarci per forza. Abbastanza vicino alla stazione e a Piazzale Roma, ma nascosto alla vista e al passaggio di massa (per fortuna), Trevisan espone con orgoglio le sue frittelle in vetrina, dedicandogli uno spazio a parte. Uno sfondo rosso, quasi un fondale teatrale, vede al centro della scena un vassoio di frittelle e uno di galani. Leggermente irregolari, abbronzate il giusto, le fritole di Trevisan sono una rivelazione.

Dal Nono Colussi

C. Lunga S. Barnaba, 2867 sest. Dorsoduro

Nono Colussi

 

Nascosto in una calle lunga e stretta sulla strada che porta al Ponte dell’Accademia, è il luogo fondato nel 1956 da Franco Colussi (il “nono”), che potete osservare qui sopra all’opera mentre testa personalmente i suoi prodotti. Pasticciera famosa per la sua “fugassa“, focaccia da lievito madre senza uvetta nè canditi, oggi vede in laboratorio, oltre a Franco, la nipote Marina. Accanto alle paste tradizionali, ovviamente in questo periodo puntate alle frittelle, qui fatte con il buco. Se vi avanza spazio assaggiate anche le castagnole, quelle che vede ritratte in foto.

Pasticceria Bar Targa

San Polo 1050 sest. San Polo

mammalucchi 2

I mammalucchi sono la prova a cui potete sottoporre un amante del Carnevale veneziano per testarne le competenze. Perché se con le frittelle la gara è facile – e i più bravi sanno ormai anche geolocalizzare le migliori – provate a chiedere agli appassionati se sanno cosa sono i Mammalucchi. Se lo sguardo si fa vacuo o perso come quello degli studenti di fronte ad una domanda imprevista nell’interrogazione, accompagnateli al Bar Targa, in zona Rialto. Qui, accanto alle tradizionali frittelle, compaiono dei fritti ammiccanti dal nome orientaleggiante. Simili alle frittelle, se ne differenziano perché sono più allungati e perché vengono prima cotti in pentola e poi fritti.

Arricchiti con canditi e uvetta, traggono il nome dai Mamelucchi turchi, un’antica milizia composta da schiavi che militò tra il il XIII e il XVI, con cui la Repubblica di Venezia avrebbe avuto dei contatti in passato. Mammalucco è anche l’appellativo riservato a chi non è particolarmente sveglio e un po’ goffo: nel caso qualcuno vi apostrofasse così, zittetelo infilandogli in bocca la delizia veneziana fritta.

Dal Mas

Rio Terà Lista di Spagna 149/B

frittelle dal mas; venezia

Praticamente il benvenuto in città per chi arriva in treno. A pochi minuti dalla stazione, ecco un altro indirizzo storico. Pasticceria di proprietà della famiglia Balestra da una cinquantina d’anni, ha un bancone che offre praticamente tutto, dalle colazioni ai cioccolatini (uscite dalla pasticceria ed entrate nella cioccolateria a fianco). Così come è classico e storico il locale (è un complimento: oggi certe pasticcerie sembrano delle sale operatorie), altrettanto lo sono le frittelle: morbide, asciutte, con una buona proporzione di uvette e pinoli. Le farcite hanno crema, zabaione e cioccolato.

Ballarin

Cannaregio 5794

pasticceria ballarin venezia; frittelle

Rinnovata, con due belle vetrine e un bancone ordinatissimo, si trova a pochi minuti dal Fontego dei Tedeschi. Le frittelle sono esposte in vetrina, belle impilate e pronte. Prima di buttarcisi a capofitto, osservate la varietà di proposte di paste e di dolci tradizionali. Prendete nota per la prossima volta che ci passate per evitare che, mentre voi siete davanti al banco in dubbio su cosa scegliere, dietro di voi si formi una fila chilometrica di clienti.

Pasticceria Nobile

Cannaregio 1818

pasticceria nobile; frittelle

In Strada Nova, in calle del Pistor (una volta chi impastava il pane a Venezia si chiamava pistór) ecco un altro classico. Famosissima per le pizzette, la pasticceria Nobile si fa valere anche a Carnevale: sul lungo bancone, oltre a croissant, sfoglie alle mele, girelle, petit four e paste, ecco le frittelle (esposte anche in vetrina).

Veneziane rigorosamente con zucchero semolato, ripiene (crema o zabaione) con zucchero a velo. Il brutto delle pasticcerie che espongono le frittelle in vetrina è l’inevitabile effetto “bimbo con l’acquolina e il naso appoggiato al vetro” su molti clienti. Entrate, su. Un po’ di dignità!

Marchini time

Campo San Luca, San Marco 4741

pasticceria marchini time; frittelle

Istituzione veneziana, il bar pasticceria Marchini in time è il regno della famiglia Vio. Imprescindibile durante tutto l’anno per un’offerta notevole fatta di frolle con crema, fette monoporzione, sfoglie, bignè e meringhe, a Carnevale arricchisce l’offerta con le frittelle. Dietro al bancone, un sistema rodato garantisce un servizio perfetto; dall’altra parte, a voi non resta che scegliere la vostra fritola preferita e affondarci il naso.

Pasticceria Poppella a Napoli, recensione: oltre il fiocco di neve

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Siamo in incognito alla Pasticceria Poppella, nella sede storica della Sanità, a Napoli. Da qui proviene uno dei tormentoni cittadini degli ultimi anni: il fiocco di neve. La nostra recensione, tra sfogliatelle e babà, oltre ovviamente al mitico dolce. 

Alla Sanità

Del tutto simile ad un suk arabo, uscire nel quartiere Sanità di Napoli per farci la spesa (di baccalà, di succumma cioè frutta secca venduta sfusa, o di altre amenità), prendere un aperitivo, mangiare una pizza, andare a sentire un concerto in una delle decine di chiese sconsacrate, visitare le catacombe paleocristiane (dove si svolgono anche aperitivi e degustazioni di vini!) oggi fa figo, fa tendenza.

Pasticceria Poppella a NapoliPasticceria Poppella a Napoli

Un ruolo cruciale in questa svolta è rappresentanto dalle fondazioni e dalle associazioni locali che, in cordata con gli esercizi commerciali, soprattutto di tipo gastronomico, hanno “ripulito” il volto del quartiere. Basti pensare a Ciro Oliva con la sua Pizzeria Concettina ai Tre Santi, alla pizzaiola Isabella de Cham della pizzeria omonima, che propone solo fritti d’autore,all’Antica Cantina Sepe, meta di numerosissimi aperitivi.

Per quanto riguarda il lato dolce, la sua parte in questa piccola rivoluzione locale la fa la Pasticceria Poppella, storica realtà che fa capo a Ciro Scognamiglio, artefice di un grande tormentone dolciario che tiene banco a Napoli e dintorni, cioè la creazione e l’immissione nella guerra tradizionalista dolciaria napoletana di un piccolo dolcino.

Il fiocco di neve

Pasticceria Poppella a NapoliPasticceria Poppella a Napoli

All’apparenza innocuo, il fiocco di neve si è guadagnato strali di odi e reverenze: un batuffolo di pasta brioche ripieno di una crema latte “registrata”: un dolcino che anche all’apparenza mi sta molto più simpatico di sfogliatelle fritte, konosfoglia ed altro ancora. Il fiocco di neve è nient’altro che un tocchetto di pasta brioche tondo abbondantemente ripieno di una crema fatta da ricotta di pecora, zucchero, crema di latte ed “ingredienti segreti”. L’essere nato come un dolce da passeggio da mangiare in tre bocconi, il sapore decisamente piacione e goloso, il fatto di essere fermo al prezzo di cartello di un euro venduto al banco, lo ha reso un dolce irresistibile ai più.

Qualcosa da dire la Pasticceria Poppella ce l’ha. Siamo andati a vedere com’è la situazione nella sua sede alla Sanità, per provare qualche dolce, fiocchi di neve inclusi.

La pasticceria: la storia, il posto

Pasticceria Poppella a Napoli Pasticceria Poppella a Napoli

“Poppella” non è il nome dinastico della famiglia, bensì la crasi di due nomi dei nonni di Ciro Scognamiglio: Papele (da Raffaele) e Peppnella (da Giuseppina) si fondono dando vita prima a Poppnella e poi Poppella. Il sounding dolce e piacione c’è, quindi resta in famiglia e dà il nome. L’esercizio, attivo fin dagli anni Venti del ‘900, era all’origine una taralleria napoletana: abbiamo già visto come forni e panifici, a Napoli, abbiano sfornato eccellenti dinastie di pasticcieri. Dal 2005 la gestione passa direttamente a Ciro. Faccione sereno e felice, tra i suoi dolci sembra a suo agio, un po’ mattatore del tormentone dolciario degli ultimi cinque anni a Napoli.

Gli ultimi rumors parlano di circa diecimila fiocchi di neve alla settimana, distribuiti grazie ad una rete capillare anche fuori dalla città, in tutta la regione. La brioscina pop che ad un euro ha conquistato la Campania è nata proprio qui.

Da qualche anno, è attivo anche un secondo punto vendita della pasticceria, a Via Santa Brigida, a due passi da Piazza del Plebiscito, un altro successo.

Siamo capitati qui nel weekend di San Valentino: la pasticceria è tutta addobbata a tema, pendant con le decorazioni a tema frasi-di-Pino-Daniele che campeggiano per il quartiere.

Pasticceria Poppella a NapoliPasticceria Poppella a Napoli

Qualche tavolino esterno, tre all’interno, è una pasticceria prevalentemente votata all’asporto ma che non disdegna qualche colazione comoda. Lo spazio davanti al banco dei dolci è sufficiente per permettere una sosta agevole e farsi titillare le papille gustative alla vista dei dolci. Enormi è la parola giusta per descrivere la grandezza dei dolci: quelli classici napoletani (zeppole di San Giuseppe, sfogliatelle, code d’aragosta) sono davvero oversize; a questi, si accompagnano però deliziose monoporzioni di giuste dimensioni, con glasse a specchio di vario tipo.

Alla cassa c’è proprio Ciro che supervisiona, dirige, accoglie i clienti. Il servizio è efficiente, nota di merito per i servizi, situati dietro una porta a scomparsa e tenuti in perfetto ordine nonostante l’afflusso costante di persone in un tardo pomeriggio di sabato.

I dolci: prezzi e assaggi

Pasticceria Poppella a Napoli

Scegliamo di accomodarci ad uno dei tavolini interni. Fedeli ai nostri assaggi classici, scegliamo una sfogliatella riccia e frolla, un babà classico ai quali aggiungiamo due fiocchi di neve: uno classico, brioche con “crema fiocco” e l’altro nella versione “Bacio”, cioè nasprato in abbondante cioccolato, con nocciole. Insomma, una specie di Bacio Perugina.

Ci viene detto da subito che la sfogliatella riccia non è disponibile, quindi viene sostituita da due “sfogline”, cioè due sfogliatelle rice mignon. In via del tutto eccezionale, visto che per abitudine non valuto pezzi piccoli, li accetto.

Non è la prima volta che mi capita e lo interpreto come un buon segno: non siamo in una sfogliatelleria, nonostante i numeri consistenti per alcuni tipi di dolci c’è cura, molta attenzione. Poi il sold out è sold out.

Pasticceria Poppella a NapoliPasticceria Poppella a Napoli Pasticceria Poppella a Napoli

I dolci ci vengono serviti in un unico servizio, su un inusuale piatto di ardesia.

Buono il caffè (che costa 3 euro al tavolo): non particolarmente tostato, leggermente “lungo” rispetto ad altri napoletani, è una tazzina che si lascia bere facilmente come accompagnamento ai dolci. Bello il servizio: tazzina con monogramma della pasticceria e con i colori aziendali. Promosso.

La sfogliatella frolla (2 euro) è di dimensioni decisamente generose, oserei dire tra le più grandi mai assaggiate in questo panel. XL size, occupa ben più del palmo della mano, con un peso specifico generoso. Senza zucchero a velo, la temperatura di servizio è appena tiepida.

Buona la friabilità della frolla, non eccessivamente spessa, che si scioglie all’occorrenza con un ripieno davvero – ma davvero – generoso e ben distribuito nelle sue proporzioni di semolino e ricotta, con una prevalenza del sapore dolce ed acidulo di quest’ultima. Il fondo della frolla presenta dell’umidità in eccesso nel guscio: nel complesso, il morso è buono, goloso con un ripieno cremoso e decisamente ben calibrato. Non è calda, ma c’è da dire che non delude per la qualità e l’assemblaggio degli ingredienti: questa sfogliatella frolla riesce a non essere troppo penalizzata da una cottura non perfetta in alcuni punti.

Le sfogliatelle ricce mignon (1,20 euro l’una), assaggiate in via del tutto eccezionale, non deludono e questa è una bella sorpresa: la sfoglia scrocchia a dovere tra le mani e sotto i denti, lasciando le labbra leggermente unte, ugualmente ripiene in maniera generosa. Tornerò per assaggiare la versione big di questa sfogliatella.

Pasticceria Poppella a Napoli

Delizioso è il babà classico (1,50 euro): più chiatto che lungo, brunito, con la cupola ben accentuata. Forse solo per il babà, non l’avrei servito in vaschetta di plastica, ma direttamente a parte.

L’odore è inebriante, vira di più sull’alcolico – mia velleità personale, preferisco l’alcolico alla bagna puramente zuccherina di alcuni – con la forchetta che affonda ben bene i dentini nella pasta, spugnosa e leggera. Ci ritroviamo un dolce goloso, ben eseguito, bello a vedersi, senza imperfezioni visibili, senza dubbio uno dei migliori mangiati a Napoli città.

Passo quindi ai fiocchi di neve, questo tormentone tutto napoletano da 1,5 euro il pezzo, che poi è quello che ci ha portati qui: capire questo fenomeno di isteria collettiva che da circa quattro anni fa impazzire napoletani e non, queste brioscine napoletane ripiene di “crema fiocco”.

Pasticceria Poppella a NapoliPasticceria Poppella a Napoli

Ne soppesiamo una: entra nel palmo della mano, peso specifico alto, temperatura fredda, immaginiamo per la crema. Al morso, la crema esplode praticamente ovunque ed è trattenuta dal pirottino. La pasta brioche è dolce al punto giusto, dalla buona lievitazione e dall’odore di pane dolce. La crema fiocco, cioè il ripieno, è dolce con una piacevole nota acidula. La ricotta di pecora fa il suo lavoro, insieme alla crema latte. Si avvicina un po’ al ripieno di un cannolo ed un po’ alla crema di una cheesecake. A suo modo, è geniale nella sua semplicità.

Pasticceria Poppella a Napoli

La variante del fiocco di neve al bacio, a braccetto con San Valentino, è golosa, nocciolatosa, cioccolatosa: forse un po’ troppo per i miei gusti, ma di sicuro avrà i suoi esitamatori nelle papille gustative dei napoletani, decisamente amanti del dolce-dolce.

Lo scontrino finale non è alto, tenendo conto della quantità di dolci e del relativo rincaro per il servizio al tavolo: siamo nella media cittadina. I prezzi d’asporto sono debitamente segnalati accanto ai relativi dolci al bancone. Il fiocco di neve, ad esempio, è rialzato di 0,50 centesimi.

Ad oggi sono pochi gli esempi di pasticceria napoletana “contemporanea” che riescono a coniugare un bell’ambiente, qualità nel servizio e – diciamola tutta – un’offerta accattivante, senza per questo scadere in trashate. Poppella dà buoni spunti per una pasticceria napoletana di qualità, al netto di alcune imperfezioni, con qualche guizzo di marketing (vedrete, ci saranno evoluzioni un prossimo futuro). Promosso.

Pasticceria Poppella a Napoli

Informazioni

Pasticceria Poppella

Indirizzo: Via Arena alla Sanità 29, Napoli (sede storica) // Via Santa Brigida, Napoli
Sito web: pasticceriapoppella.com
Orari di apertura: Sempre aperto, 06.00am-10.00pm
Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana con qualche spunto contemporaneo
Ambiente: pasticceria pop
Servizio: molto efficiente ed ordinato

Voto: 3,6/5

[Foto | Nunzia Clemente per Dissapore; immagine di copertina di Pasticceria Poppella]


Sfogliatelle a Napoli: guida alle 10 migliori, tra pasticcerie storiche e emergenti

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Non vi chiedete quali siano le migliori pasticcerie di Napoli, ma dove mangiare i migliori babà o (domanda ancor più ardua), le migliori sfogliatelle. Ebbene, a forza di provare e recensire pasticcerie partenopee, siamo stati in grado di redigere, non senza difficoltà, una mappa, pardon, Gourmap, di ricce e frolle napoletane.

Disclaimer: il divin dolcetto, in forma primigenia messo a punto dalle monache del convento di Santa Rosa e successivamente trasferitosi e modificatosi a Napoli per mano del pasticciere-leggenda Pasquale Pintauro, in molte pasticcerie non gode esattamente di ottima salute. La crisi della sfogliatella napoletana perdura, nel segno del foodporn e delle farciture astruse.

Ma in cosa consiste questa crisi, ché ormai paventiamo da anni? In tutto questo galoppare, tre considerazioni facili facili ed alla portata, nonchè alla verifica, di tutti:

1) La velocità di servizio della sfogliatella non è proporzionata, spesso, ad una cottura adeguata. Dai report singoli è stato facile anche per voi vedere che i difetti di cottura si sprecano. Dalla sfogliatella bruciata, dove prende fuoco anche il ripieno finendo alla sfogliatella dove vi è ben più dell’umidità necessaria, cioè proprio intere porzioni di dolce non cotto.

2) Un certo lassismo nel trattare la sfogliatella napoletana, soprattutto da parte dei big. Se qualche grande nome è scivolato in basso, un ripassino alle recensioni singole vi aiuterà a capire la nostra opinione. Una sfogliatella bruciata è bruciata, una sfogliatella incartata male con altri dolci si inzupperà ed una sfogliatella cruda è da buttare. Certo: esistono le giornate storte, i periodi no e- toh! – la sfortuna di aver avuto il “pezzo col difetto”.

3) Ripieni proporzionati male, nella fattispecie l’utilizzo prepotente dello zucchero e del semolino, a discapito della ricotta. Zucchero e semolino sono stati spesso – troppo spesso – protagonisti di questo panel, coprendo prepotentemente ciò che c’è sotto – che, sovente, era pure buono. Il problema, oltre a “coprire” molto gli aromi, è la pastosità che assume il ripieno, spesso davvero poco confortante e di difficile masticabilità.

Per non parlare poi dell’avvento dei semilavorati (gusci di sfogliatelle già fatti e tagliati, da riempire e cuocere soltanto), della prepotente presenza degli ibridi (sfogliatelle farcite con ogni cosa: ma che farcite a fare con cocco e Nutella se non riuscite a fare il classico “a mestiere”?), delle catene che offrono sfogliatelle in ogni foggia, forma, cottura creando spesso degli ibridi kitsch che chiamare sfogliatelle è una forzatura.

Fatte queste necessarie, amare premesse, anche Dissapore ogni tanto si arroga il diritto di tessere le lodi di qualcuno: se alcune pasticcerie storiche fanno da fanalino di coda (e qualcuna, addirittura, non appare proprio in queste dieci), altre hanno dimostrato che fare tappi di sfoglia, riempirli con un ripieno calibrato a dovere e preparare una pastafrolla friabile e gustosa, pur rappresentando insegne assai meno note.

Non stupitevi dunque se in questa mappa delle migliori sfogliatelle di Napoli troverete ai primi posti Carraturo e Sirica, se ricce e frolle halal e senza glutine meritano di stare in classifica alla stregua delle altre, per la capacità dei loro pasticceri di sviluppare ricette capaci di non farci rimpiangere le classiche. Pronti? Di seguito la classifica, dalla migliore alla meno eccellente e accanto alla Gourmap, come sempre, le pratiche schede con indirizzi e informazioni utili, corredate dalle nostre recensioni, fatte in incognito, delle pasticcerie.

1. Antica Pasticceria Carraturo

Porta Capuana, Napoli

Pasticceria Carraturo Napoli

La migliore sfogliatella a Napoli in questo momento: ed è un gran bel risultato per i locali storici napoletani. L’Antica Pasticceria Carraturo, con i suoi 180 anni di storia, sforna ancora sfogliatelle ricce e frolle di tutto rispetto. La riccia è piccola, panciuta, elegante e con sfoglia sottile e scrocchiarella come dovrebbe essere; la sfogliatella frolla ha il guscio sottile, ed un ripieno perfettamente proporzionato. Uno di quei casi dove la storicità si fa valere, presentando un prodotto ottimo anche alle soglie del 2020. Molti locali storici avrebbero da prendere esempio da questa pasticceria.

2. Pasticceria Sirica

San Giorgio Cremano, Napoli

pasticceria sirica sfogliatella

Una piccola deviazione nel perimetro della città, che però già fa di nome San Giorgio a Cremano. Sabatino Sirica, arzillo pasticciere di 77 anni, vive in pasticceria per sfornare dolci come Tradizione comanda. Il picco più alto di questa pasticceria è raggiunto proprio dalle sfogliatelle ricce e frolle. La frolla ha una pasta vanigliata, da biscotto, friabile, con il ripieno a grana grossa di semolino e ricotta in proporzioni perfette. La sfogliatella riccia è leggermente allungata, con una codina deliziosamente elegante. La sfoglia non rilascia un particolare untuosità ed il ripieno è generoso, barocco e stimolante per le papille gustative.

3. Pasticceria Di Costanzo

Piazza Cavour, Napoli

Pasticceria Di Costanzo a Napoli

Maître pâtissier di chiara ispirazione francese, abbiamo scoperto con piacere che produce delle versioni ottime di sfogliatella riccia e frolla, con gusci sottilissimi e croccante (nel caso della sfogliatella riccia) e sottile, vanigliato e friabile (nel caso della sfogliatella frolla). Il ripieno della sfogliatella, per Di Costanzo, risulta cremoso di una cremosità che è ben accolta dal guscio, in perfetta proporzione tra semolino e ricotta. Fanno capolino qua e là qualche filetto d’arancia candito di ottima fattura. Buona la sfogliatella riccia, con le “ondine” della sfoglia vicinissime e belle a vedersi, con un ottimo crunch.

4. Danny Bar (Pasticceria Madonna)

Zona Aeroporto di Napoli

Danny's Bar (Pasticceria Madonna) a Napoli

La sfogliatella dell’aeroporto: a Napoli Capodichino si mangia bene fuori dal terminal ed il Danny Bar ne è la dimostrazione. Gianni Madonna, pasticciere, è famoso appunto per le sue sfogliatelle: XL size, la frolla è un biscottone dalla pastafrolla spessa ma cedevole al morso, mentre la riccia è meno panciuta di altre, ma croccantissima. Il ripieno, per entrambe si attesta tendente verso il semolato, ma assolutamente godibile e dalla presenza di buoni canditi.

5. Pasticceria Capparelli

via dei Tribunali, Napoli

Capparelli-sfogliatella-riccia2

Salvatore Capparelli, pasticciere stra-famoso per i suoi imperdibili babà (di ogni dimensione, vi giuriamo), prepara delle sfogliatelle godibili e da metà classifica. Sebbene sia il guscio della frolla che la sfoglia della riccia siano pressoché perfetti e buoni da mangiare anche senza ripieno, da perfezionare quest’ultimo: sbilanciato sulla parte dolce e forse non perfettamente in proporzione, la sfogliatella riccia e frolla della Pasticceria Capparelli risulta comunque un dolce godibile, in particolare per gli amanti di una dolcezza spinta e barocca, tutta napoletana.

6. Sfogliatella Mary

Galleria Umberto I, Napoli

La-Sfogliatella-Mary-Napoli

Blasonato chiosco-pasticceria della Galleria Umberto: con milioni di sfogliatelle sfornate ogni anno, è sicuramente tra le più conosciute di Napoli. Le sfogliatelle sono L size, guscio della riccia fragrante e quello della frolla con qualche difetto di cottura. Il ripieno è generoso, con forse qualche profumo in più che copre la “materialità” dei dolci.

7. Pasticceria Lauri

Quartiere Vasto, Napoli

Antica Pasticceria Lauri Napoli

Ta-dan! L’outsider: appena all’imbocco del Vasto c’è questa pasticceria napo-mediterranea, che propone dolci classici della pasticceria partenopea, dolci del Mediterraneo e dolci rivisitati in chiave halal, cioè senza derivati del maiale. La sfogliatella riccia con burro di karitè è una di quelle variazioni sul tema che ci piace esplorare: non particolarmente unta; per quanto riguarda la frolla, un buon guscio di frolla racchiude il ripieno in proporzione pressoché perfetta. Una deviazione piacevole a pochi passi dalla stazione Garibadi.

8. Leopoldo Cafebar – Senza Glutine

Piazza Cavour, Napoli

Leopoldo Cafebar pasticceria Napoli

Il nono posto della nostra classifica se lo guadagna Leopoldo Cafebar col punto vendita dedicato al senza glutine. Nella fattispecie, la versione di sfogliatella frolla fatta con farina di riso, lenticchie e teff (per quanto riguarda il guscio) e ripieno di ricotta e farina di mais riesce tranquillamente a reggere il confronto con le blasonate tradizionali e glutinose. La sfogliatella riccia è un curioso esempio di sfoglia alternativa, non molto crunchy ma godibile.

9. Antico Forno delle Sfogliatelle Attanasio

Stazione Ferroviaria di Napoli Centrale

La sfogliatella par excellence si piazza nella parte bassa della classifica, e ce ne dispiace. Il negozio di Vico Ferrovia è il primo approdo di moltissimi turisti, che trovano sfogliatelle altalenanti. L’andazzo è quello di andare sul particolarmente avvampato, se non bruciacchiato. Le sfogliatelle non sono chiuse perfettamente nella stragrande maggioranza dei casi, con fuoriuscite di ripieno che diventa incandescente prima, bruciato poi. Nonostante questi errori, è da ammettere che la performance complessiva delle sfogliatelle (soprattutto, della sfogliatella frolla in questo caso) è godibile: il dolce ricordo della Storia ha poco attecchito su di noi.

10. Pasticceria Pintauro

Via Toledo, Napoli Centro

pasticceria Pintauro a Napoli
I discendenti/gestori di Pintauro, nome storico della pasticceria napoletana, si piazzano come fanalino di coda della classifica. Una quantità spropositata di sfogliatelle ogni giorno, sciami di persone in fila paziente per godere del prezioso cartoccio dolce. Il risultato è una sfogliatella riccia con un buon crunch ma con un ripieno sbilanciato sul semolino, con buoni canditi.

Napoli non è solo movida: i ristoranti che vogliono chiudere al tempo del Coronavirus

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Siamo stati un po’ zucconi, almeno all’inizio. L’allarme Coronavirus a Napoli, all’alba dei provvedimenti del weekend, pare essere stato preso sottogamba dagli avventori della movida. Nonostante gli appelli e le restrizioni emanati dalla Regione Campania, la zona di San Pasquale a Chiaia (chiamata comunemente la zona dei “baretti” data l’altissima percentuale di cocktail bar) era gremita. Ma non tutti i ristoratori “tirano a campare”, qualcuno vuole i locali chiusi: c’è chi è disposto ad abbassare le serrande pur non essendo (ancora?) in “zona rossa”, per senso di responsabilità o perché ammette di non riuscire a garantire misure di sicurezza adeguate.

Per chi non avesse seguito l’attualità partenopea intorno al Coronavirus, il sabato sera della Napoli bene sembra essersi svolto senza particolari accorgimenti o defezioni, disattendendo le indicazioni date dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca lo stesso pomeriggio, come testimoniano i video del consigliere napoletano Francesco Emilio Borrelli.

 

Proprio dall'”incriminata” zona di San Pasquale abbiamo contattato i gestori del Mosto, riferimento cittadino per quanto riguarda la birra artigianale. “Noi sabato inizialmente abbiamo aperto disegnando a terra le linee di distanza tra uno sgabello e l’altro e facendo entrare solo 6 persone per volta“, ci dice Fabrizio, gestore del locale “Non ci piaceva il clima e abbiamo preferito decidere autonomamente di chiudere. Molti hanno fatto lo stesso ed altri lo stanno facendo oggi. Per il resto non so dirti quale sia stata la reale situazione ma fino a quando siamo stati in zona l’afflusso non era certo quello di un sabato sera.” Una chiusura volontaria, quindi, vista l’impossibilità di adempiere agli obblighi previsti.

Mosto Napoli

Non tutti, però, sono stati accorti come Fabrizio ed il Mosto. Altra cosa, ancora, sono gli assembramenti e distanze minime non rispettate sul litorale flegreo: come riporta il quotidiano Il Mattino, ben sette locali del lungomare di Pozzuoli sono stati denunciati per inadempimento delle delle ordinanze emanate. Una situazione sicuramente amplificata dagli eventi per la festa della donna: bene hanno pensato, nel Vesuviano, di festeggiare la ricorrenza in uno spazio piccolo e non adeguato.

Pare che con l’inizio della settimana gli animi si siano raffreddati e le strade rapidamente desertificate: i ristoratori napoletani, che probabilmente avevano “tirato a campare” durante il weekend, ad oggi lamentano la caduta libera degli incassi. A nulla, pare, sono valsi i parametri di distanza rispettati, le sanificazioni aggiuntive, gli appelli. Il tracollo verticale della ristorazione napoletana, molto dipendente dal via-vai giornaliero dei pendolari ma anche e soprattutto dal turismo vertiginoso, con una città che registra il sold out per 3/4 dell’anno, si è verificato nei fatti da oggi, lunedì 9 marzo: data che sicuramente sarà ricordata come nigro notanda lapillo, giorno da segnare con il sassolino nero, giorno nefasto.

Ci si attrezza come si può: chi ha consolidati apparati per l’asporto, come alcune pizzerie, parte avvantaggiato; così come le trattorie che preparano pietanze d’asporto. Ma sarebbe superficiale pensare che tutto questo basti a tamponare una situazione emorragica. Il parere, a qualsiasi livello della ristorazione, pare unanime: chiusura coatta, per qualche settimana, di tutte le attività ristorative.

Pasticceria Carraturo Napoli

Vista la mia esperienza in bar e pasticcerie, come primo parere ho ricercato quello di chi vive “la velocità” della città, cartina tornasole dell’economia, con il servizio bar: Ulderico Carraturo, della pasticceria Carraturo a Porta Capuana, ha molto da dire sulla situazione attuale.

La situazione è critica. Già con il Carnevale abbiamo iniziato a risentire non poco della flessione (complice la paura che andava affacciandosi) e da lì in avanti è stato sempre peggio. Ieri, domenica 8 marzo, la pasticceria ha lavorato abbastanza ma sicuramente con una flessione del 30% rispetto ad una normale domenica. In settimana c’è una flessione completa in tutto: dalla mattina al pomeriggio, fino a giungere al crollo totale di oggi, lunedì 9. Lavoro a Porta Capuana, uno snodo nevralgico di Napoli da e verso la provincia nord-est. Mentre dai primi confronti tra esercenti, con il Comune, emergeva la volontà di restare aperti, per infondere fiducia alle persone; ora sono il primo a caldeggiare una chiusura totale di 30-40 giorni. Le flessioni iniziano ad essere importanti e durature, spero che il governo possa accollarsi parte delle spese del periodo”.

Cambiamo zona della città e ci spostiamo a ridosso della stazione centrale: ogni giorno, in questa piazza – finalmente libera, o quasi, da perenni lavori in corso – si convogliano persone provenienti da tutta la regione, da tutta Italia ed entrambe le due linee metropolitane, oltre a svariate centinaia di autobus. Una zona ambita per la ristorazione: dopo la fine dei lavori, Piazza Garibaldi ha cambiato letteralmente volto offrendo ai cittadini ma anche ai passanti un luogo confortevole dove sostare, moltiplicando a iosa l’offerta dei locali ed aumentando visibilmente la qualità dell’offerta proposta.

La situazione è drastica secondo un ristoratore storico del luogo: Franco Gallifuoco, pizzaiolo e proprietario della storia Pizzeria-Trattoria Franco, in pratica il primo ristorante che si incontra uscendo dalla Stazione. “La situazione è ben più tragica di quel che pensavo: non c’è flusso nè verso la stazione, nè dalla stazione“, ci racconta. “Tutte le prenotazioni per gruppi di turisti che avevo da inizio marzo a fine aprile, tutte annullate. E parliamo di circa 150 coperti al giorno… fai tu i conti. Io sono a Corso Lucci, nelle immediate vicinanze della stazione Garibaldi, non c’è nemmeno un’auto in giro ed oggi sono entrate nel mio locale solo quattro persone. Allo stato attuale delle cose, sarebbe meglio chiudere. Con altri ristoratori e proprietari di locali stiamo pensando di chiedere la chiusura preventiva, per diverse ragioni: una ragione pratica, per evitare il contagio, ma anche chiedere che le tasse, i contributi e le varie spese dovute ci vengano dilazionate nel tempo. Se continuiamo di questo passo, tante piccole attività a gestione familiare si vedranno costrette a chiudere i battenti.

Januarius

Francesco Andoli di Januarius, agile e giovane realtà napoletana di fronte alla Cattedrale di Santa Maria Assunta (conosciuto come Il Duomo di Napoli, ndr), racconta la desertificazione degli ultimi tempi nella sua zona anche e soprattutto da parte dei napoletani autoctoni.  “Da due settimane a questa parte, il lavoro è decisamente calato, anche per me che sono in un luogo nevralgico della città.” Ci racconta Andoli “Non solo sono calati i turisti – e fin qui, tutto chiaro – ma è venuto meno lo zoccolo duro dei napoletani habitué del pasto fuori casa. Pur essendo in una zona turistica, non sono un ristorante votato principalmente ai turisti, il mio target di riferimento è il napoletano: i miei clienti sono persone che vogliono concedersi della cucina tradizionale partenopea con un food cost più alto rispetto ad altri locali. La domenica a pranzo è stata la cartina di tornasole della situazione: pochissimi napoletani in giro nelle ultime due domeniche, nonostante il rispetto pedissequo delle norme emanate di sanificazione e distanze. A queste condizioni, è meglio chiudere. Ma è una disposizione che deve arrivare dall’alto, non possiamo deciderla noi. Sarei felice qualora fosse emanata una disposizione in tal senso.

La situazione fine dining, invece? Napoli è ben rappresentata negli ultimi anni da ristoranti monostellati, di quelli dove vai sicuro di fare una bella esperienza anche in settimana e senza “occasione particolare”: per il solo gusto di stare bene, insomma. Abbiamo chiesto al Veritas, ristorante una stella Michelin di Corso Vittorio Emanuele, che aria “tira” nel loro locale.

Il Veritas è un piccolo ristorante che ha il 60% di ospiti che arrivano da fuori regione”, ci racconta il patron Stefano Giancotti. “Partendo da questo presupposto è comprensibile che la situazione economica sia molto difficile ancor più rispetto a locali che possono contare su un pubblico indigeno. Siamo a meno 80% di fatturato. E rimedi non ce ne sono. Poco lavoro, ma poca noia. Cerchiamo, avendo più tempo a disposizione, di fare quello che non si riesce a fare normalmente: mettere finalmente a punto procedure sempre pensate ma mai realizzate, trovare nuove strade per il futuro marketing, provare nuovi piatti e nuove tecniche di cottura, riorganizzare l’area deposito e stoccaggio. E coccolare quei pochi ospiti che ancora vengono a trovarci. Questi non ce li dimenticheremo mai. E poi aspettare, non so fino a quando. Poi ci fermeremmo volentieri. Anche per un motivo etico. La diffusione del virus si rallenta solo con l’isolamento e quindi sarebbe opportuno fermarci tutti.

Ristoranti: perché in Campania il delivery non partirà, sostanzialmente

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Dopo svariati tira e molla, conferme e smentite, Vincenzo De Luca e la sua task force hanno deliberato: dal 27 aprile i ristoranti della Campania potranno effettuare la consegna a domicilio, previa prenotazione telefonica (ovvero online) di piatti caldi e preparazioni fresche. Ma a conti fatti risulta quasi impossibile ripartire, seppur in modalità ridotta al delivery, per la maggior parte delle pizzerie, dei locali e delle attività di somministrazione in genere.

Un’ordinanza estremamente tardiva, giunta a due mesi dall’inizio di un lockdown nazionale, particolarmente sentito in Campania, dove fino ad ora (ovvero, fino al prossimo lunedì) i ristoranti non potevano nemmeno organizzarsi per il delivery: un suicidio economico. Insomma questa non è una vittoria, ancor più che la decisione del presidente della Regione giunge alle porte del 4 maggio, data ormai nazionalmente identificata con l’inizio della “Fase 2“, durante la quale, a scaglioni, riapriranno attività produttive e luoghi pubblici; per i ristoranti, come sapete voi lettori di Dissapore, si parla del 18 maggio.

L’Ordinanza campana che apre al delivery, in poche parole

Analizzando poi i diversi punti dell’ordinanza datata 22 aprile, ci si rende conto che è quasi inattuabile nei tempi previsti. La deduzione è che in Campania si deve essere mille volte più sicuri e stringenti rispetto alle altre zone italiane.

Sul sito della Regione Campania, si legge chiaramente:

  •  l’obbligo di utilizzare camici monouso, sovrascarpe e guanti in lattice; per chi fa le consegne, questi sono da sostituire ad ogni consegna;
  •  la sanificazione da parte di una “ditta specializzata” per la riapertura e sanificazioni più volte al giorno di tutti gli ambienti di lavoro;
  •  l’ammissione dei lavoratori avverrà previa “visita medica” che certifichi il buono stato di salute del lavoratore.

Almeno a quanto ci risulta (e potete correggerci, se sbagliamo), la Campania resta l’unica ad adoperare norme così stringenti che, di fatto, rendono anti-economica la riapertura. Per non parlare degli orari: 07-14 per bar e pasticcerie, 16.00-22-00 per la consegna di piatti pronti. Pizza compresa, che a pranzo non s’ha da mangiare.

No, non è uno scherzo.

Non sono state poche le defezioni: il dibattimento tra il riaprire ed il restar chiusi ha spaccato ulteriormente il comparto ristorativo, lo stesso era fatto promotore della richiesta di aprire al delivery. Dal canto nostro, non ci sentiamo di biasimare chi – ad ordinanza letta – ha deciso comunque di restar chiuso e di pazientare fino al 4 maggio, sperando cambi qualcosa. Pensiamo a Pasticceria Poppella, alle incertezze di Carraturo, le pizzerie di Sorbillo e Da Michele, la chiusura con annesse spiegazioni molto ragionevoli del Caffè Gambrinus, per fare qualche nome noto.

Una categoria letteralmente fagocitata dagli eventi, che ha avuto davvero poca voce in capitolo riguardo le decisioni prese, è sicuramente quella delle piccole attività di paese, non meno importanti di quelle grandi e cittadine soprattutto per quanto riguarda il rapporto col territorio e l’artigianato.

Le ragioni di Raffaele Del Verme, ad esempio

Gelateria di MatteoRaffaele Del Verme della Gelateria di Matteo di Torchiara, tra le migliori in provincia di Salerno, con un lungo post su Facebook esprime i propri dubbi e le perplessità legate alla sua categoria. Torchiara è un piccolo borgo arroccato nel Cilento interno, in Campania e che vive essenzialmente di turismo gastronomico di riflesso al turismo marittimo: con il crollo vertiginoso di quest’ultimo , è facile immaginare un conseguente abbattimento del fatturato. Si deve arginare il più possibile, se possibile… ma è davvero possibile farlo con la direttiva che andrà in vigore il 27 aprile?

Analizziamo per punti quanto detto da Raffaele ed aggiungiamo anche delle considerazioni.

1) Caro De Luca, fermo restando che ci hai concesso di fare il delivery da lunedì 27 aprile quando nel resto d’Italia non l’hanno mai sospeso, vorrei fare delle constatazioni e poi farti una domanda:
mi chiedi di fare una sanificazione in un locale chiuso da 2 mesi quando il virus,nelle migliori delle ipotesi, vive una “settimana”?; mi chiedi di tenere un registro dove annotare, 2 volte al giorno, le sanificazioni che devo fare;

Aggiungiamo: non so se ricordate, ma questa attività di sanificazione fatta da una “ditta autorizzata” (leggiamo dalla ordinanza) fu caldeggiata anche durante i giorni pre-chiusura totale. I ristoratori nella loro totalità eseguirono, salvo poi esser “vittime” della chiusura totale ed imposta. Giustissimo sanificare, per di più dopo due mesi di chiusura (cosa che va fatta sempre e comunque senza opporsi) ma i costi rientreranno poi con le attività di delivery, per come sono state essere imposte, oppure si finirà come ad inizio marzo (imposizione di sanificazione prima-chiusura poi?)

2) mi chiedi di tenere, in laboratorio, oltre a guanti e mascherina, se non sbaglio,unico in Italia anche camice monouso e sovrascarpe; mi stai chiedendo di tirare fuori soldi Extra facendo finta di dimenticare che quest’anno,se tutto va bene, farò il 30% del fatturato dello scorso anno.

Aggiungiamo: non sarebbe stato meglio pretendere dai lavoratori, così come sarebbe già dovuto essere, l’utilizzo degli abiti da lavoro (casacche, pantaloni in materiale non infiammabile, scarpe da lavoro) opportunamente igienizzati e sterilizzati ad ogni turno o anche più volte in un turno? Perché inserire del materiale inutilmente costoso, difficile da smaltire ed anche potenzialmente insicuro per chi lavora in uno spazio tutto sommato ristretto?

3) Queste sono alcune delle considerazioni ora la domanda: ma chi sono questi esperti che ti consigliano, sono mai entrati in un laboratorio di gelateria, come faccio io, sono mai entrati in una cucina o in un laboratorio di pasticceria, perché se avessero un minimo di conoscenza saprebbero come ci si muove in quegli ambienti, gli spazi e le problematiche che ci sono

Aggiungiamo: in Regione si sono avvalsi di esperti sui rischi di sicurezza sul lavoro? Dubitiamo fortemente che un qualunque esperto in rischi possa consigliare un camice monouso altamente infiammabile ad un pizzaiolo, tipo. Ricordiamo che la FIPE Campania e la Confocommercio hanno presentato un documento di linee guida molto chiaro ed attuabile: linee guida quasi totalmente ignorate, purtroppo.

4) per la riapertura ci chiederete anche una “camera di decompressione”, magari due una davanti la porta del laboratorio e una davanti la porta d’ingresso? Non ti sto chiedendo di non darmi regole ti sto chiedendo di darmele con un po’ di buonsenso pensando che probabilmente il 50% delle attività non riaprirà. Vorremmo, come tutti, lavorare in sicurezza, nostra e dei nostri clienti , ma vorremmo continuare a farlo.

Aggiungiamo: messo che si riesca a rispettare la distanza di sicurezza tra i lavoratori con mille accorgimenti (turni dilazionati, riduzione del personale), è davvero vantaggioso ripartire a queste condizioni? Di sicuro, per le attività come quella di Raffaele del Verme, no. E non solo per la sua, ma per moltissime altre attività che fino ad ora hanno impreziosito il tessuto artigianale italiano.

Ristoranti delivery: cosa provare a Napoli tra pizza, sfogliatelle e piatti

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Dopo più di quaranta giorni di blocco totale della ristorazione in Campania, finalmente, da oggi, 27 aprile, è consentita la consegna di cibo domicilio, piatti caldi compresi. Ristoranti, pizzerie (!), pasticcerie e bar, locali di Napoli in genere, possono darsi al delivery, così come i colleghi di tutta Italia hanno fatto durante il lockdown dovuto all’emergenza sanitaria.

Per imprenditori e commercianti della ristorazione campana non è stato facile ottenere questo risultato e, a dirla tutta, a molti è sembrata una misura giustamente insoddisfacente per diverse questioni, tra i quali gli orari ed il raggio d’azione sensibilmente ridotti (tipo, poter fare consegne solo nel proprio comune di appartenenza). Molte attività, quindi, per il momento hanno deciso di non riaprire i battenti.

Per chi invece ha deciso di aprire, le regole dalle quali non si può scappare sono tre (e che di riflesso, si ripercuotono sulla clientela):

  • gli orari: pasticcerie e bar potranno consegnare a domicilio dalle ore 7.00 alle ore 14.00; gastronomie, tavole calde, rosticcerie, ristoranti, pizzerie potranno portarvi i pasti caldi dalle ore 16.00 alle ore 23.00. Tutto questo è da intendersi sempre all’interno del comune dove è situata l’attività (no alle consegne fuori dal comune di appartenenza);
  • l’obbligo di ammettere i lavoratori soltanto previa visita medica che certifichi il buono stato di salute del lavoratore, che verrà in qualche modo “comprovata” con la misurazione della temperatura corporea prima dell’inizio del turno;
  • l’utilizzo di guanti e mascherine per tutti gli operatori del settore; l’addetto alle consegne deve cambiare i dispositivi di protezione dopo ogni consegna effettuata.

Abbiamo stilato un elenco di ristoranti, pizzerie, paninerie e pasticcerie che a Napoli città forniscono il servizio delivery; una lista suscettibile di cambiamenti, mano a mano che le attività si organizzeranno per riaprire i battenti, cosa non proprio semplicissima visti i vincoli che in Campania sussistono più che in altre regioni.

Ristoranti

Ristorante Pizzeria Umberto

Lo storico Umberto, al momento, ha la possibilità delle sole pizze a domicilio. Gli ordini si possono effettuare dalle ore 18.30 fino alle 22.30 al numero 081 418555, comprensivi di vini a temperatura di servizio ed altre bevande. Zona servita, il quartiere Chiaia.

Per ulteriori informazioni, consultare la pagina Ristorante Pizzeria Umberto.

Laura Bistrot

Laura Bistrot

A Forcella, nel pieno centro storico di Napoli, c’è questo grazioso bistrot bello da frequentare in tempi tranquilli ed ottima cucina da ricevere a casa in tempi come questi.

Tutte le info sono sulla pagina Facebook, la prenotazione si può gestire tramite UberEats, JustEat e Deliveroo.

Tandem d’asporto

Il ristorante del ragù napoletano, col suo punto vendita situato a Via Mezzocannone, apre alle consegne a domicilio: via libera quindi a polpette nel ragù, cuzzitielli con il sacro intingolo ed altro.

Menu, prezzi e modalità sulla pagina Facebook.

Ristorante al 53

Ristorante al 53

La storica trattoria di Piazza Dante si rimette in gioco con il solo delivery, con molta energia da parte del proprietario Angelo Martino.. Per sapere come avere a casa ottimi piatti della tradizione partenopea, contattare i numeri 081 5499372 oppure  340 7920205, o ancora consultate per ulteriori info la Pagina Facebook.

Pizzerie

Carmenella

La pizzeria delle Case Nuove, quartiere a ridosso della stazione centrale di Napoli, famosa per il suo ripieno Munaciello. Il pizzaiolo è Vincenzo Esposito, trovate tutti i riferimenti sulla pagina Facebook della pizzeria.

Pizza Fritta 1947

1947 Pizza Fritta Napoli

Nel quartiere Forcella, esattamente di fronte la storica Pizzeria Da Michele, Vincenzo Durante fa da anni ottime pizze fritte: in vista di queste nuove ed esclusive modalità, le pizze fritte classiche sono fissate a 4.00 euro e 5.00 euro, le speciali vanno dai 5.00 euro ai 6.00 euro. Se ne volete una casa, consultate il menu e le modalità di consegna direttamente dalla pagina Facebook, dove è indicato il nuovo numero dedicato alle prenotazioni: 08118226812

Pizzeria Trattoria al 22

Storica realtà della Pignasecca, al 22 è sia trattoria che ristorante. Il patron e pizzaiolo Giovanni Improta ha organizzato le attività di delivery in quattro fasce orarie (19.00-20.00; 20.00-21.00: 21.00-22.00; 22.00-23.00). La consegna è garantita nei limiti del quartiere tramite chiamata alla pizzeria oppure il servizio UberEats.

Per tutti gli aggiornamenti, seguire la Pagina Facebook.

Pizzaria La Notizia

Il pizzaiolo Enzo Coccia è stato tra i primi a dire sì all’apertura del 27 aprile, predisponendosi per la consegna a domicilio. Sulla Pagina Facebook de La Notizia trovate i riferimenti telefonici per prenotare la vostra pizza, consultando il menu anche tramite Whatsapp.

Pizzeria Ciro Pellone

Situata alla Loggetta (Fuorigrotta), la pizzeria della famiglia Pellone è un solido punto di riferimento per l’intero quartiere, con un servizio di delivery già ampiamente consolidato negli anni. Ottime pizze tradizionali e fritture, per prenotazioni e consegne sono attivi i numeri 0815934104 – WhatsApp 3512888706; per maggiori info, la pagina Facebook è attiva.

Ristorante-Pizzeria Mattozzi a Piazza Carità

Paolo Surace è stato tra i primi a caldeggiare per l’apertura delle pizzerie permettendo il delivery. I suoi forni di Piazza Carità ripartono. Per tutte le info c’è la pagina Facebook, per prenotazioni chiamare ai numeri: 0815524322
// 366 4548316

10 Diego Vitagliano, quartiere Bagnoli

Diego Vitagliano apre al delivery il suo punto di Bagnoli e, cosa più importante, qui trovate l’ottima pizza senza glutine ad opera della bravissima Sara Palmieri. Da non perdere per chi può.

Menù consultabile direttamente dalla pagina Facebook di 10 Pizzeria.

50kalò (DAL 28 APRILE)

Ciro Salvo, tra i promotori delle iniziative per dare una spinta al delivery in Campania, riapre con le modalità concesse dalla Regione. E’ possibile ordinare pizze e fritti attraverso la piattaforma UberEats, per tutte le info c’è la pagina Facebook 50 kalò di Ciro Salvo.

La figlia del Presidente

La pizzeria di Maria Cacialli, figlia di Ernesto Cacialli, è attiva con la consegna a domicilio in Via del Grande Archivio, centro storico di Napoli, con una delle migliori pizze del centro storico. Per le modalità di consegna, contattare il numero 081-286738  oppure la pagina Facebook della pizzeria.

Antica Pizzeria d’e Figliole

La pizzeria d’e Figliole, storico punto per la pizza fritta, si dedica alla consegna a domicilio secondo le normative dettate dalla Regione. Disponibili soltanto le pizze fritte, per ogni richiesta chiamare il numero 081 286721

Pizzeria 4A Guglielmo Vuolo

La pizzeria di Guglielmo Vuolo, situata nel raccordo tra la Riviera di Chiaia e Posillipo, offre il servizio di consegna a domicilio tramite prenotazione telefonica oppure UberEats. Per tutti i riferimenti, consultare la Pagina Facebook Pizzeria 4A.

Pizzerie Vincenzo Capuano

Il mediatico Vincenzo Capuano ha messo in moto tutte le pizzerie in città (e non solo): per quanto riguarda Napoli, le consegne a domicilio vengono effettuate dalla Pizzeria di Piazza Vittoria (riferimenti telefonici: 3339228511
// 0811875403) ma anche dalla pizzeria situata al quartiere Vomero (3475976459 // 0813793476). Per tutte le info, visitare la pagina Facebook di Vincenzo Capuano.

Panini

50panino (DAL 28 APRILE)

50panino, il bel format di Ciro Salvo ed Alessandro Guglielmini, si fa d’asporto (ma lo era già anche da prima). Possibile prenotare panini, sfizi e birre sia attraverso la app UberEats che telefonando al numero dedicato, fornito sulla pagina Facebook.

Panamar

Luogo culto dell’aperitivo marittimo nel centro del Vomero, i panini di mare di Panamar si fanno d’asporto. Per tutte le info, c’è la pagina Facebook di Panamar. Diversi i servizi di consegna offerti: con mezzi propri (prenotando al numero 081-18259536) oppure attraverso Deliveroo, Glovo, JustEat, UberEats. Per consegne fuori raggio d’azione, basterà chiamare il numero ed organizzarsi con il personale.

12 Morsi

La panineria d’autore di Via Alabardieri ha organizzato il delivery attraverso le piattaforme apposite, che trovate sul sito www.12morsi.com . Per chi volesse ordinare telefonicamente, è a disposizione anche il numero: 081 1858 4124 . Per tutte le info visitare la pagina Facebook 12 morsi.

Bar e pasticcerie

Casa Infante (pasticcerie, gelaterie e grafferie)

Marco Infante si è rimboccato le maniche ed ha organizzato l’asporto per i suoi punti vendita: la pasticceria sarà consegnata dalle 07.00 alle 14.00 del mattino e gli ordini di gelato nella fascia dalle 16.00 alle 23.00. Per tutte le info, i canali social di Casa Infante sono attivi: è possibile prenotare anche torte per occasioni particolari e molto altro non presente in catalogo.

Carraturo a Porta Capuana

Pasticceria Carraturo Napoli

Il vassoio di sfogliatelle migliore della città è ora disponibile fino a casa vostra. L’Antica Pasticceria Carraturo mette a disposizione savoir faire e bontà, da prenotare al numero 081 per farsi consegnare tutto a domicilio. A Napoli, occasione da non perdere. Info sulla pagina Facebook, per prenotazioni c’è il numero: 3384010291

Pasticceria Di Costanzo

Mario Di Costanzo apre al delivery con delle vere e proprie luxury box dei dolci a cui ben ci ha abituati. Per prenotare dolci tipici napoletani e creazioni varie, telefonare al numero 081450180 . Per ulteriori informazioni, c’è la Pagina Facebook Mario Di Costanzo.

Pasticceria Lauri

Antica Pasticceria Lauri Napoli

La pasticceria napo-islamica del Vasto riapre con la consegna a domicilio. Come abbiamo già avuto modo di farvi conoscere, questa pasticceria offre dolci della tradizione classica napoletana (in versione tradizionale o halal), e dolci della tradizione mediterranea, tra i quali anche quelli tradizionali del Ramadan. Per info chiamare il numero 081 563 6374  e visitare la Pagina Facebook Pasticceria Lauri.

Bellavia

La famosa pasticceria e caffetteria del Vomero dei fratelli Bellavia si è preparata per l’asporto. La consegna è gratuita per il quartiere Vomero con spesa minima di 10 euro, mentre per gli altri quartieri di Napoli il costo è di 3,50 euro a consegna con spesa minima di 15 euro. Per scegliere i prodotti, basta andare sullo shop online della pasticceria (www.pasticceriabellavia.it) e chiamare il numero 081 5584475. Per altre info, c’è la Pagina Facebook della Pasticceria Bellavia.

Leopoldo dal 1940

Leopoldo Cafebar - Senza Glutine

Tra le più antiche pasticcerie e tarallerie della città: per avere a casa vostra taralli napoletani sugna e pepe per vivacizzare l’aperitivo oppure un vassoio di dolci, contattare i numeri forniti sulla pagina Facebook Leopoldo dal 1940: 081 19312201 // 081 19312203 // 393 1084650.

Cibo a domicilio: i ristoranti di Torino da provare in tempi di Coronavirus

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Ristoranti chiusi, a Torino come praticamente in tutta Italia. Piano piano, però, la situazione della ristorazione si è adattata alla situazione, e oggi in tantissimi hanno attivato il servizio di consegna a domicilio, in attesa che si possa fare anche l’asporto.
Quindi, finché le cose non cambieranno ancora, potete concedervi qualche sfizio gastronomico. A casa, in tutta sicurezza.

Noi siamo qui a consigliarvi da chi ordinare, nel caso vi troviate a Torino. Le disponibilità cambiano a seconda delle zone in cui abitate, ma qui avete un po’ di indirizzi sicuri per tutti i quartieri, tra classici del food delivery, una nostra selezione di posti che consegnano a domicilio tramite le apposite piattaforme, e ristoranti che, proprio in questi giorni, si sono organizzati per far arrivare i piatti dei propri menu nelle case dei torinesi (per le modalità di consegna, in questo caso, preferiamo rimandarvi ai rispettivi siti e canali social, che tengono aggiornati i clienti su modalità di ordinazione e iniziative varie).

Ristoranti italiani

Razzo

ristorante Razzo Torino

Uno dei nostri posti preferiti a Torino, indubbiamente tra i locali gastronomicamente più interessanti in città dallo scorso anno. Anche Razzo si rimbocca le maniche e fa partire un servizio di delivery dei suoi piatti, disponibili a domicilio a partire da domani, mercoledì 12 marzo. Chiamate per maggiori informazioni.

Informazioni: www.facebook.com

Ristorante Del Cambio

Ristorante Del Cambio

Primo fra gli stellati torinesi, lo chef Matteo Baronetto si dà al delivery, e propone alcune delle sue creazioni per la consegna a domicilio, attraverso i canali di delivery del bistrot gourmet Farmacia Del Cambio, con una speciale offerta dedicata al capretto e alla colomba pasquali.

Informazioni: delcambio.it

Albergo Ristorante San Giors

Il San Giors, luogo storico della città che recentemente ha trovato la giusta dimensione grazie allo chef Paolo Ribotto, ha attivato un servizio di pranzo e cena a domicilio. Scrivi un messaggio su whatsapp, loro ti mandano il menu, fai l’ordine e aspetti la consegna gratuita.

Informazioni: www.facebook.com/sangiorstorino

EraGoffi

Il ristorante EraGoffi, che è stato uno dei protagonisti della scorsa estate torinese con il suo spazio all’aperto, presenta EraWay, un servizio di delivery interattivo (i piatti ordinati arriveranno cotti, ma freddi, e dovranno essere rigenerati attraverso le informazioni presenti all’interno del box ordinato, tramite una video ricetta dello chef Lorenzo Careggio da richiedere al momento dell’ordinazione o partecipando tutte le sere alle ore 20:00 alle dirette Instagram). Si possono ordinare due menu (al costo singolo di 35 euro, consegna compresa): onnivoro e vegetariano. I menù, che sono consegnati a Torino e prima cintura, cambieranno settimanalmente e sarà possibile ordinarli dal lunedì alla domenica entro le ore 18:00 del giorno di consegna (pagamenti con Satispay, carta di credito o contanti) al numero 346.7470782 o inviando una mail a info@eragoffi.it.

Informazioni: www.eragoffi.it

Dù Cesari

Il ristorante romano per eccellenza a Torino ha attivato un servizio di consegna a domicilio insieme ad altri tre chef del territorio (Alessandro Uccheddu, Nicola di Tarsia, Niccolò Corsini): ognuno propone i suoi piatti, e si possono mixare all’interno di un menu specializzato. Il costo di consegna è di 2,50 euro.

Informazioni: ducesari.it

Osteria Rabezzana

Un’ottima osteria ed enoteca torinese, che in questo periodo ha attivato un servizio di consegna a domicilio di prodotti di gastronomia e pasta fresca preparati dallo chef Giuseppe Zizzo. Per conoscere i prodotti disponibili giornalmente e ordinarli si può telefonare allo 011-543353.

Opera

Opera Torino; cena stampa delivery

 

Il giovane chef Stefano Sforza si dà da fare in tempi di chiusura, e inventa un menu ben studiato che ti arriva a casa in una scatola con tutti i piatti da assemblare e rifinire secondo le istruzioni. Noi lo abbiamo provato e ci ha soddisfatto, voi lo potete ordinare via telefono (011 1950 7972) o via mail (ristorante@operatorino.it).

Informazioni: https://www.facebook.com/OPERAINGEGNOECREATIVITA/

Ristorante Mare Nostrum

Uno dei ristoranti di pesce più amati della città si converte al delivery, con un menu che viene pubblicato sui social ogni martedì, e che prevede consegne “con orari flessibili ma concordati durante tutta la giornata”. Per prenotare si può chiamare ai numeri 0118394543 o 335 7681064

Informazioni: marenostrumtorino

Ristorante Carignano – Bistrot Carlo & Camillo

Sbarca su Glovo anche il Bistrot Carlo & Camillo, costola del Ristorante Carignano, una stella Michelin. I piatti, sfiziosi e veloci, sono preparati dallo chef Fabrizio Tesse.

Informazioni: facebook.com/ristorantecarignano

Chiodi Latini New Food

Gourmet Food Festival 2019 - Chiodi latini

Un punto di riferimento per la cucina veg a Torino, con preparazioni che mettono al centro il vegetale, il network di Chiodi Latini è sbarcato online con un progetto intelligente, tra i più completi del settore in città: Give Me Veg. Si ordina e si paga direttamente sul sito, e ogni giorno ci sono menu e idee diverse.

Informazioni: www.givemeveg.com

Pizzerie

Bricks

Bricks Torino; pizzeria

Dopo aver sfornato pizze per gli ospedali torinesi, Bricks ha attivato il suo servizio di consegne a domicilio in città. Si ordina telefonicamente (011 0609529) entro le 19.30, dal giovedì alla domenica, e la consegna è gratuita per ordini superiori ai 15 euro.
Informazioni: www.facebook.com/BricksTapasEPizza/

Amici Miei

Storica pizzeria di stampo napoletano, è attiva da sempre sul delivery, e continua a esserlo anche in questi giorni. Il locale è in corso Vittorio Emanuele II 94, e le consegne avvengono solitamente con la puntualità di chi è abituato a lavorare grandi numeri. Si può scegliere il tipo di impasto (classico, integrale, romana e senza glutine). Consigliamo di provare la Mediterranea: pomodoro, burratina, prosciutto cotto alla brace e pomodori secchi. Lo trovate su Glovo.

Informazioni: www.amicimieitorino.it

Sarchiapone

La zona è quella di San Salvario (la pizzeria sta in Via Berthollet 17). La pizza è rigorosamente napoletana, con un impasto soddisfacente solitamente anche quando si ordina a domicilio. Se si vuole fare un tentativo un po’ fuori dagli schemi della solita salsiccia e friarielli, consigliamo la pizza “Cite”, con pomodorino giallo del piennolo, stracciatella, mortadella e granella di pistacchio. Disponibile su Glovo.

Informazioni: www.sarchiaponepizzeria.it

Tellia

Il posto giusto per chi ha voglia di pizza in teglia alla romana, anche a domicilio. Il giovane Enrico Murdocco, che ha messo su il locale, sa il fatto suo (ha lavorato anche a La Madernassa, due stelle Michelin nel Roero) prima di approfondire il mondo dei lievitati. Da provare, fra le altre, quella con pancetta tesa affumicata selezione La Granda, toma di Raschera DOP e cipolla rossa di tropea caramellata. Lo trovate su Just Eat e su Glovo.

Informazioni: TelliaTorino

Eataly

Anche la pizzeria di Eataly Torino Lingotto, il mega store dedicato ai prodotti di eccellenza, in tempi di Coronavirus parte con le consegne a domicilio: è ordinabile attraverso Deliveroo.

Informazioni: www.eataly.net

Ristoranti giapponesi e sushi

Japs!

japs torino
A Torino, sushi significa Japs!. La catena di sushi “Italian Style” è entrata nel cuore della città, e si è allargata fino ad aprire tre punti vendita (il che garantisce consegne in più punti della città). Consigliamo di provare alcuni dei “best of” del locale, come il “sicilyssimo roll”, con gambero rosso di Sicilia. Lo trovate su Glovo, Just Eat, oppure anche ordinando direttamente allo 011 19717470.

Informazioni: www.japs.it

Bomaki

Bomaki

Arriva da Milano (e ha quell’aria un po’ milanese che spesso a Torino non piace), ma ha provato a integrarsi in città aprendo il suo head quarter in un punto strategico, i Murazzi del Po. Bomaki è un sushi fusion, nippo-brasiliano, il che rende i suoi piatti – in cui il pesc è mixato con cose come frutta esotica o bacon – particolarmente golosi. Per non sbagliare, ordinate a casa un “party box”, vi verrà consegnato in un’elegante scatola infiocchettata. Su Glovo e Just Eat.

Informazioni: www.bomaki.it

Daiichi

Anche Daiichi ha sempre lavorato sul cibo a domicilio, visto che i suoi locali erano spesso talmente pieni da non poter soddisfare le prenotazioni. Il sushi è buono, ma si può variare anche provando la sua proposta di cucina Thai. Lo trovate su Just Eat e Deliveroo.

Informazioni: www.daiichi.it

Le petit restaurant japonais

Arriva anche fino a Torino questa piccola chicca di Rosta: un ristorantino che da sempre serve con grande cura cucina giapponese “casalinga”, visto che a prepararla è la signora di famiglia, Naomi. Un autentico spaccato della gastronomia orientale. Si ordina il giorno prima al numero 3409624553.
Informazioni: www.facebook.com/lepetitrestaurantjaponais

Panini e street food, sfizi

Poormanger

poomanger, torino

La patata ripiena più famosa di Torino arriva anche a domicilio, con orario 12-14.30/19-22.30. Si guarda sulle stories di Facebook il menu giornaliero, poi si ordina su whatsapp al numero 3510565362, oppure tramite Glovo ed Eat in Time.

Informazioni: www.facebook.com/poormanger

Trapizzino

trapizzino

Sì, anche l’altro “triangolino che ci esalta” (definizione di cui andiamo molto orgogliosi) è disponibile per la consegna a domiclio (tramite Just Eat o Glovo). Un’ottima e golosa alternativa alla “solita” pizza.

Info: www.trapizzino.it

Mollica

Questi ragazzi hanno messo su una paninoteca coi fiocchi (in piazza Madama Cristina a San Salvario), di quelle che fanno venire l’acquolina in bocca alla semplice vista. Pane e focacce fresche, farcite con ogni ben di Dio. Ingredienti selezionatissimi e servizio a domicilio consegna gratuita (per il periodo Covid-19). Lo gestiscono loro, basta chiamare al 333 744 6737.

Informazioni: www.facebook.com/mollicapiccoliproduttori

Pescaria

I panini al pesce di Pescaria sono strepitosi, non c’è dubbio. Nelle diverse occasioni in cui abbiamo provato il loro servizio a domicilio, tuttavia, abbiamo dovuto constatare che è un tipo di prodotto che sarebbe meglio consumare in loco, appena preparato. Tuttavia, non potendolo fare, si può ordinare: un panino al polpo vi potrà dare sicuramente un po’ della carica necessaria ad affrontare questi giorni difficili. Su Glovo.

Informazioni: www.facebook.com/pescaria.torino

The Egg

Il bistrot del Birichin di Nicola Batavia, locale molto amato in città, ha attivato un servizio di consegna a domicilio (oltre ad aver scontato, a pranzo, tutti i menu del 50%). cicchetti e uova (da provare quella all’occhio di bue con guanciale di Amatrice) e altre cose sfiziose.

Informazioni: www.nicolabataviatheegg.it

Kebab

Da Demir

Il kebab più famoso di Torino, quello amato anche dai gourmet, si può ordinare anche a domicilio, via Glovo.

Informazioni: www.facebook.com/dademirpiazzaadriano

Poke

Pacifik Poke

pacific poke

Il Poke è l’ultima moda del cibo a domicilio, e a Torino il leader del settore è Pacifik Poke. Grandi ciotole di riso farcito con avocado, pesce, alghe e salse. Più le tartare hawaiane. Questo posto nasce per fare asporto, quindi è più che ferrato su questo tipo di servizio. Su Glovo, Just Eat e Deliveroo.

Informazioni: www.pacifikpoke.com

Gelaterie

Mara dei Boschi

Una dei nostri luoghi torinesi del cuore effettua consegna a domicilio tramite Deliveroo, Glovo e UberEats. Gelateria, cioccolateria e caffetteria si possono ordinare ance direttamente, con consegna gratuita, chiamando il numero 011 0266159; si ordina per almeno 15 euro di merce e si aspetta comodamente a casa.

Informazioni: www.facebook.com/MaradeiBoschi

Gelateria Alberto Marchetti

alberto marchetti

Uno dei gelatieri più celebri di Torino arriva direttamente a casa, in un’ora dall’ordine, tutti i giorni dalle 12 alle 21. Basta andare su Eatintime e riempire la vaschetta con i gusti preferiti.

Informazioni: www.facebook.com/AlbertoMarchettiGelaterie

Gelateria Silvano

Un punto di riferimento per tutto il quartiere Lingotto e non solo: Silvano è uno degli storici Maestri del Gusto torinese, e in questo periodo consegna il suo gelato anche a domicilio. Per ordinare si può chiamare al numero 0116677262 o scrivere via whatsapp allo 3924234939. Si può pagare con contanti o Satispay, la consegna è gratuita ed è possibile tra le ore 18.00 e le 22.30.

Informazioni: www.facebook.com/Silvanogelatodaltritempi

Ziccat

Cioccolateria torinese famosa per le sue creazioni divertenti e colorate, in questo periodo si è reinventata come delivery di gelato, grazie alla collaborazione con il Maestro del Gusto Riccardo Serra della Gelateria La Tosca. Dodici diversi gusti e, in più, “Le coccole della domenica”, un box con croissant e caffè. Si può ordinare telefonicamente al numero 011-752880 e pagare via carta o con Satispay.

Informazioni: https://www.facebook.com/Ziccat/

Ottimo!

Il gelato di Ottimo! arriva a casa, dopo aver scelto tra i gusti disponibili consultando la pagina Facebook, chiamando i numeri 348 7889889 e 3406414542.

Informazioni: https://www.facebook.com/Ottimo

Ristoranti cinesi

Mei Shi Mei Ke

Il tempio torinese dei ravioli cinesi ha attivato, di questi tempi, un servizio di consegna a domicilio delle sue specialità. Lo trovate su Glovo, Uber Eat e Deliveroo.

Informazioni: www.facebook.com/MEI-SHI-MEI-KE

Ristoranti etnici

Vale un Perù

ceviche vale un perù

Uno dei ristoranti – a nostro parere – più interessanti della città vara il suo progetto di “cucina sincera e street food” (peruviano, naturalmente) a domicilio. Panini, piccole “entradas” ma anche primi e secondi piatti. Il menu è sulla pagina Facebook del ristorante, e si ordina telefonicamente, ai numeri 3896533132 e 0113835253.

Informazioni: www.facebook.com/valeunperutorino

Greek Food Lab

Se avete voglia di cucina greca (moussaka, tzatsiki e compagnia bella) questo è il posto che fa per voi. Si tratta di una cucina semplice, golosa, che propone moltissime specialità anche a domicilio. Il menu si legge sui social, e si prenota allo 011 583 3992.

Informazioni: www.facebook.com/greekfoodlab/

Gastronomie, pastifici, negozi

Pastificio Bolognese

Voglia di pasta fresca senza fare la coda al supermercato? Nessun problema, il Pastificio Bolognese Muzzarelli effettua consegne a domicilio in molte zone di Torino. Vai sul sito, scegli e ordini allo 011.591360. Fai l’ordine entro le 18.30 con una spesa minima di 20 euro e la consegna entro il mattino successivo è gratuita.

Informazioni: www.pastificiobolognese.it

Sciamadda

La gastronomia ligure più famosa di Torino, con i suoi frittini, le acciughe, la focaccia e tutto il resto, consegna a domicilio, in partnership con il pesce fresco de La Bugotta. Il menu si consulta sulla pagina Facebook del locale, si chiama lo lo 011 18921732 e la consegna è gratuita sopra i 25 euro, si può pagare con Satispay.

Informazioni: www.facebook.com/A6-Sciamadda

Pastificio Defilippis

Lo storico pastificio del centro di Torino propone con consegna a domicilio primi (tagliatelle e agnolotti di carne), secondi con contorni e anche dolci. Si può prenotare al numero 011 542 137, la consegna in Torino costa 5 euro ed è gratuita per una spesa superiore a 50 euro.

Informazioni: Informazioni: www.pastificiodefilippis.it

Pescheria Gallina

Storica pescheria in cui qualsiasi buon Torinese ha fatto la spesa almeno una volta nella vita. Di questi tempi, però, da Porta Palazzo il pesce arriva a domicilio: basta chiamare lo 011 5213424.

Informazioni: www.facebook.com/PescheriaGallina

Orso Laboratorio caffè

orso caffè; torino

 

Tra le prime realtà a lavorare (bene) sul mondo del caffè a Torino, Orso si è attivata per la consegna a domicilio dei suoi caffè monorigine. Si ordina via mail, la consegna minima è di 20 euro e il costo del servizio è di 5,25 euro (gratuito per gli ordini superiori a 45 euro.

Informazioni: https://www.orsolaboratoriocaffe.it

Panifici

Perino Vesco

perino vesco; panetterie torino

Si attiva per le consegne a domicilio anche una delle nostre panetterie preferite a Torino: è Perino Vesco, maestro di pizza, grissini e pane di ogni genere e tipo. Per ordinare basta chiamare il 011 06 86 056 o scrivere a info@perinovesco.it.

Informazioni: perinovesco.it

Spoto Bakery Bistrot

spoto bakery

Altro nome molto celebre a Torino quando si parla di panificazione, Alessandro Spoto sta lavorando sulle consegne a domicilio tramite il sito Cosaporto: ci sono i dolci per le festività, la pizza per l’aperitivo, le brioches per la colazione e pure l’impasto per la pizza, nel caso non siate riusciti a procurarvi il lievito di birra.

Informazioni: cosaporto.it/partner/voglia-di-pane

Pasticcerie

Fabrizio Racca Dessert

Fabrizio Racca Dessert

La sua è una pasticceria moderna, e le sue torte sono opere di design: in poche parole, oltre a essere buone sono anche bellissime. Fabrizio Racca ha deciso di continuare a vendere i suoi dolci portandoli a domicilio, 7 giorni su 7, con consegna gratuita per un ordine minimo di 20 euro. Ci sono le torte e le monoporzioni. Si prenota chiamando il numero 3338958109.

Informazioni: www.facebook.com/FabrizioRaccaDessert

Pfatish

Al Torinese, ogni tanto, vien voglia di un Festivo: una creazione della storica pasticceria cittadina Pfatosh, realizzato con due dischi di meringa al cacao farciti di crema chantilly al cioccolato e ricoperti di granella di cioccolato. Nel caso vi sia venuta un’improvvisa voglia di assaggiarlo, sappiate che potete trovarlo anche sullo shop dedicato al locale su Cosaporto.

Informazioni: cosaporto.it/partner/pfatisch

Cocktail & alcolici

Affini Rivendita 1

Amatissimo cocktail bar di San Salvario, adesso propone le creazioni di mixology del suo giovane e talentuoso barman Michele Marzella anche a domicilio.

Informazioni: www.facebook.com/affinitorino

Damarco

A Torino, se hai voglia di bere qualcosa di un po’ particolare (vini, liquori, spiriti vari) c’è un posto dove andare sul sicuro: è la storica bottiglieria Damarco in piazza Della Repubblica. Lì si trova più o meno tutto, spesso a prezzi concorrenziali. E ora lo si può ordinare anche a domicilio.
Informazioni: www.facebook.com/damarcotorino

Banco Vini e Alimenti

banco vini e alimenti

La costola del Consorzio, notissima in città per il suo cibo à la “street food” e per la sua cantina fornitissima, consegna a domicilio, e lo fa gratuitamente con un ordine minimo di due bottiglie. Si ordina telefonicamente, al 3803057993

Informazioni: www.facebook.com/bancoviniealimenti

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