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Channel: Pasticcerie – Dissapore
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Con la pasticceria Tiri e il panettone tutto l’anno a Potenza si vive meglio

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Come sanno le legioni di fornai casalinghi che stanno per affrontare la preparazione del panettone, di solito tutto ciò che può andare storto va storto: impasti troppo caldi, burro e uova incorporate anzitempo, una bizza improvvisa del lievito madre.

Non per niente il panettone è considerato “l’Everest dei prodotti da forno”, una vera sfida anche per pasticcieri e maestri fornai.

[Il Panettone, “Everest dei prodotti da forno”, conquista gli Stati Uniti]

A proposito, Vincenzo Tiri, 37enne ragazzone gentile di Acerenza, 2433 anime abbarbicate nella più remota provincia di Potenza, è il nostro goleador del panettone artigianale, nel senso che vince da tre anni, e per distacco, l’apposita classifica di Dissapore, attesa anche quest’anno tra novembre e dicembre.

Siamo ancora dell’avviso che Tiri 1957, la bottega aperta 61 anni fa da una famiglia di grandi panificatori, meriterebbe un’uscita autostradale dedicata.

[Perché nel panettone il Sud ha superato Milano?]

Ma dopo un’attesa eterna, finalmente, non è più necessario scalare gli aspri tornanti che conducono ad Acerenza per gustare le creazioni del pasticciere lucano, compreso l’ottomila del suo panettone, ottenuto con tripla lievitazione dell’impasto e gestione maniacale del lievito madre.

Dal 25 ottobre, a Potenza, in via del Gallitello 255, è aperta Tiri Bakery e Caffè, nuova pasticceria con laboratorio di Vincenzo Tiri: 13 metri di banco tra bar e esposizione dei dolci, oltre a 38 posti a sedere per il consumo nel locale.

Colazioni, pranzi leggeri e aperitivi, dalle 7 alle 22, all’insegna della pasta lievitata con l’upgrade di torte, monoporzioni e viennoiserie (niente bignè o mignon di frolla, abbiamo detto solo pasta lievitata) che promettono meraviglie.

Fate voi: nel “Tirimisù” la pasta lievitata prende il posto dei savoiardi imbevuti nel caffè; il Savarin, classico francese, si fonde con l’impasto del babà; il Bauletto di San Canio, patrono di Acerenza –stesso impasto del panettone ma sagoma a baule e glassa alle mandorle– viene farcito con amarene e fiori di sambuco.

La componente croccante della Cheesecake è una fetta di panettone tostato, mentre a dare corpo alla Torta Sacher provvedono strati di panettone al cacao ripieni di confettura all’albicocca e crema al cioccolato. Perfino il cuore dei diversi cioccolatini è di panettone!

C’è anche il pane, che esce dal laboratorio in due versioni –con farine macinate a pietra e con semola di grano duro mista a patate– e si consuma in due modi: venduto al dettaglio e inserito in colazioni old-style con burro e marmellata.

E c’è –manco a dirlo– il famoso panettone. Anzi, come da scritta che troneggia tra gli scaffali, c’è il “panettone tutto l’anno”. Con il solito corredo: cupola spavalda e inconfondibile, impasto carico che spacca le pupille, canditi freschissimi e aromatici, perché autoprodotti.


Hiromi cake, prima pasticceria giapponese a Roma: cosa c’è e quanto costa

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Hiromi Cake, prima pasticceria giapponese di Roma, ha aperto da pochi giorni nel quartiere Prati.

Può darsi che la nostra non sia la voce più attendibile nel descrivere le meraviglie dello stile nipponico, visto l’ironico post scritto tempo fa dall’editor Sara Porro.

[Parlando all’analista del tuo radicato odio per la pasticceria giapponese]

In quel caso, i dorayaki, forse i dolci giapponesi più conosciuti all’estero, venivano descritti così: “una sorta di doppia frittella, un incrocio incestuoso tra pancake e pan di Spagna…”.

[Abbiamo provato 4 pizzerie napoletane in Giappone]

[L’ossessione dei giapponesi per la pizza napoletana]

Va detto però che i dolci confezionati nella pasticceria romana di ambientazione izakaya (“negozio di sakè dove ci si siede”) dalla pastry chef Hiromi e dalle tre collaboratrici che formano un laboratorio tutto al femminile, sono belli e invitanti, a volte irresistibili.

“Precisione, leggerezza e bellezza cristallizzate in piccole opere nate per accompagnare la tradizionale cerimonia del tè”, ha scritto James Magazine.

Le regole di Hiromi sono quelle dei wagashi (dolci) più noti nel suo Paese: dolci a base di farina di riso, fagioli rossi azuki, patate dolci, preparati utilizzando sesamo, soia, amido di kuzu o agar-agar per addensare e, soprattutto, con un uso contenuto dello zucchero.

Presenti ovviamente i dorayaki, eleganti pancake farciti di anko, una sorta di marmellata ricavata dai fagioli rossi, gli azuki, e i mochi, pepite di riso bollito che, se guarnite, prendono il nome di daifuku: farcitura più frequente una pasta di fagioli rossi.

Nel piccolo banco trasparente della pasticceria fanno bella mostra anche i Fuji san, remake del Montblanc francese con tortino ripieno di azuki, fagioli bianchi e matcha, e i Kurò, una specie di mousse al cioccolato fondente.

Oltre alle monoporzioni, che costano da 2,80 a 4,80 € a pezzo, Hiromi Cake è specializzato nella preparazione di torte e nella cerimonia light del té, qualunque cosa significhi. È possibile bere caffè bio 100% Arabica o cappuccini matcha nella versione in bicchiere da asporto.

[Crediti | James Magazine]

Frittelle di Venezia: la mappa delle migliori pasticcerie da provare a Carnevale

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Dici Carnevale e il pensiero corre immediato a Venezia. E se per molti l’obiettivo è quello di visitare la città portandosi a casa un foto classica, magari con doge e dama, in realtà esiste un motivo più nobile per immergersi nel fiume di turisti lagunari: le frittelle, vero must stagionale, il cui culto spinge ogni anno schiere di appassionati a stilare classifiche sulle migliori pasticcerie cittadine.

Noi ci rifiutiamo, non per codardia, ma perché ogni pasticceria ha la sua specificità: preferiamo quindi regalarvi un’utile mappa (una Gourmap, come la chiamiamo noi) per assaggiarle tutte e stilare la vostra classifica personale.

Prima però, il vocabolario minimo. La frittella, a Venezia, è la fritola. Il dialetto vince, senza gara. E la fritola veneziana è quella classica, la pietra di paragone con la quale misurare il resto. Senza ripieno, ma non vuota, sia ben chiaro.

Quello che sembra un problema filosofico in realtà ha una facile spiegazione: l’impasto della veneziana assomiglia a quello di un lievitato. La pasta è dorata, soffice e spugnosa, perfetta per accogliere uvetta e pinoli e per affondarci dentro un morso fino a che la punta del naso non si ricopre di zucchero.

Rosa Salva

San Marco Calle Fiubera 951, San Marco Mercerie 5020, Campo San Giovanni e Paolo

fritole rosa salva

Ore di lievitazione, un impasto in cui verrebbe da tuffarsi ed una frittura con un buco al centro. Guai a chiamarla ciambella, la fritola veneziana di Rosa Salva è imprescindibile: il buco garantisce una cottura uniforme trasformando la classica sfera in un esemplare più schiacciato e basso.

Uvetta australiana, pinoli e un passaggio nello zucchero semolato, mai a velo. Perfette se consumate tiepide, buone anche dopo un po’ di riposo al banco. Gli amanti dei numeri saranno felici di sapere che per fare 600 frittelle ci vogliono 170 uova. Oltre alle veneziane, ecco le ripiene: crema chantilly (non la pasticcera perché troppo pesante) e zabaione, mescolato alla panna pure lui, per alleggerire.

Pasticceria Tonolo

Calle San Pantalon 3764, Dorsoduro

tonolo; frittelle

Preparatevi a sgomitare. Conquistare il bancone della storica e amatissima Pasticceria Tonolo, in questo periodo, è un’impresa. Un volta arrivati di fronte, però, ecco la ricompensa: dorate e tonde le veneziane, rotondette quelle ripiene. Il ripieno migliore è quello alla crema, ma si fa valere anche lo zabaione. C’è anche quello alla cioccolata, forse troppo invadente, oscurando un impasto ottimo, leggerissimo e morbido, mai gommoso. Leggenda vuole che in un solo giorno ne siano state fritte 9000. Assolutamente credibile.

Pasticceria Rizzardini

Campiello dei Meloni 1415, San Polo

pasticceria rizzardini; frittelle

Sulla strada che da Campo San Polo porta a Rialto, ad un certo punto, sulla destra, noterete una pasticceria minuscola. Insegna vecchio stile. E’ la pasticceria Rizzardini, che ha fatto dell’ironia uno degli ingredienti delle frittelle: qui infatti trovate le “venessiane sensa gnente” (cioè senza niente, insomma senza ripieno). Forse leggermente più fritte delle altre (ma qui si vuole spaccare il capello, eh), abbondanti di uvetta, che spunta a piccoli cornetti sulla superficie.

Se volete fare il bis, provate anche quelle allo zabaione.

Didovich pasticceria

Castello 5908-09

Didovich, fritole

Presente da 40 anni in uno dei campi meno affollati di turisti della città (Campo Santa Marina), la pasticceria Didovich è un’altra meta immancabile nel pellegrinaggio dello street food carnevalesco. Anche qui le frittelle hanno ripieni gradevoli, impasti godibili e la giusta quantità di uvetta.

Se non fa troppo freddo, il consiglio è quello di accomodarvi, voi e la vostra frittella, fuori, occupando uno dei tavoli che si affacciano sul Campo.

Emilio Colussi

Calle S. Luca 4579, Sest. San Marco

forno colussi; venezia; frittelle

Fondato nel 1840, è il forno più longevo di Venezia, ora arrivato alla settima generazione. Nascosto in una calle strettissima, ha l’apparenza di una piccola bottega: in realtà l’interno rivela un dedalo fatto di scale a chiocciola e locali disposti su piani diversi che ospitano impastatrici, celle di fermentazione e forni. Da qui escono circa 80 tipi di pane, da qui si rifornisce praticamente tutta la città. Ora, tralasciando il pane, concentriamoci sulle frittelle: le veneziane rispettano pienamente la tradizione (gonfie, morbide, ben fritte) mentre quelle ripiene, crema e zabaione, vi fanno l’occhiolino.

Trevisan

Santa Croce 637, Campo della Lana

pasticceria trevisan; frittelle venezia

Un altro panificio nella mappa, a conferma che i forni sono in grado di rivaleggiare con le pasticcerie. Impossibile capitarci per caso, da Trevisan bisogna andarci per forza. Abbastanza vicino alla stazione e a Piazzale Roma, ma nascosto alla vista e al passaggio di massa (per fortuna), Trevisan espone con orgoglio le sue frittelle in vetrina, dedicandogli uno spazio a parte. Uno sfondo rosso, quasi un fondale teatrale, vede al centro della scena un vassoio di frittelle e uno di galani. Leggermente irregolari, abbronzate il giusto, le fritole di Trevisan sono una rivelazione.

Dal Mas

Rio Terà Lista di Spagna 149/B

frittelle dal mas; venezia

Praticamente il benvenuto in città per chi arriva in treno. A pochi minuti dalla stazione, ecco un altro indirizzo storico. Pasticceria di proprietà della famiglia Balestra da una cinquantina d’anni, ha un bancone che offre praticamente tutto, dalle colazioni ai cioccolatini (uscite dalla pasticceria ed entrate nella cioccolateria a fianco). Così come è classico e storico il locale (è un complimento: oggi certe pasticcerie sembrano delle sale operatorie), altrettanto lo sono le frittelle: morbide, asciutte, con una buona proporzione di uvette e pinoli. Le farcite hanno crema, zabaione e cioccolato.

Ballarin

Cannaregio 5794

pasticceria ballarin venezia; frittelle

Rinnovata, con due belle vetrine e un bancone ordinatissimo, si trova a pochi minuti dal Fontego dei Tedeschi. Le frittelle sono esposte in vetrina, belle impilate e pronte. Prima di buttarcisi a capofitto, osservate la varietà di proposte di paste e di dolci tradizionali. Prendete nota per la prossima volta che ci passate per evitare che, mentre voi siete davanti al banco in dubbio su cosa scegliere, dietro di voi si formi una fila chilometrica di clienti.

Pasticceria Nobile

Cannaregio 1818

pasticceria nobile; frittelle

In Strada Nova, in calle del Pistor (una volta chi impastava il pane a Venezia si chiamava pistór) ecco un altro classico. Famosissima per le pizzette, la pasticceria Nobile si fa valere anche a Carnevale: sul lungo bancone, oltre a croissant, sfoglie alle mele, girelle, petit four e paste, ecco le frittelle (esposte anche in vetrina).

Veneziane rigorosamente con zucchero semolato, ripiene (crema o zabaione) con zucchero a velo. Il brutto delle pasticcerie che espongono le frittelle in vetrina è l’inevitabile effetto “bimbo con l’acquolina e il naso appoggiato al vetro” su molti clienti. Entrate, su. Un po’ di dignità!

Marchini in time

Campo San Luca, San Marco 4741

pasticceria marchini time; frittelle

Istituzione veneziana, il bar pasticceria Marchini in time è il regno della famiglia Vio. Imprescindibile durante tutto l’anno per un’offerta notevole fatta di frolle con crema, fette monoporzione, sfoglie, bignè e meringhe, a Carnevale arricchisce l’offerta con le frittelle. Dietro al bancone, un sistema rodato garantisce un servizio perfetto; dall’altra parte, a voi non resta che scegliere la vostra fritola preferita e affondarci il naso.

È l’ora delle pasticcerie giapponesi in Italia: i dolci da conoscere

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È l’ora delle pasticcerie giapponesi: e per non farvi trovare impreparati ci sono alcuni dolci che è il conoscere. Prima, però, una doverosa premessa sulla storia, recentissima, della pasticceria nipponica in Italia, tutta fagioli Azuki e hype quanto basta.

Hiromi Cake, prima pasticceria giapponese di Roma, ha aperto a fine 2018 nel quartiere Prati. Protagonista la giovane pastry chef Hiromi, che insieme alle cinque collaboratrici compone un laboratorio tutto al femminile.

Da dicembre 2018, a Torino, esiste anche Kintsugi tea & cakes. Missione compiuta da Francesca Alessio, italiana appassionata di ristorazione giapponese.

Basara a Milano, è un ristorante giapponese con pasticceria aperto da colazione a cena. Piatti fusion e dessert di alto livello hanno moltiplicato l’interesse: gli indirizzi in città sono già tre.

Dopo il successo di sushi e ramen, ora sono le pasticcerie giapponesi a conquistare le città italiane.

Cosa dobbiamo sapere prima di entrare in uno di questi locali? O anche solo per sostenere una conversazione su dorayaki e mochi con interlocutori più esperti di noi?

Prima di tutto un’avvertenza: nonostante la pasticceria giapponese abbia origini antiche, il sapore per noi occidentali non è così ovvio. Mai troppo zuccherata –ma questo è un pregio– ha una consistenza non facilmente associabile ai nostri dolci. Difficile dire se sia più gommosa, soffice o scioglievole. Di sicuro possiede spesso “il quinto gusto”, l’umami, che colloca questi dolci, sempre piccoli e dall’aspetto curato come minute opere d’arte, al centro tra dolce e salato, tra amaro e aspro.

Ad ogni modo, iniziare dai principali dolci giapponesi è una buona idea. Se nei locali aperti finora in Italia, per adattarsi ai nostri palati, non mancano tiramisù, mousse, cheesecake o crêpes dal tocco orientale, la parte del leone spetta alle piccole specialità del Sol Levante.

Una prima distinzione va fatta tra Wagashi, ovvero i dolcetti serviti per tradizione durante la cerimonia del tè, e Yogashi, dolci di contaminazione occidentale, con influenze soprattutto francesi oppure legato alla pasticceria americana.

Me ecco una piccola guida ai dolci giapponesi che trovate nelle pasticcerie aperte in Italia.

Dorayaki

La pastella, per la quale è necessario il Mirin –una sorta di sakè dolce– viene mescolata con una forma che ricorda i pancake. I dischi vengono poi uniti e farciti in modi molto diversi, ma quello più tradizionale è senz’altro con la marmellata di fagioli Azuki, piccoli legumi rossi dalle ottime proprietà nutrizionali.

Dango

Spiedini di riso glutinoso, dalla consistenza descritta come simile a quella del “lobo dell’orecchio”, formati da tre palline di sapore variabile (in genere sakura, matcha e cacao). Vengono cotti al vapore e arricchiti con la salsa mitarashi (elaborazione dolce della salsa di soia) con un sapore dolce/salato.

Mochi

Polpette di riso glutinoso tritato e pestato, ripiene di salsa di fagioli o di sesamo nero. A Milano come a a Roma assumono anche la curiosa forma di un lecca lecca.

Baci di dama

I biscottini nati in Piemonte vengono rivisitati mescolando il tè matcha alla pastafrolla, che assume così una colorazione brillante. Il tentativo di adattarsi ai gusti europei prevede ripieni meno tradizionali della crema di tè. Spesso figura l’italianissima Nutella.

Matcha Kasuetera

Quello che in Italia chiamiamo pan di Spagna, nella versione giapponese ha una consistenza unica grazie alla presenza del tè matcha nell’impasto e a un’alveolatura particolarmente sottile. Va da sé che aspetto e sapore cambiano con il variare dell’ingrediente mescolato all’impasto del Kasuetera.

Ecco, adesso siete pronti per cedere all’avanzata del Giappone più dolce.

Pasticceria Pasquale Marigliano a Nola, Napoli: recensione

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Tu vuo’ fa ‘o francese, avrà sicuramente detto qualcuno a Pasquale Marigliano, Maestro Pasticciere di San Gennarello di Ottaviano, alle falde del Vesuvio, con il pallino della pasticceria francese. Così tanto che Pasquale per qualche anno va a perfezionarsi fino in Francia, diventando un Pascal. Noi, nella sua pasticceria di Nola – sua seconda sede, aperta nel 2016, siamo appena stati, in incognito come amiamo fare noi, e dedichiamo questa recensione a voi che amate i dolci così come i piatti dei ristoranti.

Tu vuo’ fa ‘o francese, dicevamo. Leggiamo, direttamente dal sito internet di Marigliano: “l’idea corrente di pasticceria, soprattutto quella napoletana, può e deve cambiare, e insieme ad essa idee, gusti e abitudini.”

Tre torte per il Gambero Rosso, pasticciere dell’anno 2016 per AMPI e l’ingresso tra i Maestri del Panettone: Le jeune Pascal, sempre nel 2016, apre la sua Pasticceria a metà tra il gioiello e la caffetteria classica; lo fa nella città di Nola, provincia di Napoli. Nola è una sorta di pied-à-terre della Napoli bene, con un notevole background culturale: qui nacque il filosofo Giordano Bruno e morì l’imperatore Augusto. Inoltre, la chiassosa Festa dei Gigli che qui si svolge ogni anno, è un inestimabile patrimonio UNESCO.

Abbiamo visitato questa piccola perla di provincia dal respiro francese con una domanda fissa in testa: come si mangiano i classici dolci della tradizione napoletana nel tempio di un Maestro che è stato alla corte della Pâtisserie Fauchon e Gaston Lenôtre ?

Pasticceria Pasquale Marigliano: il format, il mood

Dopo aver trascorso anni gloriosi, sebbene un po’ sacrificati negli spazi, nella sua pasticceria di San Gennarello di Ottaviano, il locale che fa angolo tra Via Fonseca e Via Merliani è decisamente il grande balzo in avanti del Maestro: passo ben premiato dagli affezionati clienti nolani e non.

Il format vuole essere quello delle pasticcerie di fascia alta: c’è un direttore di sala ad accogliere i clienti ed accompagnarli alla seduta libera al momento. Personale cordiale e ben preparato sull’argomento pasticceria.

Fa bella mostra di sé un pianoforte, dove vengono suonati arrangiamenti di classici della musica jazz o napoletana.

La cassa ci ricorda l’altro volto del locale – quello di Ottaviano – decisamente più dinamico: la caffetteria, l’asporto della classica guantiera di dolci e con essi la velocità, la necessità di fare più cose nello stesso punto. Quindi, via libera alle sigarette in esposizione, chewing gum, il Sisal.

Il banco dei dolci è su una delle estremità; al centro la vetrinetta a temperatura controllata con la selezione di cioccolato, del quale Pasquale Marigliano è fine conoscitore. Bellissimi i packaging per l’asporto dei dolci: quando un vassoio di paste è di classe.

In fondo alla sala ci si accomoda praticamente sotto un quadro-foto del pasticciere Pasquale. Vi sentite protetti dalla glicemia alta a mangiare il vostro babà sotto la sua egida? Dite la verità. Col ciuffo impomatato, sorriso sicuro e sguardo un po’ malandrino: ecco Pasquale-Pascal.

Più Pasquale che Pascal.

Il punto offre anche una scelta di rosticceria che, a dire il vero, non abbiamo assaggiato in questa occasione. Presente anche una lista di cocktail.

Menu e prezzi

Il menu è presente per la parte caffetteria, cocktail e distillati vari. I dolci sono tutti presenti nelle vetrine con il proprio prezzo da asporto; a questo, va aggiunto il servizio e la guarnizione qualora decidiate di consumarli al tavolo. In questo caso, vi consigliamo di chiedere al personale di sala, molto cortese e ben istruito sulle varie proposte.

In linea di massima, le monoporzioni si aggirano intorno ai 3,50 euro, prezzo da asporto. I lievitati da colazione partono da 1 euro, come i croissant da varie farciture.

I cocktail hanno un prezzo di 5 euro, gli amari di 4 euro.

Il caffè al tavolo viene servito a 1,30 euro.

L’assaggio: il babà, la frolla

Il babà classico

Il babà classico è molto grazioso, più di altri “monumentali” fratelli proposti altrove. Cupola e corpo hanno pressappoco lo stesso colore (non bruciacchiato), servito con sapienza in compagnia di un ciuffo di gelato alla vaniglia, crema pasticciera e decorazione di frutta.

Punzecchiato a dovere con la forchetta, risponde bene: la pasta sembra elastica, al gusto non delude.

Peccato per la bagna al rhum che risulta un po’ eccessiva nella quantità, ma tutto sommato assolutamente godibile. La manifattura è da Maestro.

Il babà classico ha un costo di 1,70 euro (da asporto); servito al tavolo, con le guarnizioni, il prezzo sale a 3,50 euro.

Menzione d’onore per un dolce diventato un nuovo classico, copiato ovunque: il babà alla mela annurca. Pasta babà di dimensioni ridotte, imbevuto di punch alla mela annurca, varietà di mela campana.

La sfogliatella (frolla)

Manca la riccia, me tapina, e ripiego sulla sfogliatella frolla, stesso ripieno di semolino, ricotta e canditi di frutta ma con guscio di pastafrolla, chiesta da me con leggero zucchero a velo. Un bel biscotto gonfio, dal diametro grande, forse leggermente superiore a certe napoletane.

Non mi fa pentire della mancanza della sorella riccia: la sfogliatella frolla è da applausi a scena aperta. E’ tutto un amalgamarsi di pastafrolla – meno secca di altre consorelle napoletane – e ripieno dolce corposo, con una scorzetta d’arancia deliziosa all’interno.

Temperatura di servizio, tiepida. Insomma, perfetta nella sua semplicità eseguita con maestria, dalla scuola di Pasquale-Pascal.

La sfogliatella frolla ha un costo al pubblico di 1,40 euro da asporto; al tavolo, è rincarato a 1,50 euro.

I cioccolatini

La mia visita è stata infrasettimanale, quindi non ho goduto dei dolci stagionali e di alcuni freschissimi di alta produzione nel weekend. Vista la fama da cioccolatiere di Pascal, ne approfitto per un assaggio dei suoi famosi cioccolatini, gelosamente custoditi nella vetrina centrale a temperatura ed umidità controllata. Viro direttamente su un classico contemporaneo del cioccolato di pasticceria italiano: il Vesuvio buono, cioccolatino a forma di cabosside, ripieno.

Al contatto con il calore del palato, questo cioccolato inizia a “scoppiettare” letteralmente, modalità caramelle frizzanti Haribo. Il cioccolato è di ottima fattura, gusto rotondo, simpatico l’effetto pop pop. Tra l’altro, le uova di cioccolato decorate della pasticceria di Pasquale Marigliano sono molto quotate.

Il prezzo di ogni cioccolatino Vesuvio Buono è di 1 euro.

E il caffè?

Qui si propone il classico caffè napoletano da bar. L’espresso risulta buono, aspetto superficiale biondo, non particolarmente cremoso. Godibile.

Informazioni

Pasticceria Pasquale Marigliano
Indirizzo: via G. Fonseca 148, Nola (Napoli)
Numero di telefono: 081 51 24 639
Orari di apertura: Tutti i giorni orario continuato 6.30 – 1.00; chiusura il martedì
Sito Web: https://www.pasqualemarigliano.it
Tipo di cucina: Pasticceria e cioccolateria
Ambiente: Formale
Servizio: Preparato e cordiale
Voto: 4.5/5

Antico forno Sfogliatelle calde Attanasio a Napoli: recensione

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Siamo stati all’Antico forno Sfogliatelle calde Attanasio a Napoli, tempio della sfogliatella semi-nascosto in una viuzza, per raccontarvi, in una recensione, una chicca della città.

Non esistono indicazioni universalmente valide per dirvi come arrivare all’Antico forno Sfogliatelle calde flli Attanasio: quindi, vi dirò che – usciti dalla stazione di Piazza Garibaldi – dovete individuare la scritta GIANCAR, che un tempo fu al neon. Una volta individuata, girare subito l’angolo e vi ritroverete Sfogliatelle calde Attanasio. E’ un po’ come le Cronache di Narnia, dove dovevi attraversare l’armadio per accedere al mondo magico. Qui devi individuare un fatiscente negozio di dischi.

Vicolo Ferrovia vive da sempre di vita propria grazie alle Sfogliatelle Attanasio: dal nome possiamo intendere che il core business dell’attività sia una produzione esagerata, sterminata di sfogliatelle.

Breve ripasso della sfogliatella: nata in un convento a Conca dei Marini, fu portata a Napoli dall’oste/pasticciere Pasquale Pintauro e “svuotata” di crema ed amarene. Riccia e frolla sono due varianti ufficiali, mentre la Santarosa è quella diffusa nel salernitano, ancora ripiena di creme ed altre amenità.

La storia di Attanasio inizia nel 1930: vanta ancora la produzione artigianale dei “tappi”, cioè del cono di sfoglia artigianale della sfogliatella, mentre molti altri fanno ricorso a quelli surgelati. Una pasticceria quasi imprescindibile per le migliaia di viaggiatori che si spostano avanti e indietro per Napoli, portando con sé il cartoccio di paste che fa molto emigrante (e pure molto casa).

Detto ciò, questa è la nostra recensione della  “sfogliatelleria” – che è anche pasticceria – presente in una sterminata quantità di guide street food; uno dei luoghi cult che può facilmente diventare uno dei luoghi scult della pasticceria partenopea. L’abbiamo pensata mentre con una mano si teneva il babà e con l’altra ci puntellavamo al tavolo di fortuna.

Sfogliatelle calde Attanasio: ambiente e mood

Non avete bisogno di molte indicazioni oltre a quelle fornite: girato l’angolo, vi accoglie la folla. Un groviglio di turisti, alloctoni ed abitanti del quartiere si scambiano discorsi in lingue indistinte.

La pasticceria è praticamente un bancone con una striscia di pavimento davanti per accogliere le persone. Sulla sinistra, ci si fa slalom tra le persone e si stacca un numerino: la nostra “prenotazione”. Nel mentre aspettiamo, diamo uno sguardo alle altre proposte. I dolci sono quelli della tipica pasticceria napoletana: zeppole di San Giuseppe, biscotto crema ed amarena (una specie di Frankenstein della pasticceria napoletana, frolla ripiena di avanzi di pasticceria ed amarene), pasticciotti pugliesi, babà, le sopra citate code di aragosta

Alla destra del bancone, sgomitiamo per vedere il work in progress delle sfogliatelle: da un laboratorio, escono fuori le sfogliatelle già “composte” ed infilate in un forno dalla temperatura a dir poco infernale, tanto che ci arriva il riverbero. Una volta sfornate, le sfogliatelle vengono messe in un forno assolutamente scenico e pure un po’ pacchiano.

Non è presente un menu completo dei dolci, ma molti di quelli esposti in vetrina recano i prezzi. Si spazia da 1 euro fino ai 2,50 euro della pastiera napoletana (per porzione).

Il poker: sfogliatella riccia, frolla, babà, pastiera

Una volta ottenuto il sacro cartoccio, azzanniamo lei direttamente: voluttuosa cornucopia, la sfogliatella riccia. Scotta tra le mani ma non riusciamo a dirle di no. L’odore è zuccherino. Evidente un’untosità leggermente eccessiva e il colore brunito, sull’estremità leggermente tendente al bruciacchiato, cosa che potrebbe far storcere il naso agli esperti. Non è chiusa proprio da maestro: fa capolino il ripieno fuoriuscito che ha preso fuoco.

Il costo della sfogliatella riccia è di 1,30 euro, in linea con altre pasticcerie.

Morso eccezionale, con la temperatura ai livelli del nocciolo fuso della Terra, scotta sulla lingua, sulle dita, alterando un po’ i sapori ma è lei, la sfogliatella riccia. Dovessero coniare un gusto, gusto sfogliatella riccia sarebbe da candidare. La consistenza della sfoglia con il crunch consistente, quello che inzucchera il viso di briciole e che si confonde con il ripieno caldo di semolina e ricotta cremosa, con i canditi che non si sentono e né tantomeno riusciamo a verificarne davvero l’esistenza. Un classico old school, tra chi la definisce bruciata e chi da maestro.

Insomma, bisogna fare un po’ di precisazioni senza che io qui mi metta a rifondare il partito dell’uomo qualunque: siamo lontani dai fasti di alta pasticceria, qui la sfogliatella è eseguita in maniera rudimentale, classica. Ciò non significa che il prodotto debba essere eseguito “male”. La sfogliatella riccia di Attanasio sta alla storia della pasticceria napoletana così come la pizza marinara dell’Antica Pizzeria da Michele (sede storica di Napoli) sta alla storia della pizza napoletana. Può essere la sfogliatella della vita oppure farci schifo: a voi deciderlo.

Poi, sarà che ho il cuore tenero – oppure un background palatale decisamente fondato sull’assaggio ripetuto di questo dolce, in questo luogo – ma il viaggetto dietro la stazione per la sfogliatella riccia, per me vale ancora.

Passiamo alla sorella frolla, e qui devo fare una piccola confessione: non ne sono particolarmente fan, quindi il mio giudizio potrebbe essere fazioso. La sfogliatella frolla di Attanasio sta bene nel palmo della mano, siamo sui 150 grammi di peso, con gusto complessivo buono ma non particolarmente esaltante. Pastafrolla un po’ secca che “si stacca” molto dal ripieno, un po’ come un biscotto, temperatura di servizio calda. Nettamente inferiore alla sfogliatella riccia. ma comunque di buona fattura e cottura uniforme. I principianti della sfogliatella frolla possono iniziare da qui. Costo, 1,30 euro.

Il fila dietro riccia e frolla, troviamo il babà napoletano. Sono tutti in fila in una bacinella di alluminio, immersi per metà nella propria bagna: impossibile dirgli di no.

Possente a vedersi, di colore particolarmente brunito. Non abbiamo forchette per l’assaggio, quindi punzecchiamo direttamente con un dito. La pasta risponde bene, sembra elastica, wow, forse abbiamo trovato un’altra babberia di livello: prezzo 1,50 euro, anche qui in linea con la città e la provincia.

Morso deludente: la bagna al rhum è decisamente sacrificata a fronte di una blandissima bagna quasi analcolica. Forse per far fronte ad una spesa minore, o ancora per venire incontro a gusti ed esigenze della folla multietnica che ogni giorno affolla la piccola pasticceria.

Il corpo del babà risulta secco a causa della bagna per di più non omogenea. Risultato buono invece sulla cupola, dove la pasta ben lievitata si unisce a questa bagna dolce alcol free e rende comunque il dolce passabile ed a tratti godibile.

Il poker si conclude con un assaggio di pastiera napoletana, della quale vediamo una bella esposizione nella sua forma tonda in vetrina. Chiesta la porzione, ci viene data quella cotta in teglia, cioè un rettangolo modalità pizza al taglio, ma non ci scoraggiamo: non è la forma che fa la pastiera napoletana.

Brevissimo ripasso sulla pastiera napoletana: “torta” tipicamente pasquale (ma oggi diffusa tutto l’anno), con guscio di pastafrolla e ripieno di ricotta, semolino, canditi di frutta ed essenza di millefiori. Ha una preparazione da tempi biblici, con nonne e mamme in pose da lottatori di sumo per la distesa della pettola (pastafrolla).

E’ una buona pastiera casalinga che ha fatto il bagno nell’essenza di millefiori. Molto lontana alle interpretazioni audaci che ci hanno dato i pasticcieri contemporanei (pastiera lievitata, do you remind it?), molto “casalinga” e con molte meno cose in comune con le pastiere della pasticceria contemporanea, con un costo di 2,50 euro. In virtù del suo dono da madeleine di Proust, ci sentiamo di promuoverla.

L’insieme della pasticceria, per noi, supera la sufficienza. Da andarci magari una volta, salvo poi virare altrove e porvi molte altre domande, a stomaco vuoto. A meno che non siate nei nostalgici.

Informazioni

Antico Forno delle Sfogliatelle Calde f.lli Attanasio
Indirizzo: Vico Ferrovia 1-2-3-4, Napoli
Numero di telefono: 081 285675
Orari di apertura: tutti i giorni orario continuato: 6.30 – 19.30. Chiusura il lunedì.
Sito Web: https://www.sfogliatelleattanasio.it
Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana
Ambiente: informale
Servizio: rapidissimo, cordiale.

Voto: 3.5/5

Le 10 torte più buone d’Europa e dove mangiarle

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Contenuto offerto da Holidu

Se è vero che l’essenza di un luogo spesso si trova nella sua tradizione culinaria, possiamo senza dubbio affermare che le torte riflettono la cultura delle città alle quali appartengono in un modo speciale, con i loro nomi curiosi, spesso legati a personaggi storici, storie e leggende, e i loro inossidabili legami con le festività, a loro volta estremamente diverse di Paese in Paese.

Abbiamo stilato l’elenco delle 10 torte più buone d’Europa, percorrendo il Vecchio Continente attraverso le sue torte tipiche e raccontandovi, di ciascuna, origine e curiosità. Vi diciamo anche dove mangiarle se volete vivere l’esperienza più tradizionale possibile o, invece, una merenda alternativa nella Capitale europea di riferimento. Poi, grazie ad Holidu, vi diamo anche qualche suggerimento per il soggiorno in loco.

10. Napoleonka – Varsavia, Polonia

napoleonka
La napoleonka, chiamata anche kremowka, è una torta polacca formata da due strati di pasta sfoglia con ripieno di crema. Può essere decorata con zucchero a velo o glassa. C’è una bella storia su papa Giovanni Paolo II, che si dice abbia mangiato ben 18 fette di napoleonka in una volta sola, per scommessa con un amico.

Ingredienti: farina, burro, crema, zucchero in polvere, vaniglia

Dove mangiarla: Nei caffè Lukullus, quasi ovunque a Varsavia, con tre sedi proprio in centro città (Costo: 7,90 euro a porzione). Altrimenti negli Sweet Home patisserie & cafè, “case dolci” pronte ad accogliere gli amanti delle torte con kremowka in vari gusti: fichi, cioccolato bianco o fondente, pesche, mascarpone, ciliegie e lamponi. Costo: 10 euro al chilo.

Consigli per il soggiorno: gli amanti delle torte hanno di che essere felici, perché nel centro storico di Varsavia è davvero facile trovare caffè tradizionali. Non solo la città vecchia, ma anche la Nowe Miasto (la nuova città) ha molto da offrire in termini di torte; è possibile visitare, infatti, tutte le belle chiese nei dintorni mentre vi godete la vostra napoleonka cremosa.

9. Käsekuchen – Berlino, Germania

Berlin Kaesekuchen _2 ©Holidu

La più antica ricetta della Käsekuchen è greca, ma da quando è comparsa per la prima volta nel XVI secolo, questa torta al formaggio ha conquistato tutti i cuori tedeschi. Da allora, sono state molte le varietà in tutto il paese: a volte viene preparata con un impasto lievitato, con uvetta in formaggio di cagliata, o con crema. In ogni caso risulta sempre morbida e deliziosa. Chiamatela “cheesecake”, se volete.

Ingredienti: Crema al formaggio, uova, zucchero, farina Calorie: 152 kcal / 100g

Dove mangiarla: Al Cafe Einstein di Tiergarten, a Berlino, caffetteria in stile viennese situata nella zona più tranquilla della Kurfürstenstraße. Con i suoi splendidi interni antichi e un ampio giardino per i periodi estivi, il caffè è costantemente affollato di amanti di cheesecake, servite da camerieri elegantissimi in bianco e nero. Costo: 3 € a porzione. In alternativa c’è il Cafe Dreikäsehoch di Prenzlauer Berg, dove potete trovare ben 45 varietà di Käsekuchen, per 3,90 euro a porzione.

Consigli per il soggiorno: Prenzlauer Berg, ricca di pasticcerie e caffetterie intime e alla moda, è il posto perfetto per gli amanti delle torte. L’area attorno alla Kastanienallee è tutta da scoprire.

8. Tarta de Santiago – Madrid, Spagna

Tarta de Santiago_©Holidu

Questa torta galiziana, senza una chiara origine, è diventata famosa in tutto il Paese grazie al cammino di Santiago. Essendo quindi un’icona di Santiago de Compostela viene mangiata soprattutto tra luglio e inizio agosto, durante le celebrazioni per l’apostolo Giacomo (Santiago in spagnolo) il 25 luglio. Viene menzionata per la prima volta nel 1577, ma la prima ricetta come la conosciamo oggi, senza farina e con le mandorle come ingrediente principale, risale al 1828.

Ingredienti: Uova, zucchero, mandorle, limone e cannella.

Dove mangiarla: Al Museo del Pan Gallego, pasticceria galiziana situata proprio nel centro di Madrid, per 6,50 euro a porzione. In alternativa vi consigliamo Harina, novità nel mondo delle pasticcerie di Madrid, che offre prodotti naturali e ricette tradizionali in un’atmosfera minimalista e rilassante. Costo: 4,20 euro a porzione

Consigli per il soggiorno: il centro di Madrid è la zona perfetta per i golosi, qui troverete vecchie pasticcerie, negozi di dolci e caffè in grado di soddisfare qualsiasi appetito.

7. Prinsesstårta – Stoccolma, Svezia

Stockholm Prinsesstårta_2 ©Holidu

La prinsesstårta è una torta tradizionale svedese, chiamata anche “torta verde”. La ricetta originale risale al 1929 ,ma differisce leggermente dalla ricetta odierna: ora si utilizza il marzapane, per esempio. Jenny Åkerström può essere considerata l’inventrice di questa torta: insegnante domestica, aveva tra i suoi studenti le principesse Margaretha, Märtha e Astrid, che adoravano la “torta verde”. In Svezia è un’istituzione: alla prinsesstårta dedicano una settimana e, pensate, quando nel 2012 nacque la principessa Estelle, tutte le pasticcerie del Paese finirono la torta.

Ingredienti: farina di patate, marmellata di lamponi, “crema di marsan”, marzapane verde, rose per decorare.

Dove mangiarla: Al Tössebageriet di Stoccolma, caffè classico aperto nel 1920 che ancora oggi prepara le torte nuziali per la famiglia reale. Costo: 5 € a porzione. Altrimenti ci sono le Thelins konditori, caffetterie di Stoccolma adatte sia per il pranzo che per la merenda e la spesa; tra le loro specialità, il pane fresco e, ovviamente, la “torta verde”, al 4,40 euro a porzione.

Consigli per il soggiorno: Norrmalm è un’area alla moda nel centro di Stoccolma dove è possibile fare shopping, fermarsi al Kulturhuset o visitare una bella caffetteria per una fetta di torta e un caffè. Se volete conoscere un po’ di storia svedese, Östermalm è famosa per il suo museo dedicato ai vichinghi, ma è anche una delle zone più ricche di Stoccolma con i suoi edifici eleganti e alla moda.

6. Torta caprese – Roma, Italia

Torta Caprese_©Holidu

Anche se non originaria di Roma, la torta caprese è un vero classico italiano (è la torta nazionale, o no?) e prende il nome dall’isola di Capri. Ci sono diverse storie sulle sue origini e la leggenda più famosa racconta che una principessa austriaca, sposata con il re di Napoli, volesse una Sacher. Lo chef però non ne conosceva la ricetta e decise di preparare la torta aggiungendo delle mandorle e inventando, di fatto, la caprese.

Ingredienti: Burro, zucchero, uova, cioccolato, mandorle

Dove mangiarla: Nella caffetteria Said dal 1923, nel quartiere San Lorenzo; un vero e proprio paradiso per gli amanti del cioccolato. Lì la caprese è una certezza e costa 8 euro a porzione, e potrete sbizzarrirvi con tutti i dolci a base di cioccolato. Altrimenti c’è Antico caffè Greco, in Via Condotti, seconda caffetteria più antica d’Italia. Costo: 12 € a porzione

Consigli per il soggiorno: Due delle zone più dolci di Roma sono certamente Rione I Monti e Rione V Ponte, dove si può godere di una vista romantica sul Tevere, mentre assaporate la vostra torta al cioccolato. Un panorama da togliere il fiato è quello di cui avete bisogno durante la vostra visita a Roma.

5. Victoria Sponge – Londra, Regno Unito

Victoria Sponge_4_©Holidu

Il nome di questa torta deriva dalla regina Vittoria, che amava il pan di Spagna farcito con il suo tè pomeridiano. Una tradizionale Victoria sponge viene servita con marmellata di lamponi e panna montata, che offrono dolcezza e.. calorie extra.

Ingredienti: farina, zucchero, uova, marmellata di lamponi, panna montata

Dove mangiarla: Al Park Room at Grosvenor house, caffè tradizionale con arredamento tipicamente britannico, nel pieno centro di Londra, con vista panoramica su Hyde Park. Costo: 10,70 € a porzione.

Potete spendere meno (2,50 euro a porzione), senza rinunciare allo stile britannico, alla pasticceria Primrose Bakery di Covent Garden.

Consigli per il soggiorno: Covent Garden e Soho sono le aree giuste se siete in cerca di dolci. Se amate la storia, la cultura e i caffè, camminando per Covent Garden, potrete visitare alcuni dei teatri più belli e dei caffè più antichi di Londra. Soho è l’area perfetta se volete mangiare una fetta di torta con una tazza di tè e poi andare a fare shopping nella famosa Oxford Street.

4. Bündner Nusstorte – Zurigo, Svizzera

nussertorte

La Bündner Nusstorte è una torta svizzera, proveniente dal sud-est del paese, che consiste in un impasto dolce ripieno di nocciole caramellate. Inventata dal pasticcere Fausto Pult nel 1926, si distingue dalle altre torte alle nocciole poiché in questo caso l’impasto viene riempito di frutta secca ma non mischiato con questa, come accade di solito.

Ingredienti: Nocciole, crema, farina, miele, burro Calorie: 483 kcal / 100g

Dove mangiala: Al Teecafé Schwarzenbach, tradizionale negozio di Oberdorf, fondato nel 1864 e gestito dalla famiglia Schwarzenbach da cinque generazioni.  Costo: 6 euro a porzione.

In alternativa c’è il ristorante Cafè Boy di Zuerigo; spenderete qualcosa in più (8 euro a porzione), ma proverete una nussertorte come si deve in uno dei ristoranti più chic della città.

Consigli per il soggiorno: l’area storica di Rathaus a Zurigo è piena di vita e caffetterie pronte ad accogliere gli amanti delle torte! Degustare la vostra Nusstorte con vista sul lago di Zurigo è ciò di cui avete bisogno durante il vostro soggiorno in Svizzera.

3. Toucinho do Céu – Lisbona, Portogallo

Toucinho do Céu

Il Toucinho de Céu, letteralmente “pancetta del cielo”, è un dolce tradizionale portoghese, originario del convento di Odivelas, vicino a Lisbona. Si tratta di una torta a base di zucchero caramellato e uova, alla quale vengono aggiunti mandorle, una speciale marmellata portoghese (la Gila) e tuorli d’uovo. Deve il suo nome al lardo, che veniva utilizzato come ingrediente principale. Le variazioni più conosciute, rispetto alla ricetta originale, si chiamano Toucinho di Guimarães, Murça e Trás-os-Montes.

Ingredienti: zucchero, mandorle, tuorli d’uovo, farina, burro.

Dove mangiarla: Naturalmente alla Pastelaria Faruque, proprio di fronte al convento di Odivelas, dove il toucinho è stato inventato. Tra l’altro è possibile visitare il convento, apprezzando la bellissima architettura di questo importante luogo religioso, classificato dal 1910 come monumento nazionale. Costo: 1,50€ a porzione.

In alternativa vi suggeriamo la Pastelaria Versailles, uno dei caffè più chic di Lisbona, fondato nel 1922 da Salvador Antunes, un portoghese innamorato dell’art nouveau che ha imparato l’arte della pasticceria in Francia. Costo: 2,90€ a porzione

Consigli per il soggiorno: L’Alfama è uno dei quartieri più caratteristici di Lisbona e qui potete trovare alcuni caffè molto particolari, nei quali è possibile non solo assaggiare alcune delle migliori torte di Lisbona, ma anche ascoltare il Fado, un genere di musica tradizionale, godendosi una vista mozzafiato sul castello di Sao Jorge.

2. Tarte au citron meringuée – Parigi, Francia

Paris Tarte au citron

Nonostante sia il dolce più venduto in Francia, la tarte au citron viene rivendicata da molti altri paesi. Potrebbe essere francese, inglese, americana o addirittura svizzera, ma a noi piace pensare che provenga da Menton, la città dei limoni. Il perfetto equilibrio tra l’asprezza del limone e la dolcezza della meringa ha conquistato il cuore dei nostri vicini francesi già dal 19esimo secolo.

Ingredienti: burro, limone, zucchero, uova e farina.

Dove mangiarla: Alla patisserie Gérard Mulot, come vuole la tradizione, per 4 euro a porzione. Altrimenti al Salon KL Patisserie, dove chef pasticcere Kevin Lacote ha reinventato la famosissima tarte au citron, creando una vera e propria opera d’arte, che viene preparata “a vista”, di fronte ai clienti. Costo: 6,50€ a porzione.

Consigli per il soggiorno: Ci sono tantissimi quartieri parigini per gli amanti delle torte. Se cercate un posto esclusivo, le Monnaie può fare al caso vostro. Dall’altro lato della Senna, nel centro di Parigi, potrete trovare i migliori caffè nel secondo distretto. Una buona alternativa è anche il nono distretto, in prossimità del centro città, con una vasta scelta di caffè più alla mano.

1. Sachertorte – Vienna, Austria

Vienna Sachertorte

Al primo posto non poteva che esserci Vienna, con la sua fantastica Sachertorte. La Sacher è la scelta perfetta per tutti gli amanti del cioccolato ed è una delle specialità culinarie più famose di Vienna. La leggenda narra che sia nata nel 1832, in occasione di una cena importante alla corte austriaca. Proprio quella sera lo chef si ammalò e quindi toccò al giovane Franz Sacher, ancora apprendista, occuparsi del dolce. Si dice che il Cancelliere austriaco Von Metternich disse “Non farmi vergognare questa sera!”. Con questa enorme responsabilità sulle spalle, Franz creò quella che oggi è conosciuta in tutto il mondo con il nome di Sacher. Quarant’anni dopo Eduard Sacher, figlio di Franz, inaugurò il famosissimo Hotel Sacher a Vienna, dove ancora oggi si può degustare la migliore Sacher al mondo!

Ingredienti: farina, zucchero, uova, marmellata alle albicocche e glassa al cioccolato.

Dove mangiarla: Al Café Sacher se volete assaggiare una sacher secondo la ricetta tradizionale. Ogni anno, da 180 anni, vengono vendute ben 360.000 fette di questa fantastica torta (al costo di 6,70€ a porzione). Se però cercate un posticino più economico e fuori dal comune, il Vollpension Wien è un must graziosissimo. Costo: 3,90€ a porzione

Consigli per il soggiorno: il centro storico di Vienna, partendo dallo Staatsoper fino ad arrivare alla cattedrale di St.Stephen e a Schottentor è la zona perfetta per gli amanti delle torte.

Pasticceria De Vivo a Pompei: recensione

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Abbiamo visitato la Pasticceria De Vivo a Pompei, in provincia di Napoli. Pasticceria storica in una città molto importante, di recente ha molto fatto parlare di sé per la consulenza del pastry chef Maurizio “Black” Santin. Siamo andati a vedere com’è la situazione; ecco la nostra recensione.

Tre milioni e settecentomila visitatori: questi i numeri che, all’incirca, ha prodotto la città di Pompei nel solo anno 2018. La piccola città fondata dagli Osci nell’VIII secolo a.C. fa tanti visitatori quanto una piccola capitale europea, rendendola negli anni una meta decisamente appetibile per fare investimenti nel campo dei servizi. La storia di questa città non devo dirvela io ma – dlin dlon, momento pubblicità per la Campania – camminare letteralmente in mezzo al museo all’aperto più grande del mondo è un’emozione che non va via sin da quando marinavo il liceo per venire qua.

Proprio nel bel mezzo di Via Roma, strada centralissima, c’è la nostra meta: la Pasticceria De Vivo dal 1955. Nel marasma dei ristoranti spenna-turisti, questa pasticceria è sempre stato un angolo ameno dove mangiare una buona sfogliatella, un buon babà, anche acquistare del pane, vista la tradizione da panificatori, oltre che mangiare un gelato, cosa che noi per il momento abbiamo tralasciato.

Conoscevo già la pasticceria De Vivo per i grandi lievitati; molte volte noi cronisti di infiniti concorsi di panettoni, abbiamo assaggiato i loro lavori. Toccandola piano, possiamo dire che si sono voluti distinguere nella singolar tenzone delle stramberie del panettone. Opera loro, ho avuto occasione di assaggiare il PanCarciofo (con i carciofi di Pertosa) e il PanCassata (panettone ripieno di crema con ricotta e canditi); assaggiato anche il panettone classico, che merita di sicuro un passaggio degno di nota nella nostra via Crucis del panettone.

Da un po’ è pubblicizzata la collaborazione con il pastry chef Maurizio Santin che, dopo la lunga collaborazione al Caffè Spinnato di Palermo, entra a capo della brigata di pasticcieri pompeiani. Figlio di Ezio Santin – patron del ristorante Antica Osteria del Ponte – e forse ancora più famoso per essere il volto di innumerevoli trasmissioni televisive. Mi sono arrivate voci di vere e proprie orde di fangirl, i primi giorni di lavoro a Pompei, che cianciavano per foto ed autografi. Idolatrie moderne per il Corsaro Nero.

Ambiente. Mood

C’è da dire che la Pasticceria, nella centralissima Via Roma, si fa notare: sin dall’esterno si vedono arredi di un vistoso oro, forse una reminescenza non particolarmente riuscita dei fasti romani. Capitiamo qui in una domenica di maggio: pasticceria affollata e vetrine dei dolci decisamente cariche. Sebbene particolarmente frequentato e la pioggia battente, il locale è pulito, così come i tavoli e i servizi.

Tutti i dolci esposti recano i cartellini con i rispettivi prezzi: obbligatorio per velocizzare le operazioni in una zona così densamente turistica. Per i dolci classici si parte da 1,80 euro, passando per i 3,00 dei dolci super-farciti, arrivando ai 4,00 euro delle monoporzioni griffate. Notiamo subito la doppia formula per l’utilizzo dei tavoli: se si prendono le cose self service, il prezzo resta invariato. Se si decide di farsi servire dal personale, il rincaro va dai 0,50 ai 0,70 cent a pezzo.

Il lato caffetteria – che presenta unicamente il caffè tipo espresso napoletano – funziona benissimo: avremo contato, in circa un’ora, almeno 70 caffè serviti. E, vi sorprenderà: è anche buono, non bruciato e lievemente tostato, servito in tazza calda ma non ustionante.

I grandi classici da De Vivo a Pompei

Partiamo decisi con l’assaggio del babà classico al rhum: il prezzo al banco è di 1,80 euro, rincarato al tavolo a 2,50 euro. Servito “nudo” , con una posata dorata, che ci serve da subito per punzecchiare il nostro. La pasta del babà ci risulta leggermente con consistenza da brioche, con una presenza meno marcata di uova. Alla pressione, la stessa pasta è sufficientemente elastica e rilascia poca bagna nel piatto. L’odore è zuccherino e lievemente alcolico.

Il resto, ve lo diciamo subito: il babà è volato via in quattro morsi. Complice la consistenza, il sapore non troppo dolce, la bagna – ragazzi, la bagna! Finalmente ho trovato quella equilibrata, quella che sta nel perfetto mezzo tra alcol test e prova della glicemia – il babà classico della pasticceria De Vivo si lascia mangiare. Infatti, vediamo stranieri in infradito e in piedi divorare avidamente sia di quelli classici che i superfarciti.

Questa è una recensione vera, a malincuore dobbiamo dire anche quello che non va. Senza suspance, la sfogliatella frolla non ci è piaciuta molto: costo al banco di 1,80 euro, servito 2,30 euro. Il guscio è friabile e profumato di vaniglia, il problema è nel ripieno: l’amalgama interna ci risulta pastosa e di difficile deglutizione, sebbene il sapore resti comunque buono, con prevalenza di crema pasticciera. Torneremo per assaggiarla in condizioni diverse, per ora documentiamo quello che abbiamo testato.

Un po’ delusi dalla prova della frolla, cerchiamo la consolazione con la sfogliatella riccia. La cornucopia qui è regolare, con chiusura da maestro, cottura spinta e voluttuose ondine di sfoglia fanno salivare allo sguardo. Al morso, qui ritroviamo un ripieno più consistente e granuloso, piacevole da mangiaree non stucchevole di consistenza, decisamente un’altra storia rispetto alla frolla. Anche qui il prezzo è di 1,80 euro al banco, servito al tavolo 2,30 euro. Nota: entrambe le sfogliatelle ci sono state già servite con abbondante zucchero a velo senza che ci fosse chiesto; vi consigliamo – qualora non sia di vostro gradimento – di comunicarlo in anticipo al personale di sala.

Le monoporzioni griffate di De Vivo

Chiediamo al personale di sala “quali” fossero i dolci ricreati o creati dal pastry chef Santin, da perfetti niubbi. Con gentilezza, veniamo indirizzati verso una serie di preziose e ponderate (di peso) monoporzioni. Ne scegliamo due: monoporzione di torta Setteveli ed una di cheesecake ai frutti di bosco. Prezzo, 4,00 euro cadauno al banco, con il servizio al tavolo 4,50 euro.

Addentiamo per prima la setteveli, con una glassa a specchio che a volerci possiamo rifarci trucco e parrucco specchiandoci dentro, così specchio che non riuscivo a far la foto. Bellissima ed elegante a vedersi, con una nocciola dorata a mo’ di decorazione, molto piccola (ad occhio, peso sugli 80-100 grammi… piccola per la pasticceria napoletana, insomma), adagiata su un piccolo supporto di plastica ed ancora su un piatto. Si taglia come burro, manco a dirlo, con gli strati tutti ben visibili. Il sapore non è stucchevole, neanche la sete è stata troppa dopo questa bombetta di cioccolato. Diciamo che la dose massima consigliata è una mezza porzione.

Molto “simpatica” invece la cheesecake ai frutti rossi: la mousse è di un bel rosa, sormontata da una mora, piazzata anch’essa sul supporto di plastica. La una mousse di formaggio nasconde il fondo di biscotto e la crema di frutti rossi. Una cheesecake adagiata sui gusti italiani, l’acidità del formaggio è ben stemperato senza sacrificare troppo l’ingrediente principale. Buono e voluttuoso il biscotto, sebbene ci sembri sottile, ne avvertiamo bene la grassezza del burro. La cheesecake , a causa della temperatura esterna calda, tende a scivolare presto verso il fondo, dalla foto si vede. Qui è davvero facile consumare la porzione intera, anzi, c’è da dire che è un dolce che ne chiama subito un altro, la decina di euro scivola via facile al tavolo.

La votazione sulla pasticceria e sui prodotti proposti è più che positiva: ci troviamo davanti ad una realtà che ha deciso di non svendersi al turismo di massa semplificando i prodotti ma – grande nota di merito – la famiglia De Vivo cerca tutti i giorni di migliorarsi, anche avvalendosi di consulenze costose ed importanti, piazzandosi esattamente a metà tra “ciò che vuole il turista” e “ciò che vuole l’avventore mio”. Torneremo per la sfogliatella frolla.

Informazioni

Pasticceria De Vivo dal 1955
Indirizzo: Via Roma 56, Pompei (Napoli)
Numero di telefono: 081 863 1163
Orari di apertura: tutti i giorni orario continuato: 5.30 – 23.00. Chiusura settimanale: No.
Sito Web: https://www.lapasticceriadevivo.it
Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana, italiana, con incursioni estere
Ambiente: informale
Servizio: rapido, cordiale

Voto: 4.00/5


Pasticceria Sirica a San Giorgio a Cremano, Napoli: recensione

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Siamo andati alla Pasticceria Sirica di San Giorgio a Cremano, alle porte di Napoli. Qui Sabatino Sirica da quattro decenni e rotti sforna dolci della tradizione napoletana e, per la cronaca, rifornisce da trent’anni il Calcio Napoli. L’abbiamo provata per voi: ecco la nostra recensione

San Giorgio a Cremano merita di passare alla storia almeno per due cose: Massimo Troisi, che a San Giorgio ci nacque, e la pizzeria dei fratelloni Salvo. Nonostante i natali illustri e una pizzeria che possiamo facilmente identificare come quella che tra le prime ha dato lezioni al mondo su come si gestisce una sala in pizzeria e di carta dei vini, San Giorgio a Cremano non ha molte altre amenità. Un paese come altri, alle porte di Napoli, collegato con la città e la famosa penisola sorrentina grazie alla Circumvesuviana, presente ad honorem tra le dieci linee ferroviarie peggiori d’Europa per ritardi e guasti.

Però, se non ci fosse stata la Circumvesuviana nella mia vita, quante cose sarebbero diverse. Tornando a San Giorgio a Cremano, la mia lista delle cose che rendono San Giorgio a Cremano Località Meritevole sale a tre: inserisco anche la Pasticceria Sirica, dell’omonimo maestro Sabatino Sirica, che dal 1976 opera nel territorio cittadino sfornando amenità della pasticceria classica napoletana ed italiana in generale.

Come ci sono arrivata qui?

  • Sabatino Sirica è da oltre trent’anni il pasticciere ufficiale del Calcio Napoli. Sì, lo so, anche a me sembrava strano: però poi mi sono fatta due conti, ho passato in rassegna tutte le comparsate dei giocatori soprattutto in pizzerie di grido e patinati ristoranti di sushi e ho deciso che non doveva sembrarmi una cosa così strampalata. Cosa che mi ha fatto sentire anche meno in colpa dopo aver ingurgitato una quantità poco consona di dolci;
  • Sabatino Sirica è originario dell’Agro-Sarnese Nocerino, terra natia anche del maestro Alfonso Pepe;
  • La sua bravura è confermata dalla folla di appassionati e passanti: un pellegrinaggio che inizia col babà, passa per la sfogliatella riccia, finisce con la frolla, come una preghiera. Nell’intermezzo, qualche pasta piccola per distrarre il palato.

A vederlo sembra un ragazzino questo signor Cavalier Sirica, nove volte su dieci lo trovi a saltellare tra il banco della pasticceria e l’attiguo laboratorio, con i capelli bianco elettrico e camice lungo da lavoro. Il fatto che sia sempre e perennemente lì è alquanto importante per quanto ci riguarda: con una percentuale molto prossima al 100% mangi un dolce supervisionato oppure fatto con le sue mani, alla faccia del “ma-quando-mangi-il-dolce-di-una-pasticceria-non-mangi-un-dolce-fatto-da-chi-ci-mette-il-nome”.

Ambiente. Mood.

L’insegna “Pasticceria Sirica dal 1976” ci dice praticamente tutto dell’ambiente in cui ci troviamo varcando la soglia. Vi dirò: non mi sarei stupita se entrando avessi sentito risuonare nell’ambiente La mia estate con te di Fred Bongusto, che girava – mi dicono – continuamente per le radio dell’epoca, decisamente carica di stucchevolezze.

L’ambiente è piccolo: c’è un solo bancone centrale, due ingressi con due tavolini – abbastanza scomodi – per appoggiarsi..pur sempre qualcosa. Una classica pasticceria d’asporto, sebbene preveda – con tutta la gentilezza del caso – la possibilità di consumare in loco i dolci serviti su salviette da bar oppure contenitori di plastica che Greta scànsate proprio.

Sulle pareti e nelle vetrinette ritroviamo un bel po’ di quel Neapolitan Sounding – in questo caso autentico – che tanto piace ancora all’estero e che qua ha un po’ perso mordente, per fortuna.

Trofei, premi conquistati, la presenza su innumerevoli guide, le maglie d’epoca dei calciatori della società partenopea, addirittura un Sabatino fatto dai maestri artigiani napoletani.

Insomma un presepe.

Non è presente un menu dei dolci da poter consultare; i preziosi sono esposti al banco e potete chiedere di volta in volta i prezzi al personale, che merita una menzione per la velocità e la cordialità.

In linea di massima si spazia dai 50 centesimi per i pezzi di pasticceria mignon ai 2,00 euro dei dolci più complessi. Non c’è – purtroppo – la caffetteria. Prevista la vendita di alcuni liquori, sia nazionali che locali, come ad esempio il famosissimo Strega di Benevento in bottiglie dal sapore vintage.

La Via Magna: Sfogliatella riccia, frolla, babà classico

Posso quasi dire di aver compiuto quaranta e rotti chilometri per mangiare in piedi lei, la sfogliatella riccia di cui tanto si parla. E, devo dire, giustamente. Grandezza e peso giusti, senza eccedere, un equilibrio sostanziale nella forma; un rigore che francamente apprezzo molto e che molto si è perso nella pasticceria classica napoletana. La sfoglia non rilascia un’untuosità eccessiva, il che la rende perfetta da mangiare, la temperatura di servizio è tiepido andante al caldo, si può procede col morso. Servita con poco zucchero al velo, serve un lavoro di denti preciso per addentare la sfoglia corpulenta e il ripieno. Non stucchevole in dolcezza, un dolce d’antan, tra le migliori sfogliatelle ricce mai mangiate, con un ripieno a grana grossa che dà una decisa soddisfazione ai voluttuosi della sfogliatella come me. E poi, vogliamo mettere il prezzo? Si piazza ad 1,20 euro: almeno di dieci centesimi al di sotto della media.

Proviamo quindi la sfogliatella frolla. Prezzo di cartello, sempre 1,20 euro; in questo caso ci viene servita con la cupola della pastafrolla un po’ crepata, cosa che col senno di poi ci rendiamo conto essere un bene. I vapori contenuti all’interno fuoriescono velocemente, dandoci una temperatura appena calda, ottima per poterla gustare. La pastafrolla di questo dolce ha un odore vanigliato, quasi da biscotto, non volgare. Accoglie bene il ripieno che qui riusciamo a gustare con maggior piacere, vista la semplicità del guscio. Si distingue meglio la percentuale pressoché prossima alla perfezione di semolina e ricotta, della giusta consistenza. Bello a vedersi anche il filetto d’arancia, che ci capita sottile e lungo.

Passiamo quindi al babà al rhum, altra prova del nove della pasticceria classica; babà che qui troviamo proposto all’ormai solito prezzo di 1,20 euro, in una vaschetta di plastica. Il babà di Sabatino Sirica è leggermente più piccolo e grazioso rispetto ad altri, la cupola è decisamente poco pronunciata ed il colore è particolarmente brunito, uniforme. Non abbiamo a disposizione forchette, quindi passiamo alla prova del dito: la pasta, alla pressione, torna facilmente elastica, rilasciando poca bagna. Segue morso: la bagna messa in maniera parsimoniosa si rivela appena più analcolica del dovuto, ma la pasta si rivela ottima, leggera, con un colore leggermente più carico dato dalle uova. In fase di espirazione, la bagna presenta la nota alcolica. Manifattura che più classica non si può.

Cabaret di dolci mignon: codina, caprese, pastiera

Un po’ demodé – in asset completo con l’ambiente circostante, mi viene da dire – qui vanno fortissimi i dolci mignon, il cosiddetto cabaret di paste piccole: il cartoccino che nelle domeniche di indecisione e morigeratezza accontentava tutti, con dei pastrocchi finto gourmet e delle perle di rara bontà. Ci ritroviamo così tra le mani una codina d’aragosta, che sarebbe una sfogliatella riccia formato mignon, con la cosa allungata e ripiena di crema diplomatica; una capresina, cioè una torta caprese in miniatura, dalla bontà celestiale. Commovente trovare qualche pepita di cioccolato fondente, mischiato qua e là con sapienza in un dolcino dal diametro poco più grande di una moneta. In ultimo, una pastierina napoletana di buona fattura tradizionale, col guscio spesso ed un ripieno dove si vede e si sente bene il grano cotto. Attendiamo di riprovare quella in versione grande. I dolci formato mignon costano 18,00 euro al chilo; i pezzi singoli devono essere pesati e si aggirano intorno ai 50 centesimi di euro l’uno (!, prezzi da prima decade del Duemila, insomma.)

Giudizio globale: la pasticceria soddisfa ampiamente le nostre aspettative di classica pasticceria napoletana, sia per quanto riguarda la fattura dei dolci, che per il servizio cordiale. Peccato sia un “semplice” locale d’asporto e non permetta ai clienti di sostare per godere di più dei dolci proposti. Dopotutto, si sa: l’artigiano ha per lo più una bottega, non una boutique; qui ci troviamo nella più classica delle botteghe.

Informazioni

Pasticceria Sirica dal 1976
Indirizzo: Via Francesco Cappiello, 55, San Giorgio a Cremano (Napoli)
Numero di telefono: 081 2551672
Orari di apertura: lunedì-sabato: 8.30 – 19,30, domenica 8.30-14.30. Chiusura il martedì.
Sito Web: https://www.pasticceriasirica.it
Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana
Ambiente: informale
Servizio: rapido e cordiale

Voto: 4.00/5

Gran Caffè Napoli 1850, Castellammare di Stabia: recensione

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Siamo stati al Gran Caffè Napoli 1850 a Castellammare di Stabia, Napoli; caffetteria e pasticceria storica della cittadina che fa da avamposto alla costiera sorrentina. Da circa un anno è in forze qui Angelo Mattia Tramontano, ex pastry chef del Danì Maison ad Ischia, ristorante due stelle Michelin, guidato da Nino di Costanzo. Abbiamo visitato la pasticceria e degustato alcune proposte: ecco la nostra recensione.

Pasticcerie in Campania: certo, vi state scapicollando insieme a me in un viaggio insolito e forse banale allo stesso tempo. Vi ringrazio in ogni caso, vi ringrazia anche la mia auto per tutti i km fatti e vi ringrazia pure il nutrizionista, di cui non vi mostrerò la fattura.

Fare qualità in una pasticceria, in Campania, per fortuna non è l’eccezione ma la regola. Una regola anche un po’ piatta, volendo. Quello che manca spesso in questa pasticceria partenopea è un po’ di “identificazione”, una sorta di trademark, un po’ di pensiero articolato, che esso ci piaccia oppure no. Ascoltando i consigli dei vari foodie, questi mi distraggono dal centro cittadino. Napoli, no, Napoli no, vai a Castellammare di Stabia, al Gran Caffè Napoli.

Castellammare di Stabia è una città ricca, pure bella: se in passato le terme di Stabia ed una posizione a dir poco favorevole la resero meta appetibile dei ricchi patrizi per le loro vacanze, oggi la stessa posizione fa gola a chi vuole abitare ad un passo da Napoli e dalla costiera sorrentina. Da un po’ ha ripreso vita questo storico caffè cittadino, soprattutto grazie all’ingresso di un giovane pasticciere, Angelo Mattia Tramontano.

Angelo Mattia Tramontano, informandoci un po’ su di lui, è praticamente giovanissimo: 31 anni, un po’ di palestra su e giù per l’Italia, soprattutto nella pasticceria da ristorazione. La tappa più importante è al Danì Maison di Ischia, ristorante bistellato Michelin, dove resta poco più di un anno. Subito dopo qualche tappa Oltralpe, da Jacques Genin e subito dopo si ritorna in Costiera. Belle speranze e capacità il ragazzo, che per ora gioca il ruolo del mediano.

Gran Caffè Napoli 1850: Ambiente, mood.

Se c’è un difetto di questa Castellammare è decisamente il traffico; il Gran Caffè Napoli è praticamente in un nodo nevralgico e centrale della città; diciamo che per raggiungerlo, dovrete – al 99% – armarvi di una buona dose di pazienza e ficcarvi nel traffico suburbano napoletano: vi farà rimpiangere il GRA, ve lo dico.

La caffetteria/pasticceria fa angolo tra Piazza Principe Umberto e Via Mazzini; come suggerisce il nome, apre i battenti nel 1850 con il precoce nome di “Caffè di Europa”, un nome che farebbe impallidire i sovranisti di oggi; qui, leggiamo dal sito internet, la belle epoque soleva prendere caffè e discutere degli argomenti più vari. Ad inizio Novecento, diventa il Gran Caffè Excelsior per poi diventare definitivamente il Gran Caffè Napoli nel 1923. Dopo essersi unificato lungamente nel mare magnum delle caffetterie-pasticcerie “buone ma niente di eccezionale”, da circa un anno una cordata di imprenditori locali ha deciso di dare una spolverata a questo luogo storico.

Una veranda con molti posti a sedere è l’anticipo di una sala con banconi per la caffetteria e l’asporto dei dolci, che non hanno i prezzi esposti ma soltanto i nomi; un’altra sala più appartata è quella interna, con le sedute. Molto bello l’utilizzo dei colori ed anche la volta del soffitto, lasciata con i decori degli interni storici. In un futuro molto prossimo, la struttura dovrebbe funzionare anche come bistrot, fornendo una carta dei dolci per degustazione dedicata.

Il servizio è formale, più di altri posti simili che abbiamo visitato; il menu presenta una sezione caffetteria, con il caffè ad 1,50 euro (rialzato a 2,00 nelle ore serali). Una sezione è dedicata alle monoporzioni, con un “Giornaliero” preparato secondo le disponibilità del giorno a 5,50 euro, stesso prezzo delle altre subito dopo. Presenza marcata delle mousse tra i dolci e dei dolci tradizionali da colazione e da banco, come il cosiddetto fazzoletto stabiese, una sorta di fazzoletto di pastasfoglia ripieno di crema.

A tutte le unità, ripeto, a tutte le unità: qui il caffè (espresso napoletano, si intende) è molto buono, in barba a chi già ci aveva dati schiavi di Report: non bruciato, piacevolmente tostato e leggermente più lungo della media, servito in tazza con monogramma del locale. Ad avercelo sotto casa.

Pastiera a modo mio: tu, hai bisogno di un nome.

Definita “a modo mio” sui social, sullo scontrino “Pastiera GCN” (Gran Caffè Napoli) pastiera mia, tu hai bisogno di un nome: anche perché, benedetta quella sirena che miscelò gli ingredienti e creò questo dolce (così dice la leggenda), ma tu – pastiera di Angelo Mattia Tramontano – puoi tranquillamente diventare un classico contemporaneo della pasticceria partenopea. Un guscio di pastafrolla dove il burro è grasso ben bilanciato con il pizzicore del sale, si sente bene, da mangiare anche nuda. L’interno ha alla base crema pasticciera, subito sopra semifreddo alla pastiera (cioè con ricotta e grano cotto, il classico ripieno della pastiera napoletana), glassa e chips di arancia. Bello l’impiattamento, con decorazione di glassa alla fragola e frutta di stagione. Da asporto, la pastiera rivisitata viene 3,50 euro. Al tavolo, 5,50 euro.

Banalotta potrà sembrare, e invece secondo me Angelo Mattia Tramontano ha fatto un grande centro: restituire grande dignità, una golosa dignità direi, ad ogni parte della pastiera napoletana, senza nemmeno ingegnarsi troppo. Un dolce che può rientrare pienamente nei gusti un po’ barocchi dei napoletani senza per questo cadere in stucchevolezze tipiche della nostra pasticceria. Piacevole anche il gioco di temperature e consistenze, che varia dalla pastafrolla alla crema al semifreddo. Insomma, un dolce molto ben riuscito, però gli manca un nome. E forza Angelo, su.

Sfogliatella riccia, frolla, babà al rhum

Una carrellata rapida dei dolci tradizionali si è fatta, anche se già la pastiera valeva la visita. Nella sfogliatella frolla si sente particolarmente la mano tradizionale, con una pastafrolla napoletana molto carica di grasso animale (sugna e burro), forse da rivedere un po’ per darle quel tocco personale, che già è stato raggiunto con il ripieno. La sfogliatella frolla, infatti, acquista un carattere che la distingue da molte altre provate grazie ad una sostanziosa presenza della buccia dei limoni sorrentini, qui abbontamente grattugiata, che dà un deciso tono e vivacità ad un dolce altrimenti eccessivamente grasso e sostanzialmente “piatto”. La personalità di questa frolla va premiata, che è anche dalle dimensioni generose, servita con una temperatura di servizio tiepida andante al caldo. Il prezzo al banco è di 1,50 euro, al tavolo di 2,00 euro.

L’equilibrio che manca nella frolla è stato raggiunto con la sfogliatella riccia: buono il ripieno di sola ricotta e semolino, dove si intravedono qua e là dei cubetti di cedro fresco candito, una rarità quasi in questa pasticceria partenopea dove si preferisce un più servile candito d’arancia. Sfoglia dal crunch consistente, non per i paurosi delle briciole, viene via con un sonoro crack al morso.A vederla, è voluttuosa, ben chiusa, brunita e già servita con zucchero a velo e temperatura sul caldo. Non dispiace – nemmeno nel caso della frolla – questa modalità di servizio, visto che non sono eccessivamente zuccherine. Anche qui, prezzo di 1,50 al banco e di 2,00 euro al tavolo.

Concludo il trittico con un babà napoletano al rhum. Dimensioni decisamente aggraziate per questo babà, che lo rendono signorile ed altezzoso, con decorazione anche qui di glassa alle fragole e bacche. Alla prova forchetta, la pasta è abbastanza elastica e trattiene bene la bagna, che non cola inondando il piatto (grande merito a mio parere). Al morso, la pasta si scioglie ed in fase di espirazione si sente bene la nota alcolica della bagna ma – sorpresa! – qui riusciamo a distinguere alcune delle note delle spezie messe in infusione nella bagna. Primi tra tutti, distinguiamo benissimo i chiodi di garofano. Un bel dolce, insomma, esteticamente ben presentato, dimensioni ragionevoli e soprattutto non sciocco, anche qui l’equilibrio ed il “passo oltre” è raggiunto senza difficoltà. Prezzo al banco 2,00 euro, al tavolo rincarato a 3,00 euro.

Giudizio globale: Il Gran Caffè Napoli è un locale bello, accogliente, che gira come dovrebbe girare un locale che porta sul bavero le medaglie della storia. L’imprinting del pasticciere Angelo Mattia Tramontano si fa vedere, ma deve – a mio parere – ancora emergere del tutto. Dev’essere dura prendere le redini di una pasticceria storica, allontanarla da alcune pacchianate e farla camminare sul filo di una pasticceria da risorazione stellata, dove spesso vediamo delle espressioni di questa arte che vorremmo rivedere in una pasticceria normale, e di solito non capita. C’è ancora molto da lavorarci, ma capitando – per caso, o con visita programmata – al Gran Caffè Napoli 1850, il cliente avrà comunque un’esperienza “diversa” dalla media, che resta  eccellente, della pasticceria campana.

Informazioni

Gran Caffè Napoli 1850
Indirizzo: Piazza Principe Umberto/Angolo Via Giuseppe Mazzini, Castellammare di Stabia, Napoli
Sito: www.grancaffenapoli.it
Orari di apertura: tutti i giorni, orario continuato 6.30-1.00
Tipo di cucina: pasticceria italiana con incursioni europee
Ambiente: semi-formale
Servizio: rapido, cordiale
Voto: 4,2/5.00

Voto: 4.2/5

Dove mangiare e bere a Budapest: mappa gastronomica della città per viaggiatori

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Viaggiare è camminare, vedere, assaggiare: la gastronomia è finestra privilegiata sulle tradizioni e la vita quotidiana degli altri. Ecco perché, in occasione di un recentissimo viaggio, in poco più di tre giorni ho tracciato sulla mappa cittadina dei posti in cui mangiare e bere a Budapest.

A cavallo del Danubio, una stella di traiettorie a molteplici punte, fatta di pasticcerie, wine bar, hamburger, ristoranti ungheresi, goulasch (ma sarebbe meglio dire pörkölt!), piatti kasher e birre artigianali, bevute nei pub fighetti, e birre scadenti bevute nella caotica gioia dei ruin bar; il tutto condito da un’abbondante ricerca pre-partenza per esplorare nel poco tempo che ci siamo concessi una lista di indirizzi il più possibile “sgamati”, o come si dice se si è molto globalisti-viaggiatori-anglofili, off the beaten path.

Vi raduno i miei elenchi, divisi per categorie: ecco dove mangiare a Budapest se avete tre giorni di tempo (facciamo una settimana, per gli stomaci nomodotati)

Pasticcerie e colazioni

Budapest è una delle città, insieme a Praga e ovviamente a Vienna, in cui più si respirano i residui della grandeur imperiale asburgica – anche in termini gastronomici. Non manca quindi una tradizione di pasticcerie d’origine Sette-Ottocentesca, con i capisaldi delle produzioni mitteleuropee declinati in varianti locali dal gusto deliziosamente aristocratico; offerte in sale da caffè – o cukrászda – condite di boiserie, volute rococò, poltrone imbottite e cristalli di Boemia.

A queste si affiancano realtà di estrazione decisamente diversa, bakery d’ispirazione statunitense hipsteriana e sane vie di mezzo, che recuperano i prodotti della tradizione per riproporli in chiave contemporanea.

Per le cukrászda: impossibile non nominare Gerbeaud, al centro del fervore commerciale di Pest, e Ruszwurm; a pochissimi passi dalla Chiesa di Mattia e dal Bastione dei Pescatori di Buda.

Gerbeaud è il tipo di locale leggendario che ogni città degna di questo nome può vantare: caffè di grande lusso inaugurato nel 1884 dallo svizzero Emile Gerbeaud, che vi inventò cose mirabolanti come il konyaksmeggy (dolce di ciliegia sotto spirito racchiusa in un guscio di cioccolata – e sì, l’ungherese è una lingua davvero improbabile).

Qui si respira una sofisticata atmosfera fin de siècle, l’offerta di pasticceria è varia e carissima (per noi l’equivalente di 33€ in fiorini ungheresi per due tranci di torta e due bevande), oltre che nettamente non all’altezza delle aspettative. Non ci troverete locals: sono stati fatti fuori dall’aumento vertiginoso dei prezzi. Vale un salto per i meriti storici.

Da Ruszwurm l’offerta è analoga, ma a prezzi decisamente più abbordabili, nonostante la posizione spiccatamente turistica: disponibile le classiche Esterházy, Dobos e molte altre torte “signature” di fattura eccellente, unitamente a una selezione viziosa di bevande fredde e calde (PS: lo sapevate che gli Ungheresi nutrono una vera e propria ossessione per le limonate?).

Su tutt’altro registro, il BITE Bakery Cafè presente in due sedi (peraltro molto vicine, Kiraly Utcá nel cuore della movida del vecchio ghetto ebraico, e Teréz körút, affacciato sulla centralissima Oktogon) è il vostro adorabile hipster shop di quartiere; specializzato in cinnamon e cocoa roll soffici, coccolosi e grandi come materassi: la versione “mini” sarà più che sufficiente a regalarvi una colazione soddisfacente.

Disponibile anche un’ampia selezione di preparazioni salate (pretzel, panini, toast) e di bevande calde e fredde; dalle preparazioni di caffetteria di scuola italiana a quelle più americanizzanti, fino agli shake e alle immancabili limonádé.

A poche centinaia di metri dal BITE di Kiraly ut., in Kertész utca, Strudel Hugó propone innumerevoli variazioni sul tema, indovinate un po’, degli strudel; interpretati in chiave ungherese farcitissima.

Una pasta fondente dalla buccia croccante racchiude una dozzina di differenti ripieni dolci e salati, dal classico austriaco con mele, uvetta e cannella, alla ricotta turó e amarene o alla composta di albicocche (il migliore per distacco tra quelli provati), fino ad arrivare alle varianti con broccoli e bacon di mangalica. Offre servizio di caffetteria.

Impossibile non nominare, infine, i kürtőskalács (“dolci a camino”); forse secondi per rapidità di associazione gastronomica con l’Ungheria solo al goulasch. Strisce di un impasto simile al pane al latte vengono avvolte attorno a uno spiedo e passate nello zucchero, in seguito cotte – tradizionalmente su fuoco di carbonella – diventando una sorta di “tubo”, con lo zucchero che caramella in una crosticina deliziosa, ed infine arricchite con un passaggio in guarnizioni extra (noci, mandorle tritate, cocco rapé, codette di cioccolato).

Nonostante a Budapest sia effettivamente impossibile trovare dei kürtőskalács cotti alla brace, se non in occasione di speciali festival estivi all’aperto, il negozio più quotato in cui acquistarne una versione cotta in forno elettrico è Molnár Kürtőskalács, in Vaci Utca. Le torte-camino di Molnár sono effettivamente molto buone, un dolce-non dolce in cui la sottile croccantezza e la zuccherinità del caramello diluiscono nella soffice neutralità dell’impasto; facendo in modo che un boccone tiri dietro l’altro senza soluzione di continuità. Circa 4 euro al pezzo.

Café Gerbeaud – Budapest, Vörösmarty tér 7-8

Cukrászda Ruszwurm – Budapest, Szentháromság u. 7

BITE Bakery – Budapest, Király u. 59 e Teréz krt. 62

Strudel Hugó – Budapest, Kertész u. 22

Ristoranti ungheresi

La cucina ungherese è ricca, basata sulla carne (principalmente manzo, maiale e oca, non senza incursioni nel mondo della selvaggina) e non priva di intingoli a base di panna e/o burro; oltre che generalmente dominata dall’onnipresente paprika. Nonostante per sua natura non si addicesse al clima torrido della stagione, e agli innumerevoli kilometri camminati sotto il sole, andava provata; e per averne un’idea ci siamo affidati a due degli indirizzi raccomandatici come particolarmente solidi.

Rosenstein è considerato da molti l’apoteosi della ristorazione ungherese tradizionale, con un menu sterminato composto di piatti d’ispirazione ebraica (ma assolutamente non kasher).

Atmosfera anni ’70, conto non particolarmente amichevole (circa 40€ a persona per due piatti a testa e una bottiglia di vino) e preparazioni spesso imprecise, con in alcuni casi eccessi vistosi in termini di salse ed equilibrio di sapori. Delusione.

Gettó Gulyás, a pochi passi dalla Grande Sinagoga nell’ex ghetto ebraico – barra – quartiere dei divertimenti notturni – barra – hipster neighborhood, è forse il più quotato bistrot di cucina ungherese tradizionale rivista in un format contemporaneo. Sala e arredi bellissimi, piatti gustosi anche se non trascendentali.

Buono il pörkölt proposto in una serie di varianti, ossia lo stufato di manzo in rosso che ci piace immaginare come “goulasch” – termine che invece, in Ungheria, si usa per designare una preparazione analoga ma più simile a una zuppa; così come il midollo arrosto da scarpettare col pane e il lecsó, sorta di ratatouille, che qui viene proposto nella sua versione più ricca (accompagnato con pezzi di salsiccia piccante e amalgamato con tuorli d’uova). Servizio disattento, scazzato e lentissimo; come d’altra parte quasi ovunque in città. Conto sui 25€ a persona.

Rosenstein Vendéglő – Budapest, Mosonyi u. 3

Gettó Gulyás – Budapest, Wesselényi u. 18

Hamburger

Vi giuro, l’abbiamo tentata la full immersion nella cucina ungherese, ma senza riuscirci del tutto: alla terza sera la voglia di ripulire il palato da stufati e cremine ci ha fatto propendere per un globalissimo hamburger. E meno male: al Kandalló pub – siamo sempre nel vecchio ghetto di Pest, a ridosso di Térez körút – se ne mangiano di ottimi!

Carni, pane e topping di grande qualità vengono assemblati con discreto occhio gastronomico, amalgamandosi in un morso omogeneo, senza sacrificare sull’altare gourmet la godibilità immediata di un cibo che nasce “veloce”. Imperdibile il Kandalló Burger con foie gras ungherese e cipolle caramellate. Da bere, 16 spine di birre artigianali locali che abbiamo testato quasi tutte; riscontrando in alcuni casi piacevoli sorprese e in nessuno sconvolgenti delusioni. Servizio cortese e reattivo a livelli inusitati per Budapest. Antipasto, hamburger e due birre: circa 25 meritatissimi euro.

Kandalló Pub – Budapest, Kertész u. 33 e Hold u. 13 (dentro il Belvárosi Piac)

Street Food

Dalla tranquilla Hold utca si accede alla Belvárosi Piac, galleria/mercato gourmet che raduna una pletora di ristorantini di grande richiamo ove sarà possibile assaggiare a prezzi irrisori specialità preparate con grande tecnica.

È qui infatti che molti chef stellati, o ex stellati, hanno deciso di intraprendere le loro attività collaterali di pranzo veloce o street food propriamente detto; che pur non rinunciando a un certo glamour pop conservano la guduriosità (e l’economicità) del mangiare di strada.

Tra tutti gli esercizi segnaliamo A Séf Utcája (“la strada dello chef”), aperto nel 2014 dal cuoco Lajos Bíró, quando l’ampia galleria era poco più che un mercato abbandonato.

Lo stand si specializza in piatti tipici della cucina ungherese più casual, preparati con attenzione e ingredienti scelti: imperdibili la salsiccia gigante (e intendo gigante, lunga più di un palmo della mia mano da gigante) servita con pane tostato, senape e cipolle stufate – a circa 5 euro; e il fegato d’oca fritto.

Special del Venerdì e del Sabato è il cholent di tradizione ebraica (stufato di carne di manzo, legumi e cereali) che però qui viene servito in versione tutt’altro che kosher; giacché guarnito con una fetta di capocollo di maiale brasato.

Accompagna il piatto un piccolo challah (sorta di pan brioche), nel quale, qualora non bastasse, viene infilata una fettina di foie gras – il vizio, a soli 7 euro. Davanti alla porta del locale il carretto di A Séf Rijksaja (“il risciò dello chef”) propone un inaspettato pho preparato e servito da personale vietnamita.

A traino di A Séf Utcája, Bíró ha aperto l’adiacente Buja Disznó(k) (traducibile pressappoco come “Maialini lussureggianti”), specializzato in schnitzel alla moda viennese cotte alla perfezione, croccanti, succulente, grandi come la puszta in Primavera e servite con il loro osso da spolpare, panato e fritto a parte, e insalata di patate fredda. 7 euro.

Sempre in Belvarosi piac è locata una seconda sede di Kandalló burger.

Per un’esperienza ancora più “di strada” non perdetevi ovviamente il langos: questa frittella di pasta lievitata ricorda molto da vicino la pizza fritta napoletana, è generalmente a forma di disco e viene condita con formaggi, panna acida, salumi o mangiata semplicemente spolverata di sale.

Il caso ha voluto che durante le nostre peregrinazioni ci imbattessimo in un quello che è considerato tra i migliori langos di Budapest: Jó Krisz Lángossütő (“Friggitoria Langos del buon Krisz”), nascosto nell’angolo più remoto del mercato di Rákóczi Tér.

Il primo impatto è stato discutibile, complice l’impossibilità di tradurre dall’ungherese dei menu scritti a mano su grandi fogli di carta affissi alle pareti, e ha fruttato una ciambella condita con panna acida alla paprika, peperoncini sottaceto e un non meglio identificato formaggio rapé.

L’impasto goloso, croccante e succulento è valso però al buon Krisz una seconda possibilità: il langos töltött (ripieno), privo di topping improbabili e farcito con prosciutto affumicato e formaggio, spaccava; complice anche una generosa spennellata di burro e aglio tritato passata sulla frittella calda, appena estratta dall’olio. Tutti i langos circa 1,5-2 euro, disponibili anche buone palacsínta (crêpes ungheresi, dolci) a partire da circa 30 centesimi l’una (!).

Belvárosi Piac – Budapest, Hold u. 13. All’interno della galleria A Séf Utcája, Buja Diszno(k) e una seconda sede del Kandalló Pub.

Jó Krisz Lángossütő – Budapest, Rákóczi Tér all’interno dell’omonimo mercato.

Mercati

È nei mercati che si respira in genere la cultura gastronomica più autentica di una città e si possono trovare i prodotti migliori.

Budapest in questo fa purtroppo parzialmente eccezione: il Gran Mercato di Fővam Tér, molto bello per struttura, è per molti versi costruito ad uso e consumo del turista; con offerte standardizzate tra i vari stand di salsicce e salami, foie gras in scatola a prezzi unificati e poca varietà.

Vale comunque abbondantemente la pena farci un salto, per visitare le corsie più laterali in cui vengono vendute bella frutta e verdura e infinite schiere di fegati d’oca interi, e per comprare dei souvenir gastronomici (paté e bloc de foie gras, e caviale russo, hanno costi abbordabilissimi rispetto al resto d’Europa; guardando con occhio smaliziato anche tra i salumi apparentemente tutti identici si può scorgere qualche chicca).

Fate un giro anche nel piano interrato: semiabbandonato e desolato, ospita però delle artigiane che producono una varietà e quantità di pickles, quelli sì, autentici; da far venire l’acquolina in bocca.

Più genuino il mercato di Rákóczi Tér, di dimensioni decisamente inferiori, che propone – oltre agli stand turistici comunque presenti – macellerie, ortofrutta e una piccola sezione interna dedicata esclusivamente ai produttori diretti (agricoltori e trasformatori).

Gran Mercato – Budapest, Vámház krt. 1-3

Mercato di Rákóczi Tér – Budapest, Rákóczi Tér.

Wine bar ed enoteche

L’Ungheria è terra storica di vini, principe dei quali (e amaro protagonista di una lunga querelle legale col Friuli, che alla fine ha spuntato) è il Tokaij Aszú.

Provate un 6 puttonyos, o un buon Bikavér o Kékfrankos, al bórbar Kadarka (bór = vino), wine bar dalle colorate e confortevoli sale di Kiraly Utca. Sorseggiate una delle più di 100 etichette nazionali offerte seduti nel dehors che spezza l’andirivieni serale del ghetto ebraico.

Per una cena centrata sui piaceri della bevuta, optate per il Bórkonyha (“Cucina di vino”), stella Michelin guidata dallo chef Ákos Sárközi, celebre per la sua strepitosa carta di vini (tutti ungheresi, molti naturali): noi non siamo purtroppo riusciti a visitarlo perché sold out in tutti i giorni della nostra permanenza, prenotate quindi con largo anticipo.

Bórbar Kadarka – Budapest, Király u. 42

Bórkonyha – Budapest, Sas u. 3

Birra artigianale

Come molti Paesi di cultura prevalentemente vinicola, anche l’Ungheria vive una renaissance birraria recente che passa per una scena craft ultra-modaiola, in linea con le tendenze dettate dall’hype internazionale. Leggerete “craft beer” pressoché ad ogni angolo dell’ex-Ghetto, ove prosperano gli hipster, ma pochi sono gli indirizzi specializzati.

Oltre al già citato Kandalló, trovate – proprio di fronte a quest’ultimo – il Csak a jó sör (“Solo buona birra”), numero uno in città secondo RateBeer, beer shop fornito dall’aria démodée che farebbe pensare agli omologhi italiani dei primissimi anni Duemila.

Dagli stessi proprietari, il piccolo Hopaholic propone 10 vie a rotazione con specialità europee e statunitensi.

Fuori dall’area più squisitamente turistica, l’Élezstő (“Lievito”) si autodefinisce “la base segreta della craft revolution ungherese”. Offre un’atmosfera più calda e raccolta dall’aspetto vintage, con una selezione di 21 vie esclusivamente ungheresi oltre che il primo cask ale bar dell’Est Europa.

Quando siete in giro per locali meno specializzati, incluso per esempio il meraviglioso Szimpla Kert, occhio alle creazioni di Mad Scientist; forse il più quotato dei birrifici magiari.

Csak a jó sör – Budapest, Kertész u. 42

Hopaholic – Budapest, Akácfa u. 38

Élezstő – Budapest, Tűzoltó u. 22

Ruin bar

Cos’è un Ruin Bar? Un pub? Una discoteca? Un karaoke? Una galleria d’arte? Un giardino pubblico? Un centro sociale?

Difficile definire questo genere di contenitore, endemico alla città, nato come risposta per occupare i ruderi degli edifici post-sovietici successivamente alla guerra fredda. Un ruin bar è un centro culturale polifunzionale che è anche un bar in cui far casino e divertirsi, fumare la shisha, assistere a spettacoli; ove si può creare, rilassarsi all’aperto e talvolta persino abitare.

Il principe dei Ruin Bar è senza dubbio il capostipite Szimpla Kert, nel cuore dell’ex-ghetto ebraico, uno spazio sconfinato e labirintico decorato in modo eccentrico con materiali di recupero. Sviluppato su più piani, include svariati bar, di cui uno dedicato esclusivamente alle birre artigianali; altri si concentrano sui cocktail e sul vino, in alcuni di questi si può mangiare.

In una sala è possibile fumare il narghilè sedendo comodamente (si fa per dire) dentro vecchie vasche da bagno, annidato in fondo al piano superiore c’è uno studio per tatuaggi, accanto all’ingresso principale un design shop in cui acquistare oggetti prodotti all’interno del collettivo.

Da vedere anche l’Éllató Kert, anch’esso nella zona in cui ruota il 90% delle attività di ristorazione ed intrattenimento di Budapest, un grande spazio aperto con tavoli comuni in cui è possibile bere discretamente a poco prezzo (travolti, nelle sere del weekend, da un marasma di studenti, locali e turisti in viaggio di addio al celibato che cantano canzoni revival degli anni ’90 e Duemila).

Szimpla Kert Budapest, Kazinczy u. 14

Éllató Kert Budapest, Kazinczy u. 48

[Foto: Giovanni Puglisi per Dissapore]

Napoli: pizzerie, trattorie e locali da provare secondo il New York Times

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Trattorie storiche, pizzerie, pasticcerie e locali alla moda: bastano 36 ore al New York Times per innamorarsi di Napoli: il celeberrimo quotidiano statunitense ha dedicato al capoluogo campano un articolo (firmato dalla giornalista Laura Rysman), raccontando di come la città abbia un fascino tutto speciale, fatto di “eccessi di Barocco, cucina indulgente, in una sorta di stato ipnotico separato dalla realtà”.

Non è la prima volta, in realtà, che il NYT dedica un tour di 36 ore a Napoli: era già successo nel 2013, quando la giornalista Ingrid K. Williams aveva documentato “il cambiamento in atto” dovuto anche al “nuovo sindaco che ha inaugurato iniziative per ripulire la città”, suggerendo – per fermare i languorini qua e là lungo l’itinerario – la colorata osteria – cheese bar di nuova generazione “La Stanza del Gusto”, in via Costantinopoli o il wine bar con cortile nel cuore di Chiaia Barril.

I locali alla moda

A distanza di qualche anno lo stile che piace ai newyorkesi sembra essere sempre all’incirca lo stesso: locali giovani, modaioli, moderne osterie o concept bar che poco o nulla hanno a che vedere con la classicità della tradizione napoletana.

Archivio storico

archivio storico napoli

Per dire, questo nuovo itinerario del New York Times cita “Archivio Storico”, un locale che, a detta della giornalista, sta “sta migliorando l’arte del bere a Napoli, con cocktail basati su antiche ricette napoletane e classici americani”. Le ricette saranno anche tradizionali, ma il concept e la cucina sono molto contemporanei, nonostante un’atmosfera che, con l’arredamento e i particolari, vuole rifarsi ai tempi dei Borbone. Le cinque sale del locale sono proprio dedicate ai cinque Borboni delle Due Sicilie: Carlo, Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II, con le rispettive regine: tutto è curato, ogni dettaglio ha il suo posto e ogni oggetto ti strizza l’occhio raccontandoti quanto starebbe bene nel tuo salotto di design.

Riot Laundry Bar

Altro posto consigliato dal New York Times è il Riot Laundry Bar, un “concept store gestito da una squadra giovane, e una calamita per la scena musicale risvegliata di Napoli”. Un posto dove comprare un paio di jeans ecologici, o una maglietta alla moda, e poi bersi una birra nel bar al piano terra (definito “energico” dalla giornalista del NYT). Ancora moda, ancora giovani, ancora modernità: un volto di Napoli fresco, proiettato nel futuro, che forse pochi di noi ingenuamente suggerirebbero a un turista arrivato da lontano.

Le trattorie storiche

Casa di Ninetta

casa di ninetta napoli

Va un po’ più in questa direzione la Casa di Ninetta, suggerita dall’itinerario per la sua cucina casalinga (quella della mamma Anna e della nonna Emilia del proprietario, Carmelo Sastri). “Sotto un soffitto ornato di fine Ottocento, con musica classica sullo sfondo, il ristorante prepara magnifiche interpretazioni della tradizione napoletana”. Un posto storico, tradizionale, ma dotato di quell’eleganza e quel fascino d’antan dato dalla cura e della ricercatezza con cui viene raccontata la storia di famiglia.

Trattoria San Ferdinando

Un’ottima pausa dalle frenetiche strade di Napoli”, secondo il New York Times, è la Trattoria San Ferdinando: stavolta torniamo alla tradizione che forse abbiamo tutti in mente, con un’osteria a conduzione familiare con un menu “che cambia ogni giorno secondo natura, come dicono i proprietari”. Il look è quello di una vecchia trattoria, ma il concept si avvicina molto a quello di un’osteria moderna, con una buona selezione delle materie prime e della carta vini.

Mimì alla Ferrovia

Terza e ultima segnalazione per Mimì alla Ferrovia, altro nome ultranoto della ristorazione storica napoletana. “Una dinastia di quattro generazioni familiari di proprietari e tre in cucina ha posto la continuità nel cuore di questo ristorante nel quartiere centrale (e impreciso) della stazione ferroviaria. Serve principalmente pesce, pescato localmente dallo chef, Salvatore Giugliano (nipote del primo chef del ristorante), che ha modernizzato le ricette tradizionali, eccellendo con ravioli di spigola e limone in salsa di calamari e gamberetti e una ricotta fresca di bufala condita con confettura di pomodoro vesuviano fatta in casa”.

La pasticceria

frittata maccheroni scaturchio

La sfida della sfogliatella, secondo il New York Times, è vinta dall’Antica Pasticceria Giovanni Scaturchio, vittima negli anni di alterne fortune ma custode dal 1905 delle ricette della tradizione.

Altro indirizzo arcinoto a Napoli, consigliato dal NYT (e qui sì, ci spostiamo su un nome che a chiunque verrebbe in mente, parlando di indirizzi storici) è Gambrinus, consigliato come bar dove bere “un caffè espresso, spesso con una buona dose di zucchero già miscelato”. Ecco, così non la pensa esattamente Andrej Godina, assaggiatore di caffè che andò due volte a provare la tazzulella ‘e cafè di quello che forse è il più noto bar di Napoli, seguito dalle telecamere di Report: per ben due volte uscì da Gambrinus stroncandone l’espresso.

La pizza

Pizzeria Di Matteo

Nessuno viene a Napoli per dimagrire”, scrive la giornalista del New York Times, “e la pizza, inventata qui nel diciannovesimo secolo, è probabilmente migliore che da qualsiasi altra parte”. Sul capitolo pizza, la giornalista del New York Times rimane sul classico: il suggerimento è quello di un indirizzo storico di via dei Tribunali, la pizzeria Di Matteo, qui indicata più che per le pizze per la sua friggitoria: “il cuoppo, o cono di carta, di prodotti fritti come le frittelle di patate, la polenta e le melanzane è un’imperdibile prelibatezza napoletana”.

Concettina ai Tre Santi

concettina-ai-tre-santi

Segnalata anche Concettina ai Tre Santi, sulla quale il New York Times si spinge addirittura a dire che “lo chef Ciro Oliva è forse il pizzaiolo più talentuoso della città”, menzionando (giustamente) la sua pizza fritta ripiena di ricotta di bufala, ricciola affumicata, alghe di mare disidradate, scorza d’arancia e pepe macinato.

Qualche grande classico, insomma, ma – a parte un paio di indirizzi – ci viene da dire che è una selezione di posti non scontati, che cerca di andare un po’ oltre la solita cultura partenopea vista e rivista dai turisti, che ogni anno ricercano l’autenticità della cucina napoletana non sempre raggiungendo l’obiettivo con successo.

E i turisti newyorkesi, che arrivano da una delle città dove si mangia meglio nel mondo (pizza e cucina italiana compresa) non sono certo dei palati facili da convincere. Ma alla cucina napoletana, evidentemente, 36 ore bastano.

Pasticceria Salvatore Capparelli a Napoli: recensione

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Siamo nella Pasticceria Salvatore Capparelli, nel cuore pulsante di Napoli. Accreditata come una delle pasticcerie di riferimento della città, specialmente per quanto riguarda il centro storico, andava messa alla prova per voi lettori di Dissapore, specialmente sui grandi classici, babà e sfogliatelle. La nostra recensione.

Dopo una lunga disamina provinciale in fatto di dolci – il patissier Pasquale Marigliano, il Cavaliere Sabatino Sirica, passando per il pompeiano De Vivo e la pasticceria stellata del Gran Caffé Napoli, mi avvicino a Napoli città.

Nel gremito centro storico ci sono diverse realtà dolci da considerare: alcune strettamente sono tradizionali, altre strizzano l’occhio al pop (sì, ma andiamoci cauti, il boomerang “papocchio indigeribile” è dietro l’angolo). Ci si è messo anche il New York Times a fare la lezioncina ai turisti su cosa fare a Napoli in 36 ore: inevitabilmente, vi ha mandati in posti dove – sovente – nemmeno un napoletano va più a fare colazione.

Capparelli, esterno

Una granitica immobilità sembra avvolgere quel di Napoli: andrebbe detto che, sotto quest’apparente corazza di café chantant, trattorie con gorgheggi pulcinelleschi e pizze a ruota di carro fumanti, c’è molto altro.

Ad esempio, un posto frequentatissimo da napoletani e turisti è la Pasticceria Capparelli, situata in uno snodo nevralgico del centro storico napoletano: nei periodi di festa – soprattutto a novembre e dicembre – la ressa di persone in queste stradine non si discosta molto dai mercati del Sud Est asiatico, solo che al posto dei tuk tuk abbiamo gli scooter SH. Siamo andati a vedere se il magma di folla, la fama e l’offerta coincidono: questa è la nostra recensione, dopo la visita in un afoso pomeriggio di luglio napoletano.

Pasticceria Capparelli: l’ambiente, il mood

Pasticceria Capparelli è uno dei nomi forti a Napoli: la pasticceria è nata nel 1984 in un’arteria storica di Napoli – prima del grande boom turistico, quello che ha portato il centro storico a configurarsi come una delle capitali italiane dello street food – ai primi del Duemila viene rilevata da Salvatore Capparelli, figlio del fondatore, pasticciere napoletano a tutto tondo.

Pasticceria Salvatore Capparelli

Siamo a Via dei Tribunali, pressoché al centro del cosiddetto Decumano Maggiore, in quella che era l’antica agorà cittadina. Nei pressi alla Pasticceria Capparelli abbiamo l’ingresso di Napoli Sotterranea – visita sconsigliata ai claustrofobici – ed altre caratteristiche del Neapolitan Sound che tanto amano all’estero, come San Gregorio Armeno, l’arcifamosa “via dei presepi”, con tanti artigiani che lavorano in maniera certosina ai pastori, alle celebrità in riproduzioni da salotto e in qualche caso a grandezza naturale. Oggi li chiameremmo action figure. Insomma, c’è abbastanza per far salivare anche l’instagrammer più ritroso. Metteteci poi un quantitativo di cibo tradizionale decisamente ragguardevole.

 

La Pasticceria Capparelli ha ricevuto un restyling nell’estate del 2017, proprio all’alba della famosa sfilata di Domenico Dolce e Stefano Gabbana che tante polemiche portò, e pure una sostanziosa dose di celebrità alla Sirena. La pasticceria appare un po’ Neapolitan-kitsch dall’esterno: l’ambiente – solo da asporto – è nero lucido, con la volta del soffitto decorata a fiori. Non sarò la fashion victim del cibo, però c’è da dire che “stona” piacevolmente con la ridodanza di elementi carnacialeschi circostanti.

Pasticceria Salvatore Capparelli

 

Se vi sentite un po’ spaesati, non vi preoccupate: con la citazione di Marisa Laurito sul babà, giustapposta dietro al banco per la vendita al pubblico su strada, vi sentirete subito a Napoli. Per chi non conoscesse Marisa Laurito, oggi reinterpretata artista e presente nei talk show televisivi, rimando alla sua esibizione al Sanremo 1989, “Il babà è una cosa seria”.

 

L’interno della pasticceria è piccolo, con le pareti interamente tappezzate di vetrine refrigerate per dolci e torte. Il banco centrale ricorda molto una gioielleria. Chiaro l’intento di “portarsi avanti” rispetto ad altre pasticcerie della strada e della zona, ma inevitabilmente il traffico si veicola davanti alla vetrina esterna, dove turisti e napoletani si affaccendano per una colazione rapida, uno spuntino veloce e poi si dirigono verso altre mete, come caffè o l’onnipresente pizza (ricordiamo: qui siamo nella strada della pizza, cioè vale a dire nella strada di Gino Sorbillo, che è a 150 metri).


Dopo un giro rapido all’interno, ci dirigiamo verso la vetrina esterna per prendere i nostri assaggi. Vetrina esterna abbastanza “monotematica”, che verte sulle preparazioni classiche della pasticceria napoletana, con qualche rivisitazione, come il babà ripieno di gelato o ancora il babà in bicchiere, cioè babà tagliato-infilato in bicchiere-farcito di creme. Il servizio è rustico, sbrigativo, ma non stupisce: è una costante di questo quartiere, che vede transitare milioni di persone nei periodi cruciali.

Pasticceria Capparelli: sfogliatella frolla, riccia, babà classico

Vista la prorompente presenza di pasticceria classica, procediamo con i nostri soliti assaggi: sfogliatella frolla, sfogliatella riccia e babà classico napoletano. Precisiamo che il babà classico di Salvatore Capparelli è noto a Napoli ed anche fuori città per essere uno dei migliori in circolazione.

La sfogliatella frolla

Partiamo con la sfogliatella frolla: temperatura di servizio tiepida, dimensioni davvero ridotte, sembra un grosso biscotto più che un dolce di dimensioni “convenzionali”. Dimensioni a parte, non presenta difetti di cottura e/o crepe sulla superficie.

Prezzo, 1,50 euro.

Al morso, la pastafrolla cede in modo piacevole e facile, buona da mangiare anche nuda. Il problema – se problema lo vogliamo chiamare – è nel ripieno. Non ci è particolarmente piaciuto: la consistenza risultava collosa, probabilmente per una errata – a nostro avviso – proporzione tra le parti, con un eccesso zuccherino. Si lascia mangiare facile da chi non ha problemi di glicemia, certo, però “appesantisce” il palato e tutto quel dolce stenta ad andar via.

La sfogliatella riccia

La sfogliatella riccia, allo stesso prezzo di 1,50 euro, è allo stesso modo piccola, assomiglia ad una cornucopia ed ugualmente non presenta difetti di forma visibili, con la chiusura ben effettuata ed una cottura uniforme, appena “spazzolata” di zucchero a velo, quasi a dire “, io non ho niente da nascondere!”

La sfoglia si rivela davvero di ottima fattura, anche dividendo la sfogliatella in due: due parti precise, senza lasciare le dita eccessivamente unte. Forse questo ripieno molto zuccherino rende di più nella sfogliatella riccia che nella frolla. La mancanza di difetti evidenti in entrambe le sfogliatelle segnala una grande abilità dei pasticcieri nel laboratorio.

Pasticceria Salvatore Capparelli

Per quanto riguarda il ripieno, potrebbe anche esserci capitata male: torneremo sicuramente per riprovare.

Il babà

Passiamo finalmente al babà classico, con dovute premesse. Qui Freud impazzirebbe: il priapismo dei babà di Capparelli è arcinoto. Babà di tutte le misure, noi optiamo per uno di misura “media” che in realtà è uno di misura grande in altre pasticcerie. Prezzo, un onesto 1,20 euro.

Il babà classico è bello biondo, con cupola pronunciata, anche con questo dolce non riscontriamo nessun difetto evidente. La pasta è elastica, sufficientemente bagnata ma non per questo così tanto da creare il fastidioso effetto spugna-dei-piatti.

 

Si dice che il babà della pasticceria Capparelli sia tra i migliori di Napoli, se non anche il migliore: e non posso dar torto. La pasta e la bagna si completano l’una con l’altra senza prevaricarsi, morso dopo morso resta godurioso senza “ubriacare” le papille gustative con eccessi alcolici e/o zuccherini. Un babà eccezionale a Via dei Tribunali, da mangiare avidamente. Uno di quei casi dove, se si ha fame, ci si può concedere anche la taglia xl.

Pasticceria Salvatore Capparelli

Come anticipato ad inizio articolo, Capparelli è uno dei nomi più in voga a Napoli. I dolci classici hanno ottime potenzialità e sono ben eseguiti – a parte il ripieno dove abbiamo riscontrato un eccesso zuccherino, da verificare ancora in seguito – con servizio spartano. Il babà vale tutta la fatica dell’attesa e dell’arrampicata, si piazza senza dubbio tra i migliori della città. Qui il babà è davvero cosa seria, qui non si scherza, si fa seriamente. Tirando le somme, è una buona pasticceria di servizio prima di continuare la cavalcata nel centro storico più grande d’Europa.

Informazioni

Pasticceria Salvatore Capparelli
Indirizzo: Via dei Tribunali, Napoli
Numero di telefono: 081 2551672
Orari di apertura: martedì-domenica 08.00-20.30. Chiusura settimanale il lunedì
Sito Web: Non Pervenuto
Tipo di cucina: pasticceria classica napoletana
Ambiente: informale

Voto: 3,7/5.00

Antica Pasticceria Carraturo a Napoli: recensione

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Siamo stati all’Antica Pasticceria Carraturo (dal 1837) a Napoli, zona Porta Capuana, indubbiamente una delle più antiche della città, frequentata sia dai napoletani che dai turisti più sgamati. Siamo andati a valutare se i dolci tradizionali mantengono alta la nomea del posto. La nostra recensione.

Pietro Carraturo, fondatore dell’Antica Pasticceria Carraturo 1837, doveva essere un uomo ben fortunato ma anche astuto: ai napoletani piacciono le leggende, e quella della famiglia Carraturo vuole Pietro un uomo umile e fortunato, che ebbe la ciorta – la sorte, intesa qui come buona sorte ndr – di andare a bottega dai migliori pasticcieri napoletani. E non solo: inventò pure la sfogliatella frolla, cioè quella con guscio di pastafrolla e sgravata di ingredienti costosi, adatta al popolino. Fu tra quei bottegai che fece la fortuna di Porta Capuana e che ancora resiste, ma andiamo con ordine.

Porta Capuana

Porta Capuana è uno degli ingressi più antichi della città di Napoli, edificata nel 1484, nonché sede del “Quartiere Latino” napoletano di inizio Novecento. Ad oggi, purtroppo, non è certamente una delle zone meglio tenute della città, ma c’è da dire che si sta facendo molto per la sua riqualificazione.

Innanzitutto, qui ha preso vita Made in Cloister, la versione napoletana del Refettorio ideato da Massimo Bottura, portato in giro per il mondo con la sua associazione Food for Soul; qui ha sede nel bellissimo chiostro di Santa Caterina a Formiello. Dopo una maxi apertura nel segno di pentole e padelle di chef stellati come Gennarino Esposito e di cuochi pescatori come Pasquale Torrente, periodicamente si alternano ai fornelli rappresentanti della cucina campana, per offrire ai senzatetto e bisognosi di Napoli un pasto degno. Oltre questo, la fondazione Made in Cloister ospita eventi Slow Food, proiezioni di documentari, film ed altre attività aggregative.

Pasticceria Carraturo Napoli

 

L’Antica Pasticceria Carraturo fa praticamente da guardia a questo scenario ingiustamente trascurato, col suo negozietto bar/pasticceria/coloniali vari che è una delle attività più antiche di Napoli.  Porta Capuana è stato ed è uno snodo fondamentale per chi da fuori si reca a Napoli per restarci o proseguire il viaggio: si dice che il nome della zona derivi dal fatto che da qui passasse l’arteria che andava verso la città di Capua, ma “Porta Capuana” fu anche il nome di una delle municipalità di Napoli; motivazioni a parte, ben presto si diffuse la fama della pasticceria. Qui, i paesani sostavano e ne approfittavano per comprare il pasticciotto crema ed amarena, una specie di Transformer della pasticceria napoletana fatto con ingredienti vari, con guscio di frolla, crema all’uovo ed amarene.

Il nome “Carraturo” spunta un po’ qui e un po’ lì per la città – e pure per la provincia – dove i parenti pure alla lontana hanno cercato di far fortuna sul marchio.

Antica Pasticceria Carraturo: l’ambiente

 

L’ambiente è a dir poco spartano e non si discosta molto da altre pasticcerie baluardo di Napoli: una vetrina dedicata ai coloniali, bancone classico da bar, vetrina con i dolci classici della tradizione napoletana.

Poche rivisitazioni nel segno delle creme e del cioccolato, come invece si vede in altri angoli della città. Viene proposta la tradizione dura e pura e siamo qui per scoprire se ne tengono alto il nome. Le aspettative promettono bene, tra vetrine con sfogliatelle, babà e qualche altro dolce come il “biscottone”, una versione maxi di biscotto nato per la “colazione” , cioè lo spuntino che i napoletani solevano fare a metà mattina. Presente anche il banco caffetteria, con il caffè proposto leggermente più lungo della media napoletana, in tazza con monogramma del locale. Non bruciato, un classico caffè di servizio del quale però purtroppo non sono riuscita a distinguere aromi particolari.

Ci siamo un po’ persi per il locale, che per essere una pasticceria d’asporto offre davvero tanti spunti per perdere un po’ di tempo in attesa del proprio turno al banco. Una vetrina è interamente dedicata ai ricordi della famiglia Carraturo che, in effetti, in 180 anni e passa di storia devono essere un po’ tanti, compresi volti che si assomigliano di nonno in nipote ed un simpatico signore baffuto con mustacchio prorompente.

Antica Pasticceria Carraturo: sfogliatella frolla, riccia, babà classico

Sotto il segno dell’antenato Pietro Carraturo, il nostro assaggio non può che seguire la linea dettata dai suoi classici. Approfittiamo dei tavolini alti in un angolo, a dire il vero non particolarmente agevoli, ma c’è un clima di discreto relax nel locale, quindi la scomodità pesa un po’ di meno.

Partiamo con la sfogliatella frolla: all’apparenza sembra molto rocciosa ed anche lievemente brunita, coperta sapientemente con spolverate generose di zucchero a velo. Temperatura di servizio, tiepida/calda (anche grazie al forno dietro il banco, dove le sfogliatelle vengono rinvigorite giusto un po’ prima di servirle). Prezzo sostanzioso, 1,50 euro, grandezza nella media del palmo di una mano.


Se all’apparenza sembrava abbastanza granitica, già al tatto rivela calore e morbidezza sapiente, apriamo in due il guscio. La pastafrolla presenta chiare note vanigliate: delicata, non c’è un eccesso di strutto spesso presente. Ottimo il ripieno nelle sue proporzioni di ricotta e semolina, con un accento di scorza di limoni che dà molto la sensazione di estate e di costiera.

Nota di merito, il ripieno non si stacca dal guscio, cosa che personalmente ho in odio, visto che 3/4 delle volte rischi di restare con della fessa pastafrolla in mano mentre il ripieno ce l’hai sulla t-shirt. Pietro Carraturo: sarai felice di sapere che i tuoi discendenti continuano a fare un’ottima sfogliatella frolla.

Piacevolmente stupita dalla frolla, sosta tecnica con sorso d’acqua fresca e passo all’assaggio della sfogliatella riccia. Temperatura di servizio simile alla frolla, quindi tiepida andante al caldo, stesso prezzo di 1,50 euro. Meno zucchero a velo qui: molto bella a vedersi, ben chiusa e senza difetti di forma evidenti, compresa l’assenza di bruciature e/o fuoriuscite di ripieno.

Questo significa che si può comunque fare un buon prodotto essendo attenti ai dettagli, nonostante la richiesta continui ad essere sostanziosa. Quindi, locali storici, non trinceratevi dietro scuse: se ci riesce un 180enne, potete riuscirci anche voi.


Buona la fattura della sfoglia, che ha un crunch consistente e preciso: sapore complessivo buono, con la nota di limone che tende a sgrassare un po’ di sugna in eccesso presente nella riccia.

Concludo il trittico di assaggi con il babà napoletano, servito in piattino con monogramma del locale. Babà di dimensioni medie, leggermente più aggraziato di altri che incontreremo ed abbiamo già incontrato lungo la strada, prezzo di cartello il solito 1,50 euro.

Pasticceria Carraturo Napoli

Sul fondo del piattino, presente anche tovaglioli per trattenere la bagna in eccesso: cosa che sinceramente non riscontriamo. La pasta è elastica, ma non troppo, facile da tagliare. Il sapore è equilibrato, tendente però a far prevalere la bagna sulla pasta, con un prevalente retrogusto alcolico.

L’Antica Pasticceria Carraturo 1837 vale assolutamente la visita, visto che nel momento in cui scrivo è di sicuro tra le pasticcerie da visitare per assaggiare sfogliatella frolla e riccia. Bene non confondersi, però, con le altre sedi sparse in giro: visitate quella di Via Casanova, sullo sfondo c’è Porta Capuana, nelle immediate vicinanze c’è la meravigliosa chiesa di San Giovanni a Carbonara con il monumento a Ladislao I e relativo parco dedicato al re.

Dieci minuti di camminata e sarete nel centro storico. Non fatevi intimorire dalla rotta “poco” battuta dai turisti.

Pasticceria Carraturo Napoli

Informazioni

Antica Pasticceria Carraturo a Porta Capuana dal 1837
Indirizzo: Via Casanova 97, Angolo Corso Garibaldi 113 (Napoli)
Numero di telefono: 081 554 5364
Orari di apertura: Tutti i giorni orario continuato 7.00-21.30
Sito Web: https://www.carraturo.it
Tipo di cucina: Pasticceria e caffetteria napoletana
Ambiente: Informale
Servizio: Cordiale

Voto: 4.0/5

Pasticceria Lauri a Napoli: recensione di una sfogliatella Halal

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Napoli, quartiere Vicaria, altrimenti detto Vasto: l’alta percentuale di immigrati musulmani è una realtà da 40 anni e la Pasticceria Lauri produce dolci napoletani in versione halal. La nostra recensione

Difficile descrivere la situazione al Vasto, quartiere di Napoli città, senza cadere in semplificazioni, giustificazioni. Però è necessario, perché qui – e non in altra parte – abbiamo trovato i dolci napoletani in versione halal, fatti dalla Pasticceria Lauri di Via Bologna.

“Boni, state bboni”: qua a Napoli hanno inventato la sfogliatella fritta, il konosfoglia, cioè un tappo di sfogliatella ripieno di gelato, e svariate sfogliatelle salate (ma della crisi della sfogliatella napoletana vi parlammo a suo tempo).

Quindi, non siate particolarmente ortodossi. Anzi, se lo siete in questo caso penso proprio voi abbiate sbagliato articolo.

Due parole sull’ halal: in arabo significa “lecito”. Halal è uno stile di vita e, nel caso alimentare, un cibo halal è idoneo al consumo secondo i dettami della religione musulmana: non si ricorre ad alcune tipologie di lavorazioni e/o all’utilizzo di certi ingredienti, come carne e derivati del maiale. Un po’ come il kosher per gli ebrei. Per maggiori spiegazioni, vi rimandiamo al sito ufficiale Halal Italia.

Il cibo italiano halal ha un mercato di 4 miliardi di euro; intere aziende predispongono reparti e linee di lavorazione per sopperire alla richiesta. E’ il mercato, babies, e tutto il sovranismo che ci circonda non fa granché bene al commercio, per inciso.

Pasticceria Lauri: dove si trovano i dolci napo-islamici

A ridosso del centro storico di Napoli esiste il quartiere Vicaria, altrimenti detto Vasto: un blocco compatto di stradine ed arterie relativamente giovane e noto alle cronache per la fortissima presenza di immigrati, lunga ormai quarant’anni. Le nazionalità più comuni in questo dedalo sono quella algerina, la magrebina e la senegalese. Decisamente diverso dal centro storico di Napoli dove, in pochissimi km quadrati, abbiamo praticamente un avamposto dello Sri Lanka, con una comunità che conta quasi 15mila persone, festival dedicati alla cultura srilankese nella centralissima Piazza Dante e take away e ristorantini etnici che meritano la visita.

Dicevamo, il Vasto è stata anche passerella politica, in quanto simbolo di “degrado”: vaglielo a spiegare che il problema è molto più radicato e profondo, viene dalla mancanza delle istituzioni in certi posti, prima che dalla presenza degli immigrati. Del Vasto ci si ricorda raramente, come un’ernia fastidiosa che di tanto in tanto s’infiamma, poi la nascondi. Cosa mica semplice, visto che Via Bologna, Via Torino, Via Firenze, sono le strade che un turista si ritrova appena uscito dalla stazione di Napoli.

Gianni Lauri: ma perché?

Dolci napoletani halal: impossibile trovarne, nella culla dello strutto? Ma anche no. La Pasticceria Lauri è un punto di riferimento per la comunità islamica del posto: la famiglia produce dolci della tradizione napoletana, però rispettando i dettami halal, più una batteria di dolci arabi tout court.

Ah, poi per chi non avesse esigenze particolari, c’è anche a disposizione tutta la batteria di dolci tradizionali senza variazioni di ingredienti, quindi: pastiere, babà, sfogliatelle con strutto e bagne alcoliche dove occorre, casatielli napoletani ripieni di salumi, e velleità pasticciere come torte in cake design, cupcake vari, macarons.

La Pasticceria Lauri ha semplicemente intercettato un’esigenza della strada per fare mercato: che poi questo significhi, anche in minima parte, la volontà di far integrare una fetta consistente di popolazione, questo sembra importare davvero poco al giorno d’oggi. A noi però importa parecchio.

Gianni Lauri, uno dei titolari della pasticceria, ha le idee abbastanza chiare. Non dice che è semplice, ma nemmeno impossibile vivere e fare del commercio in questa zona. “Ti devi adeguare al mercato, ma si fa così in ogni ambito”, mi spiega semplicemente “Una trentina di anni fa, con le prime ondate migratorie, abbiamo visto la zona cambiare di anno in anno. All’inizio arrivavano ragazzini spaventati, avevano la paura negli occhi. Oggi sono donne e uomini di 45, 50 anni. I loro figli vanno a scuola e sono molto aperti, si chiacchiera. I problemi ci sono, è difficile ma non impossibile. Per noi del commercio è vitale intercettare le richieste, ma è così in ogni ambito.”

Si chiacchiera, infatti. È tutto un devo tornare al paese, sono tornato al paese, quando vai al paese. È la quotidianità di questa fetta di mondo. Mentre sono qui c’è un viavai discreto di persone che prendono caffè, qualche bevanda calda e – soprattutto – i dolci. Tantissime porzioni di millefeuille, cioè di torta millefoglie farcita con creme differenti e nasprate con zucchero in superficie, modalità cassatina.

“All’inizio era molto più dolce la crema della farcitura”, ci spiega Gianni “Poi, grazie agli amici di altre nazionalità, che provavano e provavano, abbiamo raggiunto il giusto grado di dolcezza della crema, molto inferiore al nostro. Ne facciamo di tutti i tipi e loro ne mangiano anche diverse porzioni a testa. Un caffé ed una millefeuille, anche 3 volte al giorno.”

Quelli della Pasticceria Lauri sono diventati così bravi con la millefeuille che ne fanno di diverse farciture: crema al pistacchio, all’uovo, pasticciera. Periodicamente da qui parte un carico per alcune pasticcerie che non si sono ancora specializzate, oppure per le feste comandate. Gianni ci tiene a precisare che durante i giotni festivi (cattolici o musulmani), il suo banco è una festa di dolci, halal e non halal. E che lui si prepara per la Pasqua così come si prepara per la festa di fine Ramadan.

Un dolce feticcio dei napoletani è la zeppola di San Giuseppe: preparata in grande quantità per il 19 marzo, è una pasta choux ripiena di crema e sormontata di amarena. E qui la zeppola è sia con pasta choux con strutto, che senza.

E San Giuseppe o no, la mangiano tutti.

Durante la nostra visita c’erano anche crostate morbide, con uno strato di pandispagna tra la frolla e la guarnizione, crepes arrotolate e meringate, dolcetti alle mandorle marocchini. Ah: c’era il babà analcolico che, a quanto pare, è amatissimo dalle donne musulmane che colgono le occasioni per prenderne vassoi interi.

Le sfogliatelle ricce e frolle in versione halal

Non è propriamente semplice definire un cibo halal: per i cibi confezionati esiste un bollino che certifica il metodo e gli ingredienti, ottenuto dopo un deciso impegno e quantitativo di lavoro. Ci sono le visite degli addetti in azienda, che controllano lo stato di pulizia delle macchine ed eventuali contaminazioni, lo studio delle schede tecniche dei prodotti, e così via. Ma per i prodotti freschi? Facile: la visita in batteria compulsiva degli imàm cittadini ne ha decretato, in questo caso, lo status.

La sfogliatella frolla è un biscottone ben cotto all’esterno, mi viene servito già tagliato in due parti a causa dell’estrema morbidezza e della temperatura incandescente. Al posto dello strutto, nella ricetta della frolla viene sostituito con olio e grassi vegetali. I detrattori dei grassi vegetali avranno da ridire, io assaggio. La struttura ne risente un po’, molto morbido il guscio di pastafrolla e vagamente biscottoso/vanigliato, servito senza zucchero a velo. La temperatura calda la rende davvero molto apprezzabile, con il ripieno che tende al cremoso. Promossa.

Passiamo alla sfogliatella riccia, che ha ancora un sostituto diverso dello strutto: per fare la sfoglia viene utilizzato il burro di karitè. Nei Paesi mediorientali, il burro di karitè è molto usato in cucina, cosa che non si è trasmessa alla cucina occidentale, dove questo grasso viene essenzialmente impiegato come coadiuvante in confetteria e cioccolateria, poca roba insomma.

Il risultato è una pastasfoglia non particolarmente croccante che si regge comunque bene: la cosa che più si apprezza rispetto ad altre sfogliatelle ricce è una untuosità molto contenuta. Temperatura di servizio: calda. Si lascia mangiare facilmente, senza deludere il tanto atteso scrocchio sotto i denti della sfoglia, seppur molto contenuto. Buona la proporzione di ricotta, semolino e la presenza graditissima di qualche candito.

La trovo più gradevole di molte altre bruciate, troppo dolci, che si aprono a ventaglio provocandoti ustioni varie.

Prezzi popolari: sfogliatella riccia e frolla, millefeuille ed altre amenità si attestano sul singolo euro al pezzo.

Sarebbe troppo facile – lo ripeto ancora una volta – tirare conclusioni affrettate e semplici su una questione così complessa come quella del Vasto napoletano. Una considerazione va fatta: ci sono intere zone di Napoli che si sono salvate grazie alla mediaticità della gastronomia. Un nome? Via dei Tribunali, grazie ai vari Gino Sorbillo, Salvatore di Matteo ed altri. La Sanità, grazie a Ciro Oliva di Concettina ai Tre Santi, Isabella de Cham con la pizza fritta, l’aperitivo di Cantina Sepe. Le Case Nuove è diventata meta dei gastrofanatici catturati grazie a Vincenzo Esposito della pizzeria Carmnella.

Vuoi vedere che una pasticceria è già da tempo crocevia ed integrazione e lo sanno ancora in pochi? Prima di andare a prendere il treno, ché la stazione è davvero a pochi passi, fermatevi a prendere un cartoccio alla Pasticceria Lauri. Prendete un po’ di tutto, dai dolci napoletani a quelli halal, a quelli arabi. E scambiate due chiacchiere con qualcuno della famiglia.

Antica Pasticceria Lauri

Indirizzo: Via Bologna 12, Napoli
Numero di telefono: 081 563 6374
Orari di apertura: lun-sab 06.30-20.00/ dom 6.30-14.45
Sito Web: www.facebook.com/pasticcerialauri
Tipo di cucina: Pasticceria napoletana e pasticceria araba
Ambiente: informale
Servizio: rapidissimo, da asporto, informale

Voto: 3.7/5


Pasticceria Tizzano a Napoli: recensione (molto critica)

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Siamo stati alla pasticceria Tizzano a Napoli, spesso accreditata come una delle pasticcerie che produce i babà più buoni della città. Questa è la nostra recensione, completa di foto, indirizzi ed opinioni (al vetriolo).

“Vatti a fidare dei consigli” sarebbe la chiosa ideale a questa recensione. Ma non voglio essere così drastica: dopotutto questa nostra missione è fatta di prove e di tanti, tantissimi flop, ma in questo caso non posso negare di esserci rimasta un po’ male.

La pasticceria Tizzano è uno dei nomi forti, se non l’unico nome, di quell’arteria che si chiama Corso Meridionale: parallela alla Grande stazione Centrale di Napoli, percorrendola tutta si arriva in un baleno (—traffico permettendo—) alle grandi circumvallazioni esterne cittadine. Prima, però, incontriamo una delle opere architettoniche più grandi di Napoli, in generale del Sud Italia, create nel secolo scorso, cioè il Centro Direzionale.

Pasticceria Tizzano: a Corso Meridionale il mare non bagna Napoli

Il Centro Direzionale di Napoli, quartiere affaristico, sede di aziende ed enti regionali e nazionali, è il classico non luogo postmoderno fatto in una zona che, fino agli anni Ottanta del Novecento, era il premoderno. Il progetto, nato negli anni Sessanta, mirava a riqualificare una zona industriale dismessa, anche per decongestionare il centro cittadino. Solo negli anni Ottanta il progetto fu affidato nientemeno che a Kenzo Tange, uno degli architetti più influenti del Novecento.

Pasticceria Tizzano Napoli

Ad oggi, il Centro Direzionale compie sempre la sua funzione, ma non possiamo fare a meno di dire che potrebbe essere molto, molto di più. Praticamente abbandonato durante le chiusure aziendali, le grandissime piazze vuote danno l’immagine di una Napoli molto lontana e molto diversa da quella dipinta in cartolina. Anna Maria Ortese scrisse Il mare non bagna Napoli, riferendosi a quella sorta di luogo doloroso dei vicoli napoletani dove non arrivava nemmeno la sensazione del mare. Ad oggi, possiamo dire che questo non-luogo potrebbe essersi spostato in queste periferie-non-periferie, dove sembra che i grattacieli siano venuti fuori dalla notte, creando una skyline sublime nel senso filosofico kantiano del termine.

Pasticceria Tizzano: ambiente e mood

Ma torniamo alla nostra pasticceria Tizzano: frotte di lavoratori, prima di recarsi negli uffici del Centro Direzionale, fanno incetta di sostanziose colazioni a suon di babà ed altri dolcit tradizionali. La pasticceria è rinomata, appunto, per le innumerevoli versioni e fogge del babà napoletano: classico, con crema ed amarene, torte al babà. A questi, si accompagnano – ma molto, molto meno vistosi, gli altri dolci della tradizione partenopea.

paticceria tizzano napoli

 

Dopotutto, da una pasticceria che ha come claim “La fonte del babà” non potevamo aspettarci molto altro. La vetrina è occupata da alcuni coloniali, torte babà da esposizione. L’ambiente è molto ridotto, con il bancone dei dolci ad occupare tutto lo spazio disponibile tranne una striscia di pavimento davanti alla cassa. Tutto molto fermo ai gloriosi anni Sessanta, forse Settanta. Qualche articolo appiccicato sulle pareti ci ricorda la fama della pasticceria, quindi non paiono soltanto dicerie. E’, in pochissime parole, puramente una pasticceria da asporto. Non prevede il caffé, poco male nella canicola agostana di Napoli. Per quanto riguarda il capitolo prezzi, i pezzi classici (babà classico bagnato al rum, sfogliatella riccia, sfogliatella frolla) sono posizionati a 1,20 euro.

 

Il servizio è decisamente rustico, sbrigativo, poco cordiale: sono le cinque del pomeriggio e c’è ancora un bel po’ di lavoro da fare prima della chiusura, forse conviene un poco di simpatia in più.

Passiamo all’assaggio. Visto che non ci sono posti dove appoggiarmi per assaggiare in loco, faccio incartare tutto in un bel vassoio con carta patinata dai colori sgargianti e parto alla disperata ricerca di una panchina, una cosa proprio non facilissima. Preciso alla persona che mi serve la mia intenzione di mangiare i dolci a breve (tenete in mente questo dettaglio, è importante). Clima caldissimo: forse insieme ai dolci avrei dovuto acquistare una Gatorade.

Pasticceria Tizzano: i babà all’assaggio

Mi piacciono le esagerazioni, le iperboli. Insomma, sono una buongustaia amante del trash quando ci sta: quel “La fonte del babà” mi ha mandata in estasi. Lapalissiano dire quanto mi disturbi la versione caricaturale di Napoli, ma in questo caso la metonomia tra luoghi è completa. Quindi, il mio primo assaggio è dedicato proprio al babà della Pasticceria Tizzano. Ho scelto la versione classica – non amo molto le farce con creme varie quando non ce n’è motivo.

Questa volta lo richiedo con “bagna abbondante”, sarà perché nel piccolo ambiente prima descritto c’era un odore zuccherino ed alcolico da salivazione perpetua.

Luxury babà a vedersi, ben inzuppato e con peso specifico superiore alla norma. Sono stata decisamente accontentata in quanto a bagna abbondante. Il dolce è soffice, colorito bruno ed uniforme, con una bella cupola non troppo difforme dal tronco, dimensioni giuste. Finora, rispetta decisamente la fama.

Addentiamo.

A parte la bagna abbondante da me richiesta, da dipendenza, questo dolce è davvero fatto bene, senza velleità alcuna. La pasta è morbida e setosa, viene via facilmente. Si mangia in giusto quattro morsi, senza troppa fatica.

Se dovessi dare un voto singolo per dolce, a questo babà darei un bel 9 pieno. E sarebbe l’unico dolce da salvare, perché col capitolo sfogliatelle purtroppo la situazione precipita.

Pasticceria Tizzano, le sfogliatelle: situazione da rivedere

Voglio pensare di esserci andata male io, quel pomeriggio d’agosto. Le sfogliatelle in vetrina apparivano colorate, qualcuna un po’ difforme dal solito – soprattutto la riccia – leggermente aperta in qualche punto ma chissene, ne stiamo mangiando di ogni foggia in questo viaggio, cosa vuoi che sia un ventaglio un po’ aperto.

Cercherò di essere breve e chirurgica. Sfogliatella frolla: nonostante la quarantina di gradi di percepita all’esterno, già al tatto la sfogliatella risulta praticamente gelida. Gelida. Proprio fredda come un marmo da lapide. Solitamente, anche dolci serviti in vassoio da portar via – che io mangio a pochi metri di distanza dalla pasticceria – hanno una temperatura di servizio gradevole, anche se non calda, perlomeno tiepida. Qui ci avviciniamo sensibilmente alla sensazione del croissant solitario lasciato in vetrina tutto il giorno, recuperato a sera da un affamato con orologio biologico sballato.

Apriamo, mangiamo: abbiamo un problema. Il ripieno appare praticamente rappreso sul fondo, staccato completamente dal guscio di pastafrolla e, senza nemmeno dirlo, gelido. Così gelido che i canditi presenti nell’impasto sono praticamente diventati pietre. Anche volendo andarci per il sottile e provando a scomporre questa sfogliatella, non riesco a percepire granché gli aromi; la pastafrolla è davvero “fessa“, come si direbbe a Napoli, non ha retrogusti particolari ed è anche un po’ marmorea. Sarebbe andata meglio – forse – riscaldandola, in linea di massima si avverte la buona proporzione degli ingredienti usati. Ma questa sfogliatella è capitata e questa – al momento – devo recensire.

La situazione sfogliatella riccia non è molto più appagante. Stessa gelida temperatura di servizio, forse ne apprezzo di più le fattezze del guscio di sfoglia, che al morso era dopotutto soddisfacente. Ma siamo lontani, molto lontani dalla perfezione e – viste le ottime opinioni del popolo – probabilmente sono finita in un imbuto che si chiama giornata sbagliata.

Purtroppo la situazione ampiamente dis-livellata mi porta a dare un voto basso a questa pasticceria, con alcune precisazioni.

Se dovessi consigliare un babà in zona stazione-Centro Direzionale, sarebbe di sicuro questo. Ma solo il babà, eh. Gli altri dolci tradizionali sono decisamente da rivedere. Per quanto riguarda il capitolo temperature sbagliate, solitamente all’acquisto le pasticcerie forniscono indicazioni sul consumo, vedi Attanasio : solitamente, gli addetti del forno Attanasio consigliano di lasciar “riposare” un po’ le sfogliatelle bollenti prima di riporle nel sacchetto, per preservarne la struttura.

Potrei anche essere capitata semplicemente in un martedì sbagliato ed accetterei volentieri un contrattacco fatto di dolci: le recensioni non sono mai definitive, ad ogni livello e per ogni tipo di cucina. Per fortuna, oserei dire.

Informazioni

Pasticceria Tizzano

Indirizzo: Corso Meridionale 16, Napoli
Numero di telefono: 081 554 4521
Orari di apertura: lun-sab 7.30-20.30 orario continuato; dom 07.30-15.00
Sito Web: https://www.facebook.com/pasticceriatizzano/
Tipo di cucina: Pasticceria classica napoletana
Ambiente: informale
Servizio: rapido

Voto: 2.3/5

Pastéis de Belém a Lisbona: recensione dell’originale Pastél de nata

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Siamo appena stati da Pasteis de Belém a Lisbona, la più antica pasticceria della città, che possiede la ricetta originale dei pasteis de Belém (o pasteis de nata). La nostra recensione.

Magari qualche anno fa vi sareste sentiti come le giovani Marmotte a visitare Lisbona: la capitale più ad Occidente del continente europeo, strade scassate e saliscendi continui pervasi tra odore di baccalà e fado, tra un rigo di Pessoa ed una citazione di Camoes, bevendo una ginjha (liquore alle ciliegie) oppure cercando le pasteis di baccalà (dei crocché al baccalà, spesso anche con formaggio di pecora) migliori della città, inseguendo il fado.

Pastéis de Belém a Lisbona

Sebbene ancora un po’ scassata, Lisbona ha purtroppo perso un po’ di quel fascino decadente da ultima città di frontiera per prestare il fianco ad un turismo fruibile ed internazionale. Mercati coperti, un sistema di trasporti cittadini invidiabile (tranne che per il tram 28, solo per affezionati), l’offerta di cibo che straripa dai confini di questa malinconica capitale. Il fascino della tasca (una sorta di tavola calda molto modesta con pochi posti a sedere, che serve cibi alla spicciolata) resiste ancora, così come quello di un dolce lussurioso e monastico la cui fama ha valicato i confini continentali: parliamo dei pasteis de nata, o meglio dei pasteis de Belém, chiaro.

 

Pastéis de nata, Pastéis de Belém

Pasteis de nata, quindi, dicevamo. Pastel al singolare,  una “pastarella” direbbero i napoletani, tradotto spesso in italiano come “pasticcino“: niente che potrebbe dare meno giustizia a questo dolce davvero goloso.

Il pastel de nata è composta da un tappo di pastasfoglia ben unto, ripieno di crema all’uovo con aggiunta di farina e aromi vari.

Ricetta secretata a mo’ di segreto di Stato, sebbene in rete se ne trovino diverse che vi si avvicinano, tutte accomunate dall’ utilizzo del limone e della cannella. Il passaggio in forno li rende caramellizzati in superficie, sprigionando sentori di zucchero che mandano in pappa il cervello. Nella versione take away vengono docilmente chiusi in un cofanetto, insieme a bustine di zucchero e cannella, da cospargere a piacere come sostanza stupefacente.

Un dolcino genderfluid: gli odierni pasteis de nata nascono pasteis de Belém; la storia è abbastanza avvincente.

Pastéis de Belém: la storia e i luoghi

La storia dei pasteis, come quella di molti dei dolci migliori del Belpaese, affonda le radici in un monastero: in questo caso è il monumentale Mosteiro dos Jeronimos, praticamente accanto alla pasticceria Pasteis de Belém che noi abbiamo visitato.

I pasteis da “de nata” nascono Pasteis de Belém: qui – dicono – si avvalgono di una ricetta segreta tramandata dagli inventori, che la rende diversa dagli altri pasteis.

La pasticceria Pasteis de Belém si ritrovò ad essere, qualche anno fa, il primo locale al mondo per numero di recensioni su Tripadvisor: ad oggi ne contiamo quasi 49mila.

La storia – molto raccontata in giro, persino sui menu della pasticceria – narra che nel XIX secolo Belém era una zona molto lontana dal centro cittadino di Lisbona, addirittura un’altra cittadina: così solitaria e venosa da costruirci il monumentale Mosteiro dos Jeronimos; accanto al monastero, c’era una raffineria di zucchero. Con le rivoluzioni liberali portoghesi del primo Ottocento, i monaci si trovarono in grande difficoltà economica: iniziarono a vendere i pasteis al pubblico inebriato da tanta dolcezza, fino a che il monastero non chiuse. I confratelli vendettero così la ricetta – tutta la ricetta, o quasi tutta – a cinque pasticcieri lisboeti, che la diffusero.

Ad oggi, questi cestini ripieni sono diffusi in tutto il territorio lusofono: Brasile e qualche parte di Asia – l’isola di Formosa e Macao – dove furono così ben accolti da inventare le prime varianti. Sul continente ci ha messo un po’ ad affermarsi, lasciando il posto a velleità più instagrammabili. Ora, sembra rivendicare la sua parte.

E noi siamo andati a provare l’originale.

Pastéis de Belém: menu e ambiente

La prima cosa che vedrete, di questa pasticceria, è la fila. Demotivante ma veloce lo scorrimento, soprattutto perché la maggior parte è da asporto e all’interno – tra laboratorio e banco – si lavora a ritmo battente. Il caldo ed il vento battente di questa zona vi porteranno una buona dose di fame nell’attesa, oppure ad un cocktail di Oki per la cervicale, dato il vento.

Pastéis de Belém a Lisbona

Il menu è esposto sulle mura interne della pasticceria, tra un azulejo (il tipico mattonellato portoghese dove il colore azzurro è prevalente, ndr) e l’altro; il prezzo delle pasteis, l’attrattiva forte del posto, è esposto anche fuori: un pastel de Belém costa 1,15 euro, un po’ meno di un dolce tipico napoletano. Altri dolci, come quelli al cocco, alle mandorle, brioche zuccherate tipo maritozzi vuoti o bolas de coco (dolcetti al cocco) si attestano da 1 euro fino a massimo di 4 euro. Le pasteis solitamente vengono accompagnate da caffé caldo ( “Carioca”, 0,85 centesimi) oppure vino porto (2,60 euro ad assaggio per quello standard “della casa”).

Non è previsto il prezzo del servizio al tavolo, il che rende il conto finale decisamente abbordabile.

Il servizio è veloce, nonostante il traffico umano, ma la pulizia lascia a desiderare: il pavimento avrebbe bisogno di essere più volte ripulito e tra un tavolo e l’altro ci passa lo sporco. A ragion veduta, mi sento di dire che questi portoghesi non ci tengono molto alla pulizia, rock on guys. Vista la fila, gli innumerevoli turisti sembrano abbastanza indifferenti alla cosa.

La pasticceria, banco immenso ed invisibile data la mole di persone davanti, è a dir poco labirintica: 400 posti a sedere divisi in diverse sale comunicanti attraverso un arco nudo; per caso, incappo anche in un laboratorio a vista dove lavorano le pasteis. Un lungo serpente di pasta sfoglia viene lavorato, massaggiato ed infine “tagliato” (esattamente come avviene per le sfogliatelle napoletane), infine modellato in appositi pirottini di metallo per dare la forma di cestino. Una volta riempiti i cestini di sfoglia con la crema all’uovo (più ingredienti segreti), vanno in forno.

Solo tre persone (tre, signori, tre) sembrano conoscere l’esatta ricetta dei pasteis; solo queste persone hanno accesso al sancta sanctorum degli impasti.

 

Dal forno al banco, al successivo consumo, passa davvero poco tempo: Pasteis de Belém, negli anni scorsi, ha dichiarato di aver incrementato la manodopera da 31 persone fino a 180; questo, per servire circa 15mila pasteis al giorno.

Pasteis de Belém: l’assaggio

15mila pasteis al giorno: i pasteis de Belém sono davvero piccole, cestini di sfoglia burrosa che entrano nel palmo di una mano. Mangiarne uno è facile, mangiarne due è praticamente automatico, complice anche il prezzo irrisorio che è bene o male simile in molte altre famose pastellerie cittadine. Ci andiamo leggeri e ne ordiamo 3, nell’unica versione disponibile, quella classica: pastasfoglia, crema all’uovo ed “ingredienti segreti”.

Spoiler: i monaci non ce ne vogliano, ma non ne abbiamo individuati molti altri rispetto a quelli delle comuni e mortali “pasteis de nata” diffuse a Lisbona.

Ci arrivano in un piattino con monogramma della pasticceria, insieme ad un dispenser di zucchero ed uno di cannella per la guarnizione finale a piacere. Nudi, i pasteis sono leggermente caramellizzati in superficie, una anche fino al limite. Al tatto, la pastasfoglia è molto unta e rilascia grasso anche nel piatto. La temperatura di servizio è abbastanza calda e teniamo l’effetto colata lavica della crema all’uovo, una volta morsa.

Sorpresa: la colata lavica non c’è, complice una consistenza budinosa della crema all’uovo. La pastasfoglia è libidinosa come ci aspettavamo, grassa, induce alla dipendenza per manifattura ed il suo essere sottile e scrocchiarella allo stesso tempo.

Capitolo crema: come dicevamo, cari monaci, questo ingrediente forse è così segreto che non ci appare. Piuttosto, è molto percepibile una presenza marcata della farina nella crema, rendendo granuloso al palato l’insieme. Un po’ come quando sbagliano il ripieno di certe sfogliatelle napoletane con troppo semolino. Non avvertiamo aromi particolari oltre un po’ di limone e della cannella, ma nel complesso non disturba affatto. La sensazione della crema calda all’uovo è impagabile, per gli amanti ed il sapore complessivo è goloso, non tende particolarmente al dolce stucchevole come in altri pasteis provate.

Il conto finale per tre pasteis, un caffè ed una premuta d’arance non raggiunge i 7 euro: a conferma che Lisbona è ancora una capitale dove si può mangiare relativamente con poco.

Avendo provato diverse pasteis a Lisbona, queste, di Pasteis de Belém, non sono le migliori in circolazione. Quello che capita ai luoghi turistici, dopotutto: ne facciamo dei mausolei e – per puro valore emotivo – li “spingiamo”. Nel caso di questa pasticceria, mi sento di spezzare una lancia a favore: il personale s’impegna affinché si possa trovare un prodotto mediamente buono (con qualche difetto di fabbrica), servito abbastanza bene, ad un prezzo contenuto. Cosa che, mi tocca dire, non ritroviamo in moltissimi luoghi (caffé, pasticcerie, pizzerie) iconiche del nostro Paese, dove la “storicità” sembra dover giustificare tutto, anche un conto molto salato. In sostanza:

qualità : emotività = prezzo : ne vale la pena

In questo caso la proporzione è esatta.

Una bella passeggiata a Belém, con annessa visita al Mosteiro, alla torre omonima ed alla pasticceria, ci sta tutta. Poi di queste pasteis ne avrete una bella saudade, forse anche di tutto il Portogallo, come la sottoscritta.

Pastéis de Belém a Lisbona

Informazioni

Pasteis de Belém

Indirizzo: Rua de Belem 84-92, Lisbona
Sito Web: www.pasteisdebelem.pt
Orari di apertura: sempre aperto, orario continuato 08.00/23.00
Tipo di cucina: pasticceria tipica portoghese
Ambiente: molto storico con azulejos (mattonelle) tipiche portoghesi ovunque
Servizio: veloce e davvero molto cortese

Voto: 3,3/5

Freedom Lounge Bakery a Torino, recensione: la nuova pasticceria senza glutine in centro

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Mercoledì 11 settembre 2019 in via Arcivescovado 9, a Torino, ha inaugurato Freedom Lounge Bakery, pasticceria gluten free in centro città. Abbiamo atteso che la ressa tipica delle nuove aperture cedesse il passo a un servizio quotidiano normale e ci siamo andati, in incognito, come per ogni recensione che si rispetti. 

L’aspettavamo da tanto un posto così; una pasticceria senza glutine ma non solo –, nel cuore di Torino, a pochi passi dalla centralissima via Roma. Un locale dove fare una colazione nutriente, un pranzo al volo, concedersi uno strappo alla regola di metà pomeriggio o dare appuntamento agli amici per un aperitivo. Un posto dove i celiaci come me possono sentirsi come tutti gli altri, senza dover passare mezz’ore a consultare la lista degli allergeni o sottoporre il cameriere a interrogatorio sul rischio di contaminazione e trovarsi a mangiare il solito biscotto avvolto nella plastica al modico prezzo di 3€ (esagerando, ma neanche troppo).

inaugurazione Freedom Bakerybiglietto da visita Freedom

Un locale dove la celiachia e l’intolleranza al glutine non sono un problema, ma l’occasione per mettersi alla prova e garantire al cliente prodotti senza glutine anche più buoni della media di quelli che lo contengono. L’esperienza in questo senso, certo, non manca: Freedom Lounge Bakery è infatti il nuovo marchio della famiglia Cafè&Patiserie di via Filadelfia 113/b, una delle migliori pasticcerie gluten free a Torino.

L’ambiente

interno della pasticceria Freedom di Torino

Lo dice il nome ed è scritto sull’insegna: Freedom è una lounge bakery contemporanea. Dimenticate l’arredo shabby-chic, le teiere con i fiori e i tostapane vintage, elementi immancabili nelle pasticcerie aperte negli ultimi anni a Torino; qui, l’ambiente è elegante, studiato nei minimi particolari.

Il bancone è proprio di fronte all’ingresso e parte della sala sottostante è occupata da un tavolo di design in pendant con il color terra di siena bruciata delle pareti. Gli altri tavolini sono disposti sul soppalco in vetro e acciaio dove, per il tempo di permanenza, un po’ sembra di essere a New York. In totale, la pasticceria gluten free ha circa 50 posti a sedere.

soppalco Freedom, pasticceria gluten free a Torino

Le vetrine sono separate tra pietanze come insalate per il pranzo, toast, pizze e focacce, e proposte di pasticceria dolce: biscotti, crostatine, meringhe e croissant.

vetrina pasticceria senza glutine a Torino

pranzo al Freedom di Torino

L’atmosfera è rilassante, tranquilla, e il sottofondo musicale swing/blues/jazz di buon gusto anche per chi ama leggere un libro durante la pausa, il giornale a colazione o necessita di concentrazione per lavorare usufruendo della rete wifi ad uso dei clienti.

Alle grandi vetrate che affacciano sulla strada è riservato lo spazio per i frigoriferi e le più tradizionali torte di pasticceria con pan di Spagna, panna e creme. Di certo, una scelta vincente a dedurre dalla curiosità mostrata dai passanti.

torte senza glutine Freedom bakery

La toilette è unica, senza distinzioni di genere, e seppur non troppo grande ben disposta e pulita.

Il menù

Come anticipato, la proposta del menù di questa pasticceria gluten free è variegata e copre l’arco della giornata tra la colazione e l’aperitivo senza limitarsi alla pasticceria tradizionale, ma anzi dando la possibilità a celiaci e intolleranti al glutine di poter consumare un pranzo veloce o prendere qualcosa da asporto, cosa più unica che rara in centro città fino ad oggi.

I prodotti vengono realizzati con mix di farine appositamente studiati che contengono anche farine naturalmente senza glutine come quella di mais e quella di riso. L’ingrediente “segreto” è un amido di frumento deglutinato prodotto esclusivamente per Freedom Lounge Bakery e Cafè&Patiserie in un laboratorio specializzato a Perugia. E la differenza con i prodotti industriali senza glutine dai costi abominevoli si sente eccome.

prezzo al chilo della pasticceria senza glutine

Anche sul beverage, Freedom Lounge Bakery ha proposte di ricerca: innanzitutto, per la consumazione al tavolo, l’acqua viene servita alla spina in bottiglie di vetro poi lavate e riutilizzate, contribuendo alla riduzione della plastica già fin troppo presente sul pianeta; non mancano le classiche proposte di caffetteria e anche la miscela del caffè è accuratamente selezionata; per quanto riguarda i succhi di frutta, oltre quelli classici, sono disponibili i Yoga con pera e zenzero, mirtillo o mango, mela e zucca.

Purtroppo, seppur richiesto, non mi è stato portato un menù cartaceo, un po’ perché essendo aperto da pochissimo il locale è in divenire, ma certo poter consultare i prezzi e aver scritte le proposte – penso di non essere l’unica che al quinto piatto che il cameriere recita a memoria ha già dimenticato i tre precedenti – non sarebbe stato male, anche per non dover scendere al piano di sotto ogni volta che si vuole aggiungere qualcosa.

I nostri assaggi

Eccoci arrivati alla fase succulenta della recensione di Freedom Lounge Bakery, pasticceria gluten free di Torino. Non ho lesinato sugli assaggi, provando la gran parte dei prodotti dolci e salati presenti, in quel momento, nelle vetrine (le proposte variano giornalmente). Ho iniziato dalla colazione e mi sono convinta a rimanere anche per il pranzo, sostanzialmente.

Cappuccino e croissant

cappuccino e croissant senza glutine

Cappuccino nella media, con schiuma persistente e decorata. Però, lo zucchero? Il croissant non troppo grande, giusto come dimensioni e ben farcito. La pasta resta un po’ dura in alcuni punti dove la crema non arriva, ma complessivamente è un ottimo prodotto da forno senza glutine.

Prezzo: 1,50€ + 2,40€

Focaccia e succo di frutta

focaccia senza glutine

A proposito dei succhi di frutta, ho già detto che questa pasticceria gluten free, ha proposte anche non tradizionali. Io ho scelto di provare il succo pera e zenzero Yoga, decisamente meno zuccherato rispetto ad altri competitor.

Ma veniamo alla focaccia. Alta, leggera con crosta croccante. Il sale grosso e l’origano danno la giusta sapidità. Un po’ di olio in più non sarebbe guastato, ma è molto più buona di tante focacce glutinose reperibili nelle panetterie.

Prezzo: 3€ + 3,50€

Pizza

pizza senza glutine

10+. Dopo la prova d’assaggio delle pizze senza glutine surgelate una pizza così mi ci voleva proprio. Molto alta, soffice e ben farcita. Già dal profumo, l’acquolina in bocca si fa irrefrenabile. L’impasto morbido è ricoperto dal pomodoro, di acidità bilanciata, e dal formaggio di buona qualità. Il trancio, o meglio il quadrato, servito è grande e sufficiente come porzione per il pranzo.

Prezzo: 3€

pizza senza glutine a Torino

Toast

toast senza glutine a Torino

Il toast è piuttosto grande come dimensioni, come per la pizza, più da porzione per il pranzo che da tramezzino veloce per una colazione. Il pan carrè senza glutine è di buona fattura, leggero, un po’ dolce come impasto – ma sappiamo che sui prodotti da forno senza glutine i miracoli non si possono fare e qui siamo già a livelli molto alti – se mangiato da solo, ma giusto come sapidità quando addentato insieme al prosciutto e al formaggio. Il bordo resta croccante.

Prezzo: 4€

Pasticceria secca e biscotti

pasticceria senza glutine a Torino

Ho assaggiato cinque tipi diversi di pasticceria secca, tra quelli disponibili nella vetrina dei dolci.

  • Cuore: prodotto con farina d’avena, ha un buon equilibrio di dolcezza e punta di sapidità. Sono percepibili note di tostatura e una leggera granulosità.
  • Biscotto con marmellata: ottima pasta frolla, leggera, friabile al palato; dimenticate il sapore di burro che spana completamente la bocca. Anche la marmellata è giusta nella dose e nella quantità di zucchero.
  • Biscotto al cacao: sempre la memorabile pasta frolla e un cacao d’eccellenza, per un biscotto complessivamente leggero e gustoso, per nulla stucchevole.
  • Meringa: leggera e croccante, ben realizzata. Dolce dolce, ma d’altronde che meringa sarebbe?
  • Torcetto: l’aspetto poco dorato, piuttosto diverso dai torcetti cui siamo abituati, non rende giustizia al gusto. Non fermatevi alle apparenze: la sfoglia è perfetta, soffice e friabile e i granelli di zucchero in superficie valgono tutto. Confesso: il mio preferito.

Prezzo: 2,60€

Torta

torte senza glutine a Torino

Poteva mancare l’assaggio della torta di inaugurazione di Freedom Lounge Bakery? Ovviamente no, tant’è che non mi sono lasciata sfuggire una bella fetta con pan di Spagna, crema, panna e granella di nocciola. Anche qui, nulla da dire sull’equilibrio complessivo: la giusta dose di farcia e pan di Spagna soffice, panna, e nocciola che dà il croccante. Le decorazioni al cioccolato fondente e le pesche completano con l’amaro e la corretta acidità. Un’ottima torta senza glutine.

Prezzo: la fetta di torta è stata offerta dalla casa.

fetta di torta senza glutine

torta senza glutine con panna

Caffè

caffè della pasticceria Freedom a Torino

Miscela ricercata, selezionata e variata a periodi con note di nocciola finali; un’acidità davvero troppo spiccata e astringente per i miei gusti.

Prezzo al tavolo: 1€

Servizio

Il servizio è perfetto come tempi: non troppo veloce a screditare la qualità della proposta, ma nemmeno lento che rischia di annoiare il cliente. Il personale è giovane, alla mano e molto preparato, pronto a soddisfare le richieste e a raccontare con entusiasmo tutto il lavoro che c’è dietro a una pasticceria gluten free come Freedom Lounge Bakery.

Purtroppo non è mancata qualche disattenzione: per due volte è stato dimenticato lo zucchero e nonostante il passaggio da colazione a pranzo, sono arrivate le posate e il tovagliolo di tessuto non tessuto, ma mancava la tovaglietta a completare la mise en place.

Il giudizio finale per questa pasticceria gluten free è sicuramente molto positivo. Si percepiscono la cura e l’attenzione per il lavoro, la passione vera di chi ama il proprio mestiere. Ciò che più mi ha lasciato sono l’equilibrio e la ricerca: Freedom Lounge Bakery è un locale che propone sapori diversi, ma sempre bilanciati, selezionando ogni singolo ingrediente. Un locale giusto, dove nelle proposte e nell’ambiente non c’è spazio per gli eccessi.

scontrino della pasticceria gluten free Freedom Lounge Bakery

Informazioni

Freedom Lounge Bakery

Indirizzo: Via Arcivescovado 9, Torino
Telefono: 011.58.61.080
Orari di apertura: lun-sab dalle 7:30 alle 20 | dom. dalle 8:30 alle 19
Sito web: www.freedomgf.it
Tipo di cucina: pasticceria-bar gluten free
Ambiente: informale

Voto: 4/5

[Foto: Marianna Bottero per Dissapore]

Bra: i migliori ristoranti, negozi e locali della città di Slow Food

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Bra è un’icona della gastronomia a prescindere dalla sua offerta gastronomica. Poco importa (si fa per dire) quali siano i migliori ristoranti, negozi e locali di una città che ha dato i natali a Slow Food, a Cheese e all’Università di Scienze Gastronomiche: tanto basta per essere considerata una meta, per noi.

Ciò premesso, si dà il caso che la Salsiccia di Bra, quella vera, si venda solo lì (dove comprarla, dunque?), che ci sia un negozio di formaggi che è una Mecca per appassionati, che parecchie osterie (due, su tutte) si distinguano nel panorama piemontese. E dovete sapere che a Bra si beve caffè Specialty e vino “naturale” quasi come se non si fosse in provincia di Cuneo (senza offesa eh).

Durante Cheese 2019, e anche per dare qualche suggerimento a chi ci sta andando, ci siamo rinfrescate la memoria e aggiornate sullo stato gastronomico di Bra, riprovando qualche posto, bocciandone altri (e scoprendo, tra le altre cose, che al momento la città è priva di una buona hamburgeria). Dunque, eccovi la mappa dei migliori ristoranti, negozi e locali di Bra, firmata da due redattrici che l’hanno vissuta attraverso Scienze Gastronomiche.

Macelleria Tibaldi Davide

Corso Garibaldi 18

Uno dei prodotti alimentari più affascinanti che la mente umana abbia mai elucubrato, la Salsiccia di Bra, da consumarsi rigorosamente cruda, trova nella macelleria Tibaldi, a pochi passi dal Municipio, uno dei suoi massimi esponenti. Scegliamo la sua salsiccia riferimento a furor di popolo, benché la nostra Prova d’Assaggio dedicata (sì, abbiamo provato alla cieca tutte le salsicce di Bra consorziate) avesse dato Carena vincitrice. Per la cronaca, Tibaldi, con la sua ricetta esemplare, che non a caso piace a tutti, era arrivata seconda.

Se volete provare una “ricetta diversa” (tenete conto che gli ingredienti son sempre quelli, benché dosati a discrezione: carne bovina di fassona, grasso di suino e spezie, vino arneis e formaggio, generalmente Parmigiano), dopo aver assaggiato la classica di Tibaldi, vi suggeriamo quella di Milanesio Roberto (via Vittorio Emanuele II 12), interpretazione più condita della cruda.

Giolito Formaggi

via Monte Grappa 6

Il negozio di Fiorenzo Giolito è un tempio, una vetrina meravigliosa di latti crudi, croste fiorite, vallate piemontesi e affinamenti home made che non rende l’idea, davvero non sarà sufficiente a farvi capire il lavoro e la conoscenza dietro quel banco. Libri e cimeli di famiglia, per dirla in maniera pratica: c’è un vero e proprio museo dell’arte lattiero-casearia al piano sottostante Giolito Cheese, visitabile su richiesta e in determinate occasioni. Chiedete e vi sarà detto tutto quello che volete sapere sul formaggio: a fare la spesa lì c’è da imparare.

Zero – Enoteca conviviale

Via Pollenzo, 10

zero

L’idea giusta, nel posto giusto, al momento giusto. Si può definire così Zero – Enoteca conviviale, il winebar naturale aperto da Maurizio Damilano circa un anno e mezzo fa. Sì, perché un locale di questo tipo non poteva che esistere e prosperare soltanto in una Bra definitivamente colonizzata dall’assetata ciurma degli studenti di Pollenzo. In un universo parallelo in cui l’Università di Scienze Gastronomiche non c’è mai stata, sarebbero ben pochi i braidesi doc disposti a spendere cifre decisamente sopra la media per bottiglie di nicchia, dal gusto e dal naso a volte “estremi” che nulla hanno a che vedere con i rossi barricati della zona o col bianchino del bar di fiducia.

Qua si parla una lingua in codice fra glou-glou, pét-nat sanf soufre, si scrive sui muri e si sperimenta, spesso guidati dallo stesso Maurizio. La scelta non si limita al vino: se non l’avete mai fatto, vale la pena di dare un’occhiata alla selezione di birre (sour e non) e sidri artigianali che, anche se cambia un po’ a sentimento, regala chicche introvabili. Si stuzzica con gusto ma si aspetta un po’.  Nel frattempo, si beve (bene).

La Boqueria

Piazza Carlo Alberto 22

Prima che Zero diventasse il punto di riferimento sul vino naturale in città, gli spiriti alternativi potevano rinfrancarsi a La Boqueria, che oltre ad essere un bar ristorante, dalla dichiarata vocazione mediterranea, espone una discreta selezione di vini. “In boqueria” ci si va a qualunque ora, per fare colazione con tè alla menta e torte fatte in casa (provate la cheesecake!), per un buon piatto onesto, per la tisana con i biscotti nel dehors, per l’aperitivo. Ma soprattutto, si va perché si sta bene.

Osteria La Pimpinella

Via San Rocco, 70

pimpinella

Tinte al technicolor e disposizioni alla Jackson Pollock non sono proprio il pane quotidiano sulle tavole langarole, ancor meno se si tratta dei piatti della tradizione. Svecchiare le ricette non è compito facile e il merito va a Silvia e Manuel (in sala lei, in cucina lui) che insieme hanno costruito un menu che rivisita i classici e, udite udite, usa molto il pesce.

Ci piacerebbe vedere la stessa verve leggera e e giovanile nell’arredamento della sala (un atelier per spose?) che nemmeno il sorriso di Silvia riesce a scaldare. Stesso discorso vale per l’esterno: cari proprietari, se volevate acquistare più visibilità a Bra, non serviva partecipare alla puntata di 4 Ristoranti dedicata alle Langhe (in cui, tra l’altro, come al solito tutto è sembrato il contrario di tutto). Bastava togliere quelle tende asfissianti alle finestre che fanno tanto mensa dell’hotel (o ristorante tre Stelle Michelin) e avreste riacquistato punti, anche quelli persi in trasmissione. Ad ogni modo, questa osteria, meno celebre delle concittadine “chiocciolate”, a noi piace.

Pasticceria Lusso

Via Audisio, 13

pasticceria-lusso

La Pasticceria Lusso ha un minimo comun denominatore: le dimensioni ridotte. Microscopico il locale, minuta la signora Vittorina dietro al bancone, piccola la produzione artigianale. Sembra che gli sforzi siano concentrati sull’attenzione al dettaglio, e ben venga! Partiamo dal meno ovvio, ovvero il gelato: pochi gusti (nocciola, torroncino, crema della nonna e, curiosamente, birra) ma assolutamente approvati.

Poi la biscotteria e i dolci tipici, tra cui spiccano il tumin di Bra, che sembra formaggio ma non è perché è fatto di nocciole, e il salot, una pasta sfoglia molto compatta e virtualmente indistruttibile ripiena di arancia candita, uvetta e marmellata di albicocca. Se nella botte piccola c’è il vino buono, Pasticceria Lusso modestamente conferma l’adagio.

Gelato I.G.P.

Via Principi di Piemonte, 63

gelato igp

Gelato I.G.P. fa di tracciabilità e stagionalità degli ingredienti il suo marchio di fabbrica. D’altronde, non poteva essere altrimenti con un nome così. Dietro al bancone di questa gelateria artigianale trovate invariabilmente la proprietaria, sempre disponibile a farvi assaggiare i sorbetti (non solo di frutta: da provare assolutamente il cioccolato), i gusti classici e rivisitati (in questo periodo non può mancare la versione “Cheese”), in qualche caso “presidiati”, fatti con Presìdi Slow Food. Poi lo stecco da passeggio e le granite siciliane. In più trovate anche confetture, nocciole e cioccolatini.

Bottega delle delizie

via Pollenzo 6, Bra

Lo specialty coffee di Bra è un punto di riferimento per l’intero settore. Quando quelli che ora ostentano medaglie vinte ai concorsi SCAE imparavano ad allacciarsi le scarpe, Paolo Panero apriva il suo negozio nel 1982. Estrazioni curatissime, micro-torrefazioni selezionate, caffè bean to bar in abbinamento, ibrik o perché no, un espresso come si deve al prezzo che merita. L’ambiente non vi ricorderà uno specialty bar, ma una bottega profondamente sabauda, con caramelle e prodottini ricercati tra gli scaffali a parete in legno elegante.

Ristorante Battaglino dal 1919

Piazza Roma, 18

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Anche quest’anno Ristorante Battaglino conquista la Chiocciola e si riconferma tra le migliori Osterie d’Italia 2020. La cosa ci sorprende? Niente affatto: ormai l’incensazione da parte di Slow Food prosegue senza sosta da sei anni, e a ragion veduta secondo noi. Lasciamo un attimo da parte le somiglianze fin troppo ovvie con l’altro eterno detentore del premio annuale (cough, Boccondivino) e il gioco dei confronti che inevitabilmente si fa duro, dalla consistenza della pannacotta a chi ce l’ha più grosso (ma cosa avete capito, si parla del glicine nel dehors!).

È da premiare il fatto che un prodotto così “tradizionale” e di stampo prettamente familiare abbia saputo reinventarsi, anche e soprattutto grazie alla squadra tutta al femminile guidata da Alessia Battaglino. Il padre Giuseppe naturalmente vede e provvede, ma Alessia tiene molto bene le redini dell’attività: accanto ai classici che non mancano mai e sono anche eseguiti a regola d’arte, propone coraggiosamente piatti leggeri e delicati, spesso interamente a base vegetale. L’unico posto a Bra (e non solo) dove si può ordinare un’insalatina di tempeh con contorno di battuta al coltello.

Osteria del Boccondivino

via della Mendicità Istruita 14

boccondivino

“Uno dei luoghi che più a contribuito a codificare l’idea moderna di osteria e la cucina tipica piemontese”: perdonateci se nell’inserire Boccondivino in questa nostra lista non usiamo parole nostre, ma quelle di Slow Food (Osterie d’Italia 2020), che con il ristorante condivide lo splendido cortile, su cui si affaccia la sede dell’associazione. Iconici i tajarin con la salsiccia di Bra, la panna cotta (vedete sopra, all’altra osteria con la Chiocciola della città) e francamente, tutti i piatti piemontesi in genere, interiora comprese.

TAKO

Via Mendicità, 7

tako a bra

Se vuoi essere un sushi restaurant di qualità e ti trovi sulla stessa via dove è nato Slow Food, allora devi fare le cose per bene. TAKO è l’indirizzo di pesce crudo (e cotto) a Bra che rielabora la tradizione giapponese con un twist italiano. Sì, tante belle parole alla “caffè italiano in tazza francese” detta in Autogrill, ma quindi? Gli elementi per orientarvi sono: materia prima di qualità, pulizia con tanto di cucina a vista (anche dalla strada) e ricette estrose.

Ecco così che prendono forma il bra-maki (roll con porro e Salciccia di Bra), il maki-Cheese (con mozzarella al posto del riso), ma anche gazpacho, tartare e crudo di gamberi rossi di Sicilia. I prezzi sono un po’ sopra le righe ma, come si dice in questi casi, la qualità si paga.

Sardo e Quaglia – aka La Signora delle Spezie

Via Audisio, 33

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Se a Bra chiedete di Sardo e Quaglia lo capiscono subito che venite da fuori. Per tutti infatti questa fornitissima drogheria si identifica con la loquace figura della sua proprietaria, da cui La Signora delle Spezie. Un po’ chef, un po’ “medico” e anche un po’ maga, fondamentalmente una “budellara”, Teresa Quaglia è sempre pronta a dispensare consigli su dosi, ricette e benefici di qualsiasi spezia abbiate bisogno. La trovate invariabilmente dietro al bancone tra enormi barattoli di vetro, frutta essiccata, riso locale e una vasta selezione di cibi confezionati a vocazione biologico-vegana. Assicuratevi di non aver lasciato la macchina in divieto di sosta perché avrete bisogno di tempo: spesso c’è la coda di clienti, ma anche presa da sola la signora Teresa non mancherà di incantarvi con le sue parole.

Osteria Syslak

Via Vittorio Emanuele 179

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Uno dei punti di forza del Syslak, oltre a cocktail d’autore e pane fatto in casa, è indubbiamente l’atmosfera. È tanto bello quanto buono visitare questo piccolo locale dagli arredamenti anni ’60, le foto black&white delle rockstars alle pareti, le appliqués soffuse e colorate sui tubi a vista e la musica jazz nelle orecchie. Ideale per il dopo cena, le proposte di cucina e mixology non sono ugualmente interessanti. A fronte di un menu un po’ scarno (solo tre o quattro voci per portata) Syslak guadagna in fantasia, con piatti che cambiano spesso e un paio di specialità, ma la proposta gastronomica non è all’altezza dei cocktail, che meritano e sono parecchi.

Il nostro consiglio tuttavia è quello di lasciarvi guidare dall’abilità del barman, basta fargli sapere di che gusto siete oggi. Sui vini, invece, si può fare di più. Tappa obbligata in bagno (non pensate male) se volete trovarvi in mezzo a un’installazione pop: non diciamo altro, andateci per scoprirlo.

Panetteria Fagnola dal 1923

Viale Madonna dei Fiori 42-44

pane di bra

Non ci si può occupare del panorama gastronomico di un comune che è pur sempre piccolo-medio senza parlare di pane. Come succede sempre in questi casi, ognuno ha il suo e si va a fiducia o ad abitudine: stavolta però ci sentiamo abbastanza sicuri per indirizzarvi da Panetteria Fagnola dal 1923. Farine biologiche macinate a pietra, lievito madre e tanta esperienza sono gli ingredienti del successo di questo panificio artigianale, una reputazione pazientemente costruita nell’arco di tre generazioni e portata avanti dalle mani in pasta di Gianfranco Fagnola. Oltre al PanediBra, tutelato da apposito consorzio, ci trovate un ventaglio di cereali (farro, segale, kamut) e un’ottima area pasticceria, curata da Emanuela Isoardi. Il laboratorio è un po’ spostato rispetto al centro storico: fatevi una passeggiata, ne vale la pena.

Se invece siete pigri e appartenete alla generazione JustEat e Deliveroo, abbiamo la via di mezzo che fa per voi. Da qualche mese a Bra è arrivata Panegiro – La Bottega Itinerante del Buon Pane, nuova avventura di Davide Grimaldi (per la cronaca, anche lui ex studente di Pollenzo). Durante la settimana Davide si sposta fra Bra, Alba, Fossano e Savigliano. Voi non dovete fare altro che prenotare online scegliendo data, location e pane tra quattro opzioni che, assicuriamo, son poche ma son fatte proprio bene. Si paga al momento del ritiro e si torna a casa contenti con una forma di pane che si conserva almeno per una settimana.

Osteria Murivecchi

Via G. Piumati, 19

Osteria Murivecchi

La succursale di Ascheri, il produttore di vino made in Bra ma dislocato su vari terreni in giro per le Langhe, si chiama Osteria Murivecchi. Facciamo una premessa veloce per chi non fosse del luogo: la cantina, hotel e ristorante in questione si trova al di là della stazione, terra di leggende e chimere per il braidese medio che di norma più in là di Piazza Roma non si spinge. Eppure vale la pena di farli quei cento metri in più oltre il passaggio a livello alla scoperta di nuovi mondi.

Il locale è ricavato dalle vecchie cantine di affinamento del Barolo e, diciamolo, tutto vira intorno al vino. Ogni occasione è buona per ricordare che siamo ospiti di una famiglia di viticoltori e il marketing è abbastanza agguerrito: ce lo possiamo aspettare e va bene così. Il menu si mantiene abbastanza sulla tradizione (ogni tanto compaiono ingredienti “alieni” che cercano di variare un po’ le ricette ma non siamo sicuri che ci riescano); soprattutto cambia ogni settimana. E questo basta a convincerci.

Osteria La Bocca Buona

Via Audisio 22

Osteria La Bocca Buona

La gara dei dehors a Bra è spietata. Ci si mette anche l’Osteria la Bocca Buona a confonderci le idee sul ristorante della tradizione che sia buono, autentico e anche scenografico. Per arrivarci bisogna mettersi nei panni di Alice nella Tana del Coniglio: l’insegna è sulla strada, ma un lungo tunnel porta al cortile interno. D’inverno la sala open space è ben illuminata, minimal e circondata da ampie vetrate; d’estate bisogna approfittare del giardinetto circondato dai gelsomini, delizioso soprattutto dal punto di vista dei turisti anglosassoni che affollano le tavolate.

La cucina propone un medley di piatti storici e innovativi: su tutti l’esempio eclatante è il Bra-Egg, rivisitazione dello Scotch Egg made in UK ripieno però di Salciccia di Bra. Non mancano mai flan di verdure e vitello tonnato, affiancati da proposte meno scontate a base di pesce e verdure di stagione. Carta dei vini molto interessante, e se avete qualche dubbio il proprietario sarà felice di darvi la sua opinione (su tutto, non solo sul menu, siete stati avvertiti).

Caffè Converso

Via Vittorio Emanuele 199

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Indubbiamente quella del Caffè Converso è una storia da raccontare. Si parte dal 1838 quando venne avviato da Giuseppe Converso come confetteria; a inizio Novecento il nipote Felice lo trasforma in caffetteria, liquoreria e pasticceria, specializzandosi in alcune preparazioni iconiche. Tra queste la biscotteria, i petits fours, la crema gelata all’uovo e il panettone gastronomico. Oggi il Converso è stato rilevato dalla famiglia Boglione, super inter pares tra i gestori di bar della città. Tra specchi, lampadari, barattoli di vetro e poltroncine imbottite, gli altri tempi cominciano a farsi sentire e viene da chiedersi se tutta questa scenografia (condita tra l’altro dalla musica urlata dalla radio che rende l’atmosfera caotica, se non disturbante) non sia solo una scusa per alzare i prezzi.

Local

Via Cavour, 45

local

Local è sicuramente un posto da visitare. Lo spin-off ufficiale dell’Università di Scienze Gastronomiche propone un concetto nuovo di bottega alimentare, in cui tutto ruota intorno (appunto) al circolo virtuoso del “locale” a tutti i costi. Anche a scapito del buon vecchio latte di soia che viene sacrificato (insieme alle entrate dei potenziali clienti intolleranti) in nome della sostenibilità e del chilometro zero.

Cosa trovate a Local? Sicuramente tantissimi studenti, soprattutto nel primo pomeriggio in cui le sale interne si trasformano in aule studio con servizio al tavolo. L’assortimento di merce esposta dovrebbe sopperire alla spesa-base del cittadino-medio piemontese: olio, sale, pasta, pane, affettati, conserve, succhi, formaggio, vino, birra, cioccolato. La qualità è indubbiamente altissima e il carrello si riempie di prelibatezze che neanche da Peck, peccato che i prezzi siano davvero esagerati. Avremmo anche qualcosa da dire sulla mescita dei vini e sulla prontezza di riflessi del servizio, ma ci fermiamo qua. Conviene molto di più ordinare un tagliere misto e degustare i prodotti sotto forma di aperitivo.

480Gradi

Piazza XX Settembre, 32/A

480gradi

La lista dei ristoranti da provare a Bra non può essere completa senza il fondamentale apporto della pizzeria 480Gradi. Non siamo noi a deciderlo ma, come si dice in questi casi, la scelta appartiene al popolo sovrano. La ragione è presto detta: provate a recarvi in questo ampio e arioso locale un martedì sera di gennaio senza aver prenotato. L’attesa, se siete fortunati, è di circa 40 minuti: parecchio per una cittadina come Bra.

L’enorme popolarità di 480Gradi, che oggi ha all’attivo quattro ristoranti, è il risultato di un’attenta analisi del mercato e delle preferenze dei consumatori. Ingredienti e lievitazione dell’impasto, accurata selezione dei Presidi Slow Food (letteralmente sparsi sulla pizza), partnership con i grandi marchi di alcolici, rinnovo ciclico del menu, concept del locale, tutto è studiatissimo. Perfino il nome, che indica la temperatura di cottura della pizza napoletana nel forno a legna. Alla fine della fiera la pizza è buona, i prezzi sono molto competitivi (si va dai 5 € della Marinara ai 12 € della pizza gourmet del momento) e la scelta è ampia.

Peccato per le birre: scelta non sufficiente sulle artigianali, industriali alla spina.

Trattoria La Gallinaccia

Via Gianolio 45

Trattoria-gallinaccia

Per chi cerca i sapori genuini e senza fronzoli, a Bra c’è Trattoria La Gallinaccia. Il nome suona grezzo ma c’è tanta qualità in questi piatti profondamente langaroli. Fra i cavalli di battaglia ci sono il carpione, il tonno di coniglio, le lumache e il bunet. I menu degustazione, completi di antipasti (al plurale, si parla di tre o addirittura quattro portate), primo, secondo, contorno, dolce, acqua e caffè, non superano i 30 €. Insomma tra tanti galli che a Bra e dintorni fanno la cresta sui prezzi, posto che la cucina sia di pari qualità, la Gallinaccia è l’unica che predica bene e razzola benissimo.

Vineria Bistrot La Carbonaia

Via Gianolio 40

vineria

Per finire la serata in compagnia e lontano da occhi indiscreti, c’è la Vineria. Ufficialmente conosciuta come Circolo La Carbonaia (occorre la tessera per entrare), la Vineria è ufficiosamente il locale autogestito dalla gioventù braidese e frequentato dagli studenti di Pollenzo. I vini hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo nel take away e un bicchiere viaggia sui 5 massimo 7 €. Affollato dalle 10 di sera in poi, si tira avanti fino alle ore piccole e di solito si finisce cantando: se non te lo ricordi, probabilmente è stata una bellissima serata. Si mangia anche, per la cronaca.

Pasticceria Di Costanzo a Napoli: recensione

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Siamo stati alla Pasticceria Di Costanzo, nome storico della città di Napoli. Abbiamo provato una selezione di dolci napoletani e qualche specialità del pasticciere, rinomato maître chocolatier. Ecco la nostra recensione.

Napoli città è ricca di nomi illustri e di pasticcerie che vantano ascendenze storiche: noi ne stiamo visitando un bel po’ e – utilizzando l’infallibile metodo del passaparola, perveniamo ad un nome in realtà abbastanza conosciuto nell’ambiente: vai, vai da Mario Di Costanzo che non te ne penti.

La Pasticceria Di Costanzo è nella babelica Piazza Cavour; un affare di famiglia da quasi quarant’anni: la generazione prima di quella attuale aprì l’attività nel 1980, muovendosi nel solco della tradizione partenopea. Con Mario, la pasticceria di famiglia si muove geograficamente sempre in un antico palazzo di una delle principali piazze partenopee, ma la sua ambizione ha decisamente sconfinato la geografia territoriale.

Bisogna fare affidamento a qualche indicazione ed ai navigatori per trovarlo: non fatevi intimidire dall’ambiente decisamente piccolo, piuttosto preparatevi a dover portare via le vivande perché non c’è lo spazio per la degustazione in loco.

Mario Di Costanzo: cioè il pasticciere della Pasticceria Di Costanzo

Le foto più vecchie, in rete, mostrano il pasticcere con una barba molto folta; le immagini più recenti, invece, con un paio di baffi alla Dalì. Molto stiloso, Mario Di Costanzo, proprietario per discendenza diretta, è un bel tipetto: uno di quelli a cui piace volare alto; non ci resta che vedere con quali risultati.

Pasticceria Di Costanzo a Napoli

Pasticceria Di Costanzo a Napoli

Dopo qualche passaggio televisivo, Di Costanzo – che, ci tiene a precisare sul suo sito internet personale, è diplomato al liceo classico – preferisce dedicarsi all’insegnamento in varie accademie pasticciere, muovendosi tra l’arte dolciaria francese e quella napoletana.

Quella per il cacao sembra la passione principale: Mario declina il cacao in tavolette e dedica le uova di cioccolato ai più famosi artisti di arte figurativa, come Pollock (ma siamo fuori stagione, non abbiamo avuto il piacere).

Pasticceria Di Costanzo, Napoli: cosa abbiamo assaggiato

Disclaimer: purtroppo la pasticceria Di Costanzo prevede il solo asporto; vale a dire, durante la nostra visita, non abbiamo trovato ripiani d’appoggio per un assaggio rapido e quindi i dolci sono stati consumati lontano dalla pasticceria. L’assaggio e le valutazioni di seguito tengono conto del fattore trasporto e deperibilità del prodotto. Tradotto: se qualche dolce vi sembra un po’ ammaccato, sapete il perché.

La pasticceria Di Costanzo è soltanto d’asporto: quindi, abbiamo fatto ricorso al sontuoso packaging nero serigrafato per trasportare i dolci in un luogo diverso, per un assaggio più comodo. Abbiamo chiesto un vassoio più grande per il trasporto di 4 pezzi e siamo stati subito accontentati; la gentilezza di questo staff vale sicuramente qualcosa in più, che va a compensare uno spazio davvero risicato.

Nell’ordine, abbiamo preso: una sfogliatella riccia, una frolla, un babà classico ed un dolce Doppio Cioccolato, che sembra un eclair ma non lo è visto che non ha la pasta choux. Il conto totale è di 6,50 euro, ragionevole per 3 dolci classici ed una creazione della casa.

Pasticceria Di Costanzo, Napoli: sfogliatella riccia e frolla

Iniziamo con i dolci classici, nella fattispecie sfogliatella riccia e sfogliatella frolla. Si presentano L size, cioè prendono tutto il palmo della mano, con una leggera spolverata di zucchero a velo fatta su richiesta.

La sfogliatella riccia si presenta bella e profumata di vaniglia, con una crepa dovuta ad una chiusura non perfetta. La temperatura, nonostante sia trascorsa mezz’oretta dall’acquisto, non è sgradevole. La sfoglia è tiepida e ancora ben strutturata. Non si avverte untuosità eccessiva, nemmeno un olezzo.

Il morso è pieno, soddisfacente, con un crunch che farebbe invidia ad altri pasticcieri più blasonati. Buono l’equilibrio tra la quantità del ripieno e la consistenza esterna della sfoglia: non appesantisce, un tappo goloso anche da mangiare da solo. Il ripieno non è particolarmente dolce, ne apprezziamo molto i sentori di limone. Forse avremmo preferito la presenza di qualche candito più consistente. Una sfogliatella riccia che si colloca ampiamente sopra la media per presenza scenica, consistenza e sapore globale.

Passiamo alla sorella, sfogliatella frolla. All’apparenza, questa sfogliatella appare sempre un po’ rocciosa, non particolarmente attraente come la sfogliatella riccia. Complicata a farsi, la sfogliatella frolla: solitamente, un guscio di pastafrolla troppo spesso penalizza il ripieno, staccandosi e franando inevitabilmente sulla camicia di turno, coprendo tutti gli altri sapori.

E invece. La sfogliatella frolla di Mario Di Costanzo è quanto più si avvicina alla perfezione, nel senso stilistico di questo dolce. Il guscio di pastafrolla è sottile, una guaina che abbraccia il ripieno – buono, uguale a quello della sfogliatella riccia, non eccede né in zuccheri né nelle differenti proporzioni di semolina e ricotta – e si fonde con esso.

Se questa sfogliatella frolla dovesse avere un voto singolo, sarebbe un 9. Perché 9 e non 10? Perché la sua consistenza eterea avrebbe tratto vantaggio dalla presenza di qualche candito più strutturato: qui, l’assenza si sente particolarmente. Ma potrebbe essere anche soltanto una mia pura voluttà gastronomica in un dolce altrimenti impeccabile.

Pasticceria Di Costanzo, Napoli: babà classico

Il babà classico, poggiato nella vaschetta di plastica per contenerne la bagna, è di un uniforme e piacevole color dorato. Non è un XL size, ma è davvero bello a vedersi con cupola e corpo di giuste proporzioni. Leggermente glassato sulla cupola, la pasta è spugnosa quanto basta. Il babà non è ubriaco, c’è una buona proporzione anche tra parte alcolica e parte analcolica: forse c’è un po’ di aroma di fiori d’arancio che poteva essere diminuito. Nel complesso, un dolce ben eseguito senza virtuosismi.

Pasticceria Di Costanzo, Napoli: le lavorazioni del cioccolato

Come anticipato, Mario Di Costanzo è un affermato maître chocolatier, appassionato della materia e studioso, che non disdegna i vari utilizzi del cacao. Senza troppi giri di parole, chiedo ai banconisti qual è, secondo loro, il dolce da assaggiare, il marchio di fabbrica, quello che sicuramente non mi avrebbe delusa. Vengo indirizzata verso questa monoporzione Fashion Cioccolato e Caramello; nome sobrio, c’è da dire.

E’, in pratica, un mini lingotto di di cioccolato fondente al 70%, caramello e topping di crema vaniglia. Effettivamente alla vista non si direbbe, ma la forchetta affonda come fosse burro, un sottile piacere mentale a farlo. L’assaggio si rivela goloso come solo una buona lavorazione di cioccolato sa essere, rinforzato dal caramello. Forse uno intero non ce la farei, ma comunque buono.

Conclusioni

La pasticceria Di Costanzo è un riferimento per i vassoi di dolci classici, torte con magnifiche glasse a specchio e qualche lavorazione del cacao. Di sicuro, sarebbe stato interessante anche vedere l’arte delle uova di cioccolato che abbiamo sbirciato qua e là per la rete, oltre ad altre creazioni. In vetrina, i dolci rendono bene ed al gusto non deludono: “popolari” quanto basta, scenografici. Uno di quei casi dove forma e sostanza collimano, lasciando raramente deluso il cliente. Peccato per il locale, dalle dimensioni ridotte, che davvero permette solo l’asporto: le porzioni mignon di alcuni dolci meriterebbero una degustazione in loco. Il conto è giusto.

Informazioni

Pasticceria Mario Di Costanzo
Indirizzo: Piazza Cavour 133/135, Napoli
Telefono: 081 45 01 80
Sito internet: www.mariodicostanzo.it
Orari: lun-dom 07.15-20-15. Chiusura il martedì
Tipologia di locale: pasticceria d’asporto italiana con forti influssi francesi
Servizio: cordiale e molto preparato

Voto: 3,8/5

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